mercoledì 28 novembre 2018

Le spiagge e i bagnanti a Pescara, un profilo storico


La storia della nostra città è ancestralmente legata al mare che è parte integrante del nostro vissuto.
La spiaggia è considerata come un punto di riferimento sicuro a partire dalla fine del 1800 e le scene di vita marinara, tramandate da decenni di cultura, riflettono nella forma visiva delle cose ripetute continuamente, il segno di una realtà che cambia ma che può essere ancora ritrovata intorno a noi.
La storia della costituzione e del popolamento della nostra “riviera” è stata ricostruita con l’ausilio di interessanti documenti di studiosi della materia e di quelli in possesso dell’ Archivio di Stato di Pescara e della Soprintendenza Archivistica per l’Abruzzo.
Francesco Di Filippo nel volume “Stessa spiaggia , stesso mare” edito dal Ministero per i beni culturali da cui sono tratti molti di questi documenti si chiede:
“ E’ nato prima il mare o Pescara?” - e continua- “ Dalla lettura di pubblicazioni dell’epoca, testi e libri sulla storia della nostra città, se da un lato sembra potersi affermare che “Pescara Centrale” o meglio Castellammare Riviera, nasca improvvisamente con l’arrivo della ferrovia, dall’altro, è possibile riscontrare una sporadica presenza di villini , nella spiaggia di Castellammare, ancor prima dello sviluppo della linea ferrata sulla fascia costiera”.

L’Abruzzo del resto, nella letteratura di viaggio del 1800, viene esaltata in particolare per gli ambienti montani, mentre il mare e le spiagge erano considerati: ” Tristi ed insalubri, regno dell’aria malsana… di depositi fluviali che creano stagni e paludi ”… non a caso a metà ottocento solo sei centri (Castrum Novum, Castellammare, Pescara, Francavilla, Ortona, Histonium) sono in basso più o meno vicini alla riva, mentre tutti gli altri si ergono su le vette di elevati colli che signoreggiano ad una certa distanza dal mare, le sottostanti valli” ( L. Piccioni in “Le regioni dall’Unità ad oggi”)

Anche nel Registro delle Deliberazioni del Consiglio del Comune di Castellammare del 15 novembre del 1863 (conservato nell’Archivio di Stato di Pescara) la cittadina viene così descritta:
“ … Castellammare è un paese che non ha riunione di abitato essendo le case poste chi in un punto chi in un altro… ; e Francesco De Filippo in “ Stessa spiaggia stesso mare” così ne parla “ Nella fascia costiera ‘una plaga deserta’ ciò che domina è ancora fondamentalmente la natura, con vasti arenili, poche ville ed un piccolissimo borgo di pescatori..”
Secondo le fonti archivistiche le prime notizie relative alle attività sulla costa pescarese risalgono alla fine degli anni ’70 del 1800. Il tratto di spiaggia interessato all’attività balneare era quello che si estende sul lato sinistro del fiume Pescara nel territorio del Comune di Castellammare Adriatico allora appartenente alla provincia di Teramo.
Il Comune rivierasco comprese abbastanza rapidamente l’importanza economica e sociale dell’industria balneare impegnando, per tale obiettivo, risorse finanziarie e umane per migliorare la salubrità dei suoi arenili. Fino agli anni venti del 1900 si parlerà sempre di Castellammare e poco di Pescara; due comuni (unica città dal 1927) a nord e a sud del fiume Pescara che, condizionati da eventi contingenti e storici, vivranno un’esperienza ed uno sviluppo turistico-balneare molto diversi tra loro.

Ma poi improvvisamente, l’arrivo della ferrovia nel 1862 e l’inaugurazione della stazione in muratura, nel maggio del 1863 alla presenza di re Vittorio Emanuele II, trasforma la realtà economica di tutti i territori attraversati e favorisce la nascita di nuovi centri e segnerà per Castellammare e, solo più tardi, per Pescara l’inizio di un grande sviluppo con la discesa dell’abitato dai colli sulla pianura.
Così ricorda il Marino, studioso dell’epoca questi importanti momenti “…E l’occasione venne . Quando nel 1862 si dovette costruire la grande linea ferroviaria da Ancona a Foggia, fu necessario uno scalo vasto… In una prossima località i cittadini miopi ( Pescara) in un’altra non si trovò spazio sufficiente e Castellammare, protetta dagli Dei e dai suoi cittadini veggenti, ebbe la fortuna di disporre di molte aree … e lì venne impiantato lo scalo con una cospicua rete di binari e impianti capaci di accogliere un movimento di merci che si previde grande ed immenso sviluppo…”
Così il caso e anche la fortuna determinarono la nascita istantanea e lo sviluppo di Castellammare.

Il nuovo scalo ferroviario, punto di innesto della linea adriatica e della Pescara-Roma, fece aumentare notevolmente il flusso dei vacanzieri e furono censiti 1642 nuclei familiari e 195 accompagnatori provenienti per il 6% da Roma, Milano, Foggia, Bologna il restante da Popoli e dal teramano .
E nessuno, sul finire del 1800, avrebbe potuto riconoscere nella “frequentatissima” riviera di Castellammare quella campagna punteggiata di poche casupole e villini descritta appena quarant’anni prima.
Nel volume XVII Abruzzo ulteriore I da “Il Regno delle due Sicilie” si ha una suggestiva immagine della cittadina
“…. Sontuosi palagi, ville piene di delizie, ad ognuno di essi un giardino tutto a fiori, a laghetti, a viali e labirinti di fiori da far credere quivi posare e rider continuo primavera: e questa che è la spiaggia di Castellammare…..

Anche Keppel Craven in “ Viaggio attraverso l’Abruzzo e le province settentrionali del Regno di Napoli” dice:
“…Una bassa catena di montagne alla sinistra del fiume , la quale si estende dalla costa coperta di ville, boschi e coltivazioni… Fra di essi è il paese chiamato Castellammare ( come il suo famoso omonimo nelle vicinanze di Napoli) molto frequentato nell’estate per i bagni di sole e per l’aria fresca e salubre.”
Oltre a D’annunzio anche G. Finamore, in “L’Abruzzo come stagione climatica estiva”, eleva al pari delle stazioni balneari nord adriatiche solo Francavilla e Castellammare definendola “ …la Posillipo degli Abruzzi, in via di divenire stazione balneare di primo ordine”.

In quel momento dati così confortanti spinsero il Comune di Castellammare Adriatico ad intensificare gli interventi per trasformare la cittadina in un importante luogo di villeggiatura della costa adriatica imitando modelli seguiti, in quegli anni da Rimini.
Il 1° agosto 1887 fu inaugurato il Padiglione Marino, progettato e realizzato in soli 19 giorni da Edgardo Guzzo ; la velocità di realizzazione fece pensare all’intervento “ della mano del diavolo”; in realtà l’opera fu fermamente voluta dall’Amministrazione comunale guidata dall’intraprendente Sindaco Leopoldo Muzii e rappresenta il segno di una strategia turistica ben definita.

L’innovativo edificio, seppur realizzato in una zona “deserta” in fondo al viale della Stazione, diviene infatti il simbolo intorno al quale organizzare l’intera stagione balneare. Conteneva un caffè , un ristorante, camerini da riposo; gli arredi necessari alle pratiche balneari dell’epoca, ma la vera forza di attrazione della struttura saranno le feste da ballo . Una nuova concezione terapeutica-salutistica di balneazione che veniva a comprendere nella terapia dei bagni di mare e di sole anche momenti di sano piacere , relax, vita sociale.

Fu costituito un Comitato per le feste: il Club Estivo fondato sull’esempio della Commissione balneare della città di Rimini.

A tal proposito lo stesso D’Annunzio ricorda …” il club estivo ha ampie sale e luminose che… si aprono a feste animatissime… accorrono signore e signori da tutte le stazioni balneari dell’Adriatico… risuonano per le ville dell’altura e della pianura dove convita magnificamente una gran parte della colonia avventizia di Castellammare…”
Nel 1888 il Comitato finanziò un cartellone per una spesa di oltre 3000 lire per palloni aerostatici, fuochi artificiali, illuminazione della spiaggia, nel 1890 l’impegno di spesa fu sostenuto direttamente dall’amministrazione comunale e ammontava ad oltre 4 mila lire di cui l’80% rappresentato dal compenso pagato al complesso bandistico di Pianella e anche 156 lire al suonatore di piano per 13 sere.
Nelle stagioni successive la spesa registrò un incremento in media del 20% tra le voci di spesa più rilevanti vi erano i compensi pagati alla banda musicale di Città Sant’Angelo e alla ditta per l’illuminazione elettrica della riviera.
Il Padiglione Marino negli anni venti poi fu ampliato e acquistato dall’imprenditore Teofilo Pomponi e trasformato in teatro e infine abbattuto nel 1963 perché dichiarato pericolante.
Nei primi anni del 1900 anche Pescara, la cittadina a sud del fiume, come documenta Francesco De Filippo …” punta in maniera decisa la strada del turismo balneare ; inizia così quella che è stata definita “la Marcia verso la Pineta” nel tentativo di creare una nuova stazione balneare che sappia valorizzare la salubrità dell’aria , il suo mare ma soprattutto la “sacra” pineta fino al mare (oggi Piazzale delle Laudi).”
Istituisce una stazione di Omnibus trainati dai cavalli che la collega a Castellammare con due fermate in dotazione del nuovo stabilimento “Asteria”( nome scelto dal Vate).
Esso fu concepito in legno su palafitte dall’ing. Liberi a cui l’Amministrazione Comunale affida anche il compito di progettare l’intero nuovo quartiere turistico-residenziale della Pineta. Quello che l’ingegnere immagina va oltre il semplice quartiere balneare : una vera e propria“ Città Giardino” con servizi, lo stadio , uno spazio espositivo, il mercato, una colonia marina per i bambini e una chiesa.
Punto centrale di questa progettazione sarà la realizzazione del “Kursaal” ( letteralmente casa delle cure) che venne ultimato non senza difficoltà e tutta l’operazione promossa dal Comune, per la creazione di un moderno Rione balneare e climatico alla Pineta , procederà a rilento sia per la scarsità di finanziamenti che per la schiacciante concorrenza balneare delle due località confinanti : Castellammare e Francavilla. Solo nel 1915 verranno realizzati i primi villini.
Il Kursaal nel 1910 divenne l’equivalente pescarese del Padiglione Marino e il luogo di ritrovo mondano della Pescara estiva. Negli anni venti fu poi trasformato , su progetto dell’architetto Michelucci, ( uno dei maggiori del secolo) nello stabilimento del famoso liquore Aurum.
La Pineta di Pescara nei primi decenni del 1900 diviene la spiaggia frequentata in particolare dalla borghesia pescarese, mentre le classi meno abbienti , dopo la definitiva bonifica della zona della Palata, prenderanno a frequentare gli arenili del cosiddetto “Marevecchio” (tra l’attuale via Pepe ed il fiume Pescara).
Significativa la testimonianza pubblicata sul volume “Era Pescara” di G. Quieti … la Pineta di Pescara non l’ha mai calcolata nessuno , ci andavano i signori al mare col tram o la carrozza tutti con i cappelli larghi. Allora non c’erano case, soltanto gli stabilimenti. Quelli di poco conto, invece, andavano a ‘lu mare vicchie’.
Chi andava al mare vecchio riportava quattro canne e dei veli; si costruivano sulla spiaggia delle baracchette per fare ombra, come le capanne degli indiani che si vedevano al cinema. …Si chiamava Marevecchio perché sulla spiaggia l’acqua di mare ristagnava durante la bassa marea e per la gente era un sollievo camminare lì ed evitare la sabbia rovente… Per il Marevecchio passavano pure le pecore che tornavano dalla Puglia, per rinfrescarsi gli zoccoli e per disinfettarsi nell’acqua dopo la tosatura…”
Risolte le difficoltà legate allo smantellamento della Fortezza e presa con decisione la via dell’espansione urbana Pescara, pur con alcuni problemi, vive un momento importante in occasione della tradizionale festa di San Cetteo del 1910 le cui manifestazioni segnano uno spartiacque simbolico tra l’epoca della quieta atmosfera della “piccola città delle Caserme” e “la nuova” e si coglie l’occasione per esaltare la costruzione dell’Acquedotto , i lavori di banchinamento del Porto , l’inaugurazione del Teatro Michetti (in alto) , del nuovo Stabilimento balneare e del Grand Hotel (a destra) la cui struttura esterna originale fa ancora mostra di sé nel piazzale antistante la stazione di Portanuova.
Finalmente anche Pescara riceve gli onori delle cronache come testimonia un viaggiatore straniero dell’epoca :“… e come non ammirare il prodigioso sviluppo di Pescara? Unita alla vicina spiaggia di Castellammare , sarà ben presto una delle più eleganti stazioni balneari dell’adriatico… la vecchia Pescara aveva tre o quattro mila abitanti, la nuova ne avrà presto cinquemila. Le sue spiagge, le pinete, il lungomare offrono passeggiate deliziose…”
Purtroppo sta per concludersi un lungo periodo che va dal 1885 al 1914 in cui alcuna guerra sembrava più possibile ed i progressi tecnologici , quali il cinematografo, il fonografo, la motocicletta , l’automobile e tanti altri avevano dato agli uomini la sensazione di un periodo felice, di un progresso ed una civiltà di cui il mondo poteva godere all’infinito.
La Prima Guerra Mondiale imporrà un brusco risveglio ed un forte rallentamento allo sviluppo delle diverse pratiche di utilizzazione del ‘Tempo libero’
“Dal costume alla marinara al due pezzi” dagli anni venti agli anni settanta
Gli anni del primo dopoguerra sono difficili, segnati da problemi esistenziali e di reintegrazione nella vita sociale nei mestieri e nelle professioni ; le donne, che avevano dovuto sopperire all’assenza di molti uomini raggiungono un diverso grado di consapevolezza e partecipazione alla vita sociale. La vita familiare è particolarmente difficile, ma inizia ad affermarsi anche un maggior grado di confidenza e di condivisione tra uomo e donna.
Le spiagge tornano pian piano ad animarsi anche quella di Castellammare Adriatico; tra il 1918 e il 1925 si notano le prime trasformazioni nel modo di stare sulla spiaggia .
“Le donne molto lentamente e timidamente non ‘ prendono’ più il bagno o il sole completamente vestite con abiti lunghi a più ‘ strati’ ed ampi cappelli, ma con vestimenti lunghi più ‘alleggeriti’ ; si afferma diffusamente l’uso dell’accappatoio bianco sia per l’uomo che per la donna e per le più giovani fa la comparsa quello che possiamo chiamare ‘costume da bagno’: la lunga ‘Redincotte’ d’inizio secolo diventa un vestitino blu o nero , con gonnellino a bande bianche e pantaloncino appena sopra il ginocchio ; per gli uomini ‘ costume con pettorina’ molto spesso a rigoni verticali o orizzontali, o nero” ( da ‘Stessa spiaggia stesso mare’ di Francesco Di Filippo)
Nell’estate del 1923 Pescara vive un’intensa stagione di iniziative di rilievo tanto da meritarsi la copertina a colori de “La Domenica del Corriere”. Vengono organizzati una fiera campionaria con padiglioni espositivi, gare di canto, bande musicali, rappresentazioni teatrali, fuochi d’artificio, una sfilata di carri colorati tradizionali provenienti da tutta la regione ed una bellissima e coreografica sfilata- raduno di Paranze.
Nel 1924 ebbe inizio la gara automobilistica di valore mondiale intitolata a Tito Acerbo che diverrà un appuntamento fisso fino al 1957. Ogni anno migliaia di forestieri affluivano a Pescara, questi, spesso non trovando alloggio, si sistemavano in spiaggia che, la sera appariva invasa da centinaia di lucciole che erano bagliori di sigarette . Teodorico Marino nel 1926 ci parla di 5000 turisti su 23000 abitanti, un chilometro e 300 metri di spiaggia ( tra via Foscolo e via Muzii ) 9 stabilimenti e 350 casotti ed erano sempre più frequenti “ teli obliqui” ( foto a destra) sistemati a mezza capanna che, ruotati con il girare del sole, garantivano sempre una zona d’ombra. Negli anni ’30 i cambiamenti sono tanti anche nel panorama balneare: compaiono i primi ombrelloni e gli uomini usano sempre più i pantaloncini abbandonando il costume con ‘salopette’ ; per le donne fanno la comparsa i costumi interi anche aderenti, i capelli alla maschietto o il cappellino alla moda, ; alcune indossano un solo vestito leggero, altre continuano ad usare l’accappatoio che ancora resiste per gli uomini sfoggiando vistose righe verticali.
Nel 1927 aprì i battenti il Dancing “La Sirenetta” mentre lo Stabilimento omonimo sorgerà qualche anno più tardi (1931) . Era in concorrenza con il Padiglione Marino e con il Circolo Tennis che, sorto nell’area della ex Università, divenne un ritrovo alla moda dove le famiglie dei soci passavano le serate tra le partite di allenamento e le danze.
Nel 1930 al Pomponi venne proiettato il primo film parlato per la soddisfazione dei forestieri : “La canzone dell’amore” di Girelli e al piano terra del Teatro verrà aperta la famosa gelateria “ La Glacia” ricordo indelebile per i bambini ma anche i più grandi fino agli anni ’50.
Davanti allo Stabilimento Venere, realizzato nel 1932 in legno con verniciatura in bianco e rilievi colorati, un po’ al largo , vi era un trampolino per tuffi e sulla spiaggia venivano organizzati vari giochi: i ‘circuiti’, i ‘vulcani’, buchi trabocchetto, il cavalluccio, il ‘chiodo, ‘i sassetti’, le piramidi umane e ‘rubabandiera’.
Passeggiando si rischiava di inciampare su mucchi di sabbia ’ bollente’ che ricoprivano anziane signore che usavano ricoprirsi di queste ‘sabbiature’ per placare i loro reumatismi.
Una bella pubblicità, apparsa su “Tempo nostro” nel mese di maggio del 1933, sintetizza la Pescara turistica di quegli anni “ Pescara- Riviera di Castellammare Adriatico. Stazione di cura , turismo e soggiorno. Spiaggia incantevole tra le migliori dell’Adriatico, 4 chilometri di lungomare, 7 stabilimenti balneari, 9 alberghi, 2000 appartamenti disponibili, 5 cinema teatri. Nel giardino di piazza F. Crispi ( attuale 1° Maggio) la villa de “Le Nereidi” il più elegante ritrovo della riviera Adriatica: tennis, canti, danze spettacoli folcloristici e d’arte varia. Tutte le sere jazz di Dame e Orchestre Argentine. Parco di divertimenti. Dancing notturno sul mare. Salone di intrattenimenti. Bar Caffè. Ristorante, Attrazioni diverse. Suggestiva pineta dannunziana. Dintorni deliziosi, centro turistico della regione abruzzese-molisana. Ottimi servizi tranviari. Centro ferroviario”.
Molti sono i ricordi di quegli anni della storia cittadina: personaggi sospesi tra fantasia e realtà: Mollicone che faceva gustare i suoi famosi gelati o una donna corpulenta che, al grido quotidiano di“ Pizze calde, bombe fresche “, vendeva sulla spiaggia gustose pietanze gioia di grandi e piccini.
Particolare era anche il personaggio di “Grazia” la Marinara , Grazia Masciarelli immortalata in una statua del Michetti dalle sembianze piuttosto mascoline, che viene ricordata seduta davanti all’omonimo stabilimento di sua proprietà, mentre fumava stanca una delle tantissime sigarette dopo aver fatto con la sua imbarcazione la sua solitaria quotidiana battuta di pesca.

Alle soglie degli anni ’40 il lungomare è ormai definito con il suo marciapiede, il muretto e l’alberatura.
La vita balneare si svolge regolare nei 9-10 stabilimenti attivi sulla riviera : lo storico Miramare ( all’altezza di via De Amicis) , il frequentato Adriatica, la Sirenetta, Grazia, La Venezia, Venere, Saturno, Sirena, Rondine, Marino Adriatico.
Si aprono anche nuove colonie tra cui la “Vittoria Colonna” alla Pineta destinata ad ospitare 385 “Piccole italiane” e la” Stella Maris”, inaugurata nel 1939 nella futuristica struttura di Montesilvano, che oggi finalmente si sta recuperando e ristrutturando.
Questi sono ricordi di una vita di spiaggia lontana nel tempo che la storia sta per cambiare ancora una volta.
I primi anni del secondo conflitto mondiale determinano un rallentamento dell’attività turistica e di presenze di forestieri, ma per i pescaresi la vita si svolge quasi regolare fino alle 13,30 di quel terribile 31 agosto del 1943, quando, all’ora del rientro dalla spiaggia, si abbattono su Pescara le bombe degli aerei alleati. La città , anche a seguito dei successivi raid , è ormai ridotta ad un accumulo di macerie; il colpo di grazia arriva però nel 1944 con le mine dei tedeschi che abbattono palazzi , villini ed edifici nei pressi della riviera, le strutture del Porto e il Ponte Littorio.
Anche la spiaggia viene interamente disseminata di mine che, scoppieranno negli anni successivi al conflitto dilaniando ignari vittime innocenti, nonostante l’opera effettuata e gli enormi spazi di arenile recintato con piccoli corridoi per accedere al mare.
Nell’immediato dopoguerra, quando l’ingegner Luigi Piccinato viene chiamato a proporre un Piano di ricostruzione e poi un Piano Regolatore , la Provincia di Castellammare “fatta di strade larghe, ombrose… di villini eleganti nascosta in una festa di piante e di fiori…” è solo un lontano ricordo per poi essere dimenticata per sempre. Il Touring Club Italiano del 1946 così descrive la cittadina…” la martoriata Pescara lavora tenacemente a ricostruire se stessa…è la più danneggiata tra le altre spiagge meridionali, ma essa dimostra di essere la più pronta a riaversi. La vita si svolge animatissima…sullo specchio del loro mare si vanno diradando le variopinte vele delle Paranze uscenti alla pesca sostituite gradualmente dai Motopescherecci”
(il dipinto in alto a destra è di Tommaso Cascella ).
Un eccesso di frenesia, esagerazione e voglia di vivere caratterizza gli anni del secondo dopoguerra e , come ricorda Paola Lombroso in “La vita privata” … questa esagerazione si riversa anche nella moda… ma dove la moda mette un accento particolare è nel costume da bagno ridotto a un reggipetto ed a una scarsa mutandina che le donne portano con disinvoltura non solo per tuffarsi nelle onde, ma anche per passeggiare sulla spiaggia e per le strade e per entrare nei caffè. Né questa moda è giudicata scandalosa :praticata da tutti è diventata consuetudine naturale..”
Anche un articolo riportato su un giornale pescarese del 1951 ( raccolto e ripreso dal libro di G. Quieti “ Gente di Pescara) recita così “…la nostra spiaggia ha ripreso la sua verve… costumi sempre più piccoli….oltrepassando tutti i limiti del minimo indispensabile fino a quasi annullare gli indumenti che dovrebbero servire da toilette da bagno….il guaio è che la grande affluenza di creature umane alla spiaggia crea una promiscuità impressionante di sessi…”
La spiaggia nel tardo pomeriggio diveniva uno spazio di relazione per feste di compleanno, per vedersi in comitiva, per giochi di gruppo quasi che la spiaggia fosse una ‘zona franca’ uno spazio in cui era possibile stare seduti un po’ più vicini. L’ora del bagno era il momento ‘clou’ per la possibilità di contatti quando si facevano tuffi dal pattino o ci si teneva a galla usando ‘camere d’aria’ dei camion.
Tra il 1950 e il 1960 agli storici stabilimenti: Miramare, Grazia, Alcione, Marechiaro, Adriatica vengono ad aggiungersene tanti altri ( molti degli attuali) tra cui la Croce del Sud, E’ nata una stella (abbattuto negli anni ’90) , Albatros il primo stabilimento di Eriberto , Trieste, Le 4 vele, il Gabbiano e Il Lido rinomato per la sua gelateria.
La loro distribuzione supera via Muzii ma non raggiunge via Cavour dove permane una spiaggia ampia e dunosa come quella davanti all’Istituto Ravasco dove i bambini in fila, guidati dalle loro maestre, dopo aver varcato il cancello, situato in fondo al viale, e aver oltrepassato cautamente la ferrovia e magari salutato i viaggiatori del treno sbuffante, venivano condotti per una ‘visita guidata’ all’arenile dunoso.
L’Azienda di Soggiorno intanto costruisce la propria sede nel sito dell’ex Circolo Tennis “Le Nereidi” completando l’arredo dei giardini di Piazza I Maggio che divenne, negli anni ’70 la sede dell’Università D’Annunzio ( oggi Museo d’Arte Moderna Vittoria Colonna) . Il Comune al centro della Rotonda (oggi Largo Mediterraneo) al posto del Monumento ai Caduti degli anni ’30, costruisce un’aiuola ornata da una palma con , ai lati , fiori colorati a formare lo stemma della città e un orologio. Nella metà degli anni ’60 essa venne sostituita da una fontana.
Nello stesso periodo (anni ’50) a Pescara Portanuova la vita balneare si svolgeva essenzialmente nei due stabilimenti Asteria e Aternum nella zona storica della Pineta (attuale Piazza delle Laudi) .
Più verso il fiume, nella zona dell’ormai ‘ ex Marevecchio’, un nuovo stabilimento sostituì la vecchia casetta di ‘Zacchia’ un piccolo fabbricato creato appunto da Zacchia negli anni ’30 che fungeva da stabilimento con vendita di bevande e noleggio di canne e bastoni che reggevano i teli obliqui per ripararsi dal sole.
Ma la nascita di nuovi stabilimenti sarà più lenta e, solo nel corso degli anni ’60, si realizzeranno la maggior parte degli attuali.
Per le famiglie forestiere la villeggiatura sulla spiaggia durava un mese, due per i più abbienti, molte prendevano case o parte di esse in affitto. Sulla spiaggia , alle famiglie dei turisti la domenica, si aggiungevano le famiglie dei ‘fagottari’, così chiamate dai proprietari degli stabilimenti che mal digerivano questi nuclei familiari provenienti dai paesi dell’interno con ‘il fagotto’ con tutte le provviste.
Le famiglie pescaresi frequentavano regolarmente la spiaggia, rientrando a casa all’ora di pranzo tranne la domenica, quando si aggiungeva anche il capofamiglia.
Fino al 1965 i titolari degli stabilimenti difficilmente possedevano più di 10-15 ombrelloni, altri però li affittavano ai bagnanti occasionali. I servizi si facevano sempre più confortevoli per i clienti : docce con acqua a caduta, le prime toilettes, la vendita di bevande ( la famosa gassosa con la pallina e il chinotto) lasciate in fresco in blocchi di ghiaccio, l’affitto di ‘mosconi’, i giri in barca a pagamento, la vendita di pizze.
L’uso di togliere gli ombrelloni ogni pomeriggio si interrompe nel 1961 quando Eriberto Mastromattei, eccentrico e lungimirante balneatore pescarese allora titolare dello stabilimento Albatros, stanco di quella massacrante perdita di tempo, fece gridare ‘al matto’ lasciando gli ombrelloni chiusi per tutta la notte al loro posto, cosa che gradualmente fecero poi tutti gli altri gestori. Altre innovazioni introdurrà Eriberto nelle abitudini e nei servizi dei bagnanti: la costruzione del nuovo ed esclusivo stabilimento omonimo (1966-1967) con l’organizzazione di mitiche feste estive che iniziavano al mattino in spiaggia per finire sul terrazzo dello stabilimento a notte fonda, il pontile (anni ’70) con il trampolino, lo scivolo in acciaio, l’introduzione di materassini di gomma e sdraio direttamente sulla battigia per i suoi clienti e infine l’introduzione delle palme che danno al nostro arenile un paesaggio più esotico e suggestivo.
Entriamo così negli anni ’60 e più precisamente nel 1963 : l’anno in cui il Teatro Pomponi ( costruito ampliando il Padiglione Marino) venne abbattuto e i personaggi della Pescara che fu ( Mollicone, Grazia) sfumano sempre più , la città supera i 100.000 abitanti facendo il salto di categoria e il sindaco Mariani, in occasione del centenario della nascita di D’Annunzio, inaugura il Teatro alla Pineta dedicato al ‘vate’. Realizzata in cemento armato da Vicentino Michetti junior divenne il simbolo della nuova Pescara moderna e vivace, ma nello stesso tempo con un richiamo al passato sia per la dedica al suo illustre cittadino sia per la forma che evoca le analoghe antiche costruzioni romane arricchita dallo slancio di un obelisco alto 65 metri.
Un articolo del Tempo del 18 agosto di quello stesso anno racchiude questa bella descrizione della nostra città dalla duplice anima : turistica e commerciale “…. La città vive con inesauribile versatilità la sua doppia vita, quella frenetica del traffico e del commercio e quella salutare e gaia della lunga stagione estiva… per l’intera sua estensione di otto km. la spiaggia è fiancheggiata da un magnifico lungomare al quale fanno corona da una parte la giovane Pineta di Montesilvano e dall’altra la più celebre Pineta dannunziana…. L’estate che si approssima non potrà che confermare la costante ascesa di questa città straordinaria… giustamente definita “perla dell’Adriatico” .
Ricostruzione storiografica a cura di Elisabetta Mancinelli
I documenti e le immagini sono tratti da “ Stessa spiaggia stesso Mare” di Francesco Di Filippo, da “Era Pescara” della Sovrintendenza Archivistica per l’Abruzzo”, da “Gente di Pescara” di G. Quieti, da “Pescara stagione climatica estiva” di G. Finamore, “La vita privata “ di Paola Lombroso e dall’Archivio di Stato.LE SPIAGGE E I BAGNANTI A PESCARA

Il culto dell'acqua in Abruzzo.

RITI SACRI IN ABRUZZO : IL CULTO DELL’ACQUA
La religiosità è un sentire innato nell’uomo . Sin dalla preistoria intuisce che deve esistere qualcosa che va oltre il materiale e il quotidiano: il ciclo delle stagioni, il morire autunnale e il rinascere primaverile della vita nei campi lo spinge ad intuire l’esistenza di una possibile vita oltre la morte.
Come mostrano le statuette della dea Madre Terra , trovate nelle tombe del periodo Neolitico, l’uomo placa il disagio della morte con la speranza della rinascita. Per questo plasma dall’argilla figure femminili che simboleggiano colei che dona la vita e le pone accanto ai defunti. Col passare dei secoli questo profondo bisogno di divino che è dentro di noi emerge ed assume forme esteriori diverse, dando vita a divinità e dei di vario genere. Ogni civiltà prende quelli della precedente li riadatta e ne aggiunge di nuovi , cambia loro funzione o aspetto esteriore seguendo una sorprendente continuità logica e storica. Gli Italici dai culti preistorici e da loro i Romani fino all’arrivo della parola di Gesù. E così i rituali pagani vengono riadattati spesso localmente, dando vita a tradizioni e culti cristiani di grande suggestione. Sin dalla prima diffusione del Cristianesimo nelle terre d’Abruzzo le nostre genti sono state pervase da un intenso fervore religioso e da una fede profonda strettamente legata ai semplici ritmi e alle esigenze quotidiane della vita di un popolo composto per lo più da contadini e pastori. Chiese , opere d’arte sacra , eremi sono le tante testimonianze materiali che questa forte spiritualità ci ha lasciato. Di esse la traccia più emozionante è senza dubbio rappresentata dai riti: cerimonie e gestualità giunte ai nostri giorni immutate nei secoli e protetti gelosamente dalle popolazioni e rivissuti da giovani ed anziani con la stessa intensità. Sono il fuoco, l’acqua, la pietra , ma anche gli animali a divenire gli strumenti attraverso i quali la fede si manifesta materialmente e il pellegrino mostra la sua devozione chiedendo la vicinanza di Dio.
Tra questi l’acqua è l’elemento fondamentale per l’esistenza di ogni forma di vita sulla terra sia animale che vegetale. Sin dalla prima presenza dell’uomo essa è stata uno dei fattori che hanno ritmato gli spostamenti dei nomadi e la scelta del luogo per stabilirsi.
Accampamenti e villaggi venivano sempre posti in luoghi sicuri, ma necessariamente vicini all’acqua, sorgenti , fiumi . E l’agricoltura dei primi gruppi di uomini preistorici , quelli che da cacciatori nomadi divennero stabili contadini, ruotava attorno alla disponibilità di acqua. Le popolazioni italiche , ma soprattutto i romani, svilupparono poi dei veri e propri culti dell’acqua. Realizzando templi con fontane e vasche.
Nel cristianesimo l’acqua assume ruoli simbolici fondamentali, il sacramento del battesimo amministrato da San Giovanni al giovane Gesù nel fiume Giordano ne è la principale testimonianza. Acqua come purificazione , acqua come segno di nascita , sorgenti come fonti di vita.
Una società di contadini e pastori come è stata per millenni quella abruzzese fino agli anni più recenti , ha fatto dell’acqua l’elemento centrale di culti e tradizioni religiose molto forti, sviluppatesi soprattutto attorno agli eremi delle montagne. Spesso ai Santi eremiti è attribuito il miracolo di aver fatto sgorgare l’acqua dalla roccia e ad essa vengono riconosciute dalla devozione popolare peculiarità guaritorie e benefiche. Si va in pellegrinaggio per bagnarsi in quelle acque e guarire nel corpo e nell’animo.
I RITI DELL’ACQUA IN ABRUZZO
IL RITO DI SAN MICHELE A LISCIA ( Ch) Tra i molti eremi abruzzesi legati all’acqua suggestivi per i luoghi e i riti che vi si compiono , vi è il santuario di San Michele Arcangelo a Liscia nell’entroterra vastese che protegge una grotta con una sorgente naturale. La leggenda racconta che un mandriano di Palmoli , portando la sua mandria al fiume per l’abbeverata, notò un torello che scompariva ogni giorno per ritornare solo a sera. Incuriosito decise di seguirlo e scoprì, con grande sorpresa , che l’animale arrivava fino a una grotta nascosta nella vegetazione e lì si inginocchiava in adorazione di San Michele. Preso da devozione il pastore si inginocchiò e l’Arcangelo compì il miracolo di far sgorgare l’acqua per dissetarlo.
La grotta è tuttora meta di grandi pellegrinaggi che giungono qui da tutto l’Abruzzo e anche dal Molise , due volte l’anno si ripete l’antico rito di bere l’acqua che sgorga dalla grotta ritenuta miracolosa. Partecipano a questo rito molti pellegrini , di ogni età , provenienza ed estrazione sociale, entrano nella grotta in fondo alla chiesa , impugnano il tradizionale mestolo in rame e bevono un sorso d’acqua attinta dalla suggestiva sorgente naturale sulla quale aleggia la tradizione del miracolo. La devozione popolare risulta ufficializzata fin dal Seicento quando i D’Avalos , fecero costruire davanti alla grotta una chiesetta nella quale è esposta la statua del Santo. L’8 maggio e il 29 settembre i fedeli compiono emozionanti rituali : toccano le pareti della roccia e ci strofinano contro fazzoletti e oggetti sacri, poi bevono l’acqua di sorgente che gocciola dalle stalattiti, ritenuta rimedio efficace contro i vari mali. Il santuario è legato alla religiosità dei pastori, poiché qui passano alcuni dei tratturi che dall’Abruzzo portavano le greggi in Puglia e viceversa.
SAN VENANZIO A RAIANO
Un altro suggestivo eremo si trova nell’aquilano poco distante da Raiano . La chiesa è dedicata al giovane Venanzio che, convertitosi al Cristianesimo si ritirò in questi luoghi . Nel 259 fu arrestato e martirizzato . Al culto di questo martire, ancora oggi molto sentito dai fedeli che qui accorrono da tutto l’Abruzzo, si lega un’antica tradizione che vuole riconoscere in alcuni segni sulla roccia le impronte del Santo.
La festa di San Venanzio si celebra il 18 maggio. I pellegrini , ripercorrendo le orme della vita del Santo, si sdraiano su quella che si crede sia l’impronta lasciata dal suo corpo , detta letto di San Venanzio , poi prendono posto sul sedile di Santa Rina per ottenere la guarigione dai mali fisici. Dalla loggia esterna che si affaccia sul fiume parte la Scala Santa, scavata nella roccia che porta fino all’acqua del fiume e viene percorsa in salita dai pellegrini. Questi gesti rituali sono legati all’evocazione della discesa agli inferi , dai quali si risale purificati, ma anche alle pratiche religiose per mezzo delle quali i pellegrini invocano la guarigione dai loro mali . Un esempio è l’immersione degli arti doloranti o malati nelle acque del sottostante fiume Aterno e la benedizione dei malati con l’acqua miracolosa di San Venanzio.
LE ACQUE DI SAN FRANCO
Lungo la panoramica strada che collega Assergi con il Passo delle Capannelle , accanto a una piccola chiesa, inizia il sentiero che porta alla sorgente di San Franco. Protetta oggi da una cappella costruita in tempi più recenti, secondo la leggenda questa fonte venne fatta scaturire dal monaco eremita nel secolo XIII; egli aveva scelto le grotte del versante occidentale del Gran Sasso quale luogo del suo ritiro ascetico, come testimonia ancora il nome di monte San Franco.
Le leggende popolari legano le sue gesta alle vicende del mondo agricolo e dei pastori, e parlano di montoni resuscitati e lupi ammansiti, ma più di tutto della sua capacità di far scaturire acqua sorgiva dalla roccia, elemento indispensabile alla sopravvivenza del bestiame e dei pastori stessi. Il 5 giugno, festa di San Franco tantissimi pellegrini affrontano il pendio della montagna per raggiungere la sorgente e bagnarsi con quell’acqua ritenuta taumaturgica , in grado di guarire malattie. I pellegrini compiono abluzioni rituali perché il campo specifico di applicazione di quest’acqua è la cura delle malattie della pelle , anche se non mancano testimonianze di antichi riti riguardanti l’incubatio e lo strofinamento sulla pietra ( G. Pansa , Miti , leggende e superstizioni dell’Abruzzo, 1924). I pellegrini riempiono bottiglie e taniche per riportare a casa l’acqua miracolosa in caso di necessità futura o come dono per amici e parenti che non hanno potuto prendere parte al pellegrinaggio.
BISEGNA : rito del “ comparatico”
Una festa molto sentita è quella di san Giovanni, che ricorre il 24 giugno giorno in cui è d’uso bagnarsi in segno di protezione A Bisegna, piccolo centro della valle del Giovenco i pellegrini si recano in processione nella chiesa di san Giovanni, nella valle del Giovenco, a circa quattro chilometri dal paese.
L’area è ricca di reperti archeologici che fanno presumere l’esistenza di antichi templi pagani. Vicino alla chiesa di san Giovanni vi è una grotta naturale scavata nella roccia nella quale si pensa abbia dimorato un’eremita o, addirittura, il santo stesso. Oggi questa grotta è visitata da fedeli e pellegrini che vi depositano semplici ex voto davanti ad una piccola statua del santo.
Nei pressi della chiesa vi è una bella fontana in pietra costruita alla fine del 1700 ed alimentata da una sorgente che, proprio nei giorni della festa, abbonda di un’ acqua ritenuta miracolosa che viene utilizzata dai fedeli sia per bagnarsi il corpo, al fine di proteggerlo dalle malattie delle pelle, sia per compiere il rito del "comparatico"; un patto di reciproco aiuto fra due persone che si realizza lavandosi con l’acqua di san Giovanni.
Con i piedi immersi nell’acqua del fiume Liri, ragazze e ragazzi stringono i legami di comparatico che li legano con una forma di parentela magica e indissolubile nel nome di San Giovanni Battista. Si stringono i mignoli delle mani e dondolando le braccia si recita “: Cumpare i cummare damuce la mano, la mano ce lla demo i cumpari nu saremo! . Il legame diviene così sacro e inviolabile per tutta la vita.
Anche nella Valle Roveto : Civitella Roveto, Canistro, Balsorano e Capistrello, centinaia di persone assistono al rito e costituiscono parte integrante del “bagno” di purificazione, nella credenza popolare che la festa del solstizio d’estate il 24 giugno, San Giovanni Battista durante la notte scopra, i miti non estinti : il matrimonio del sole con la luna che viene fecondata; la rugiada sacra, sull’erba ricercata dalle spose che vogliono i figli.
E a mezzanotte, la gente si raccoglie lungo le sponde del fiume i giovani nudi si immergono nel fiume Liri e stringono i comparatici, inizia così il battesimo collettivo per ricordare il battesimo di Cristo nel Giordano. La gente si bagna il corpo, entra nel letto del fiume ghiaioso, si segna a forma di croce la fronte, raccoglie l’acqua che conserverà per tutto l’anno anche per preparare il lievito.

Questo rito di purificazione ma anche di protezione dalle malattie va avanti fino all’alba quando i primi raggi del sole calano sul fiume Liri.
PROPRIETA’ E BENEFICI DELLE ACQUE D’ABRUZZO
L’Abruzzo è una terra ricca di sorgenti di acque prodigiose ,ogni paese d’Abruzzo può vantare ‘acque miracolose ’ utilizzate fin dall’antichità ,acque ricche di notevole effetto terapeutico, acque che posseggono una alta concentrazione di minerali, tra le più qualificate , le ferruginose, le bicarbonate, le solfate e le sulfuree. Nei primi anni del 1800 appassionati ricercatori analizzarono e catalogarono le migliori acque abruzzesi, rendendole note tramite pubblicazioni scientifiche. Vi sono presenti le acque mediominerali, dove la concentrazione di sali è equilibrata e le oligominerali, che difettano di sali, particolarmente indicate in alcune patologie.
Acqua bevono le mamme senza latte che pregano Sant’Agnese, Santa Scolastica e Sant’Agata e con essa si aspergono in cerca di fertilità le donne che, ancor oggi, visitano chiese campestri e tradizionali fontane dedicate alla Sante.
Gli agricoltori delle valli che visitavano l’Eremo di San Bartolomeo di Legio a Roccamorice, portavano giù dalla montagna un po’ dell’acqua che sgorga dalla sorgente vicina alla dimora del Santo: serviva ad aspergere le viti e scongiurarne la malattia più pericolosa, la peronospera. Lungo la strada che collega Raiano a Vittorito, in provincia de L’Aquila, una sorgente di acqua sulfurea che faceva girare la ruota di un mulino, era utilizzata per i benefici effetti sui tessuti cutanei ed anche come ottimo sbiancante per le fibre di canapa e di lino, lasciate a macerare, poi battute con rudimentali ma efficaci strumenti e ridotte ad una arruffata massa filamentosa da torcere in un lungo filo da tessere nei telai di legno casalinghi.
Il benessere e la salute dell’uomo sono l’obbiettivo secolare delle buone acque abruzzesi e soprattutto in tre famose località: Caramanico, Popoli e Canistro che sono sedi di Terme ben organizzate e all’avanguardia in campo terapeutico.

Ricostruzione storiografica di Elisabetta MancinelliIL CULTO DELL'ACQUA IN ABRUZZO

Donna Luisetta De Benedictis: La madre tanto amata dal poeta Gabriele D'Annunzio

Luisa De Benedictis, nata il 17 dicembre del 1839 a Ortona a Mare, da Filippo e Teresa Pozzi, trascorse ad Ortona la sua fanciullezza che fu purtroppo funestata da un grave lutto: le morì la madre in giovane età e questo dolore le fece conservare per tutta la vita una certa severità nel volto. Crebbe in un’atmosfera di pace e di amore educata alle virtù casalinghe che era il miglior vanto delle fanciulle delle buone famiglie abruzzesi.
Erede di casato signorile, a soli 18 anni , il 3 maggio 1858 , sposò nel 1858 Francesco Paolo Rapagnetta che , dopo esser stato adottato da Anna Lolli, sorella della madre Rita , aveva preso il cognome dal secondo, ricco marito della zia Anna, Antonio D’Annunzio.
Venne ad abitare a Pescara nella casa di Corso Manthonè e acquistò ben presto le simpatie della suocera e fu amata da quanti avevano vincoli di amicizia e parentela con casa D’Annunzio poiché era affabile con tutti . Francesco Paolo e Luisa ebbero cinque figli: Anna, Gabriele, Elvira, Ernesta e Antonio. Madre tenerissima , vigile custode delle ragazze , alla cui educazione si dedicò col costante esempio , soleva manifestare la sua soddisfazione di madre quando nelle serate di festa , circondata dalle figlie giovinette , passeggiava per la città. Fu confortatrice nei momenti difficili dei figli maschi.
Tra questi Gabriele certamente fu il figlio che gli dette maggior orgoglio, gioia e conforto di cui soffrì in modo particolare la lontananza. Vennero poi i giorni delle ristrettezze finanziarie e della tristezza , della vergogna e di fronte a questi tristi eventi lottò con animo forte. Ma il più amaro calice le si presentò quando il fedifrago marito Francesco Paolo si trasferì nella casa di Madonna del Fuoco con un’amante a cui succedettero tante altre.
Colpito da una malattia cardiaca che si manifestò in diversi episodi Francesco morì il 5 giugno 1893. Donna Luisa Trascorse gli ultimi anni della sua esistenza ,stanca e malata nella casa con Marietta Camerlengo ,la sua fedele custode, rallegrata dalle nipotine Emilia e Nadina che le vivevano accanto. Ma il suo pensiero andava soprattutto al figlio lontano per questo ella leggeva ogni giorno la “Tribuna” e “ Il giornale d’Italia” ma solo con la speranza di trovarvi notizie del suo amatissimo Gabriele.
Usciva raramente e solo d’estate su una vecchia carrozza che la portava fino alla riviera di Castellammare. Ennio Flaiano così la descriveva : “ Sul balcone esterno di destra , ho vista talvolta seduta , nei tardi pomeriggi, la madre del Poeta. Io ero un bambino, mia madre me la indicava. Guarda , Donna Luisa , dal volto nobile bianca e infelice per la lontananza del figlio” Le sue condizioni fisiche e psichiche peggiorarono nonostante l’assistenza del suo medico curante Luigi Luise e le attenzioni amorevoli della fedele Marietta. Dopo un penoso declino dovuto a un’arteriosclerosi acuita da ripetute ischemie cerebrali, si spense il 27 gennaio 1917 .
Il decesso fu comunicato al figlio da un messo del generale Cadorna e Gabriele da Milano, febbricitante partì immediatamente alla volta di Pescara e partecipò ai solenni funerali in divisa da capitano. La salma fu prima sepolta nel Cimitero di San Silvestro e poi nell’agosto del 1949 venne traslata nella Cattedrale di San Cetteo in un’Arca scolpita da Arrigo Minerbi.
  
Gabriele fu attaccatissimo alla madre verso la quale per tutta la vita ebbe una specie di culto. Meglio di qualsiasi descrizione sono le pagine che Gabriele le dedicò. “Consolazione” nel 1891 contenuta nel Poema paradisiaco e nel 1903 “L’inno alla madre mortale” nella Laus vitae. La sua figura inoltre aleggia nelle pagine del Notturno e nel Libro segreto. Ma anche dal frequentissimo carteggio si evince che se Donna Luisa fu per il figlio la creatura che più colpiva la bontà del suo animo , ella fu anche la silenziosa ispiratrice della sua opera.
Gabriele portò in Abruzzo le rappresentazioni delle sue opere perché la madre potesse vederle.
Nel 1903 il poeta rappresentò Francesca da Rimini a Teramo . Donna Luisa accolse l’invito dell’amato figlio . Grande fu la curiosità e la venerazione del pubblico e tanti fiori furono lanciati nel suo palco e donati a lei, tanto che ne rimase tanto commossa e confusa da non voler più in seguito intervenire alle rappresentazioni della Figlia di Iorio per paura di non soccombere alla sua stessa gioia.
L’anno dopo infatti, 1l 23 giugno 1904, D’Annunzio fece ritorno in Abruzzo per rivedere la madre , e con la recondita speranza che recedesse dalla sua decisione e che si lasciasse condurre a Chieti per la prima rappresentazione de “La figlia di Iorio” . L’opera, come testimonia anche Enrico Di Carlo nel suo libro “Gabriele D’Annunzio negli Abruzzi”, venne rappresentata al Teatro Marrucino con grandissimo successo di pubblico e di critica.
Tantissimi furono gli grandi applausi , ma non quelli della genitrice. Il poeta ricevette anche la cittadinanza onoraria della città di Chieti. Le manifestazioni in suo onore durarono tre giorni e si conclusero con un memorabile banchetto che si tenne alla Pineta di Pescara la sera del 26 giugno 1904.
A proposito di questo ritorno a casa di Gabriele D’Annunzio il prof. Garibaldo Bucco, qualche mese dopo scrisse “ Io ricordo la signora Luisa nei giorni indimenticabili della festa popolare con cui gli Abruzzi allestirono la rappresentazione de “La figlia di Iorio” a Chieti, alla vigilia dell’arrivo di Gabriele a Pescara, la casa paterna era insolitamente animata: operai chiamati per restauri ed addobbi domestici carichi di canestri misteriosi e per tutto quel giorno nessuno scorse tra le persiane socchiuse , la figura di donna Luisa.
Nella notte giunse Gabriele e quando apparve sulla soglia e corse incontro alla madre, lei facendo molta forza a se stessa, negò di baciarlo se prima non prometteva di trattenersi con lei almeno tre giorni. E il mattino seguente il poeta vedendola tra la folla dei curiosi e degli amici, che invasero le sale della casa per riverire il poeta, ognuno leggeva negli occhi animati d’un lume giovanile , la gioia del piccolo trionfo.
Ella appariva trasfigurata : era più diritta nella persona, le rughe parevano cancellate dal viso, i capelli ancora neri pettinati con cura, la curva malinconica che sempre piegava la sua bocca, era distrutta da un sorriso continuo, come se tutti i sorrisi compressi nella sua vita dolorosa, risgorgassero ora senza più freno.
La mattina dopo venerdì 24 giugno, il poeta si recò al Teatro Marrucino. Secondo i giornali dell’epoca la cerimonia ebbe inizio con la consegna di alcuni doni all’illustre ospite tra cui la cittadinanza e un dono fattogli dagli studenti un mirabile ritratto della madre fatto da Basilio Cascella.
A questo proposito il poeta disse: “Ma se il cuore troppo non mi tremasse davanti all’immagine di quella immacolata che ritrovo su le soglie della mia casa ad ogni mio ritorno, di quella che sembra tener viva nel cavo della mano , la più fresca vena dell’anima mia infantile perché ogni volta io la ribeva e mi purifichi se troppo non mi tremasse il cuore , io vorrei dire ai giovani come dentro mi tocchi la divina lor gentilezza”.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli