lunedì 29 aprile 2019

LE VIRTU' TERAMANE


Da tempo immemorabile, a Teramo il primo maggio è sinonimo delle "Virtù" ed i vari eventi della storia, più o meno drammatici, non hanno scalfito l'essenza tradizionale e culturale di questa antica tradizione. 
La ricetta delle “Virtù” ha la sua data di origine intorno al 1800;  la preparazione di questo piatto veniva collocata il primo Maggio, poiché oltre ad indicare la fine del periodo freddo, aveva valore benaugurale per i raccolti estivi.      Si tratta di un  piatto rituale con funzione propiziatoria.  In questa occasione venivano  preparate  un  gran numero  di  pignatte  contenenti  le “ Virtù”   e  poi distribuite  alle  famiglie  più  povere,  in   segno  di  solidarietà  della  comunità  con  i meno fortunati.

Sono virtù perché la base di partenza sono gli avanzi rimasti nella dispensa dopo l´inverno:  legumi  secchi, pasta di  varie  tipologie, resti del  maiale  che  la  donna doveva essere  brava  a  recuperare  riutilizzare e unire alle primizie che la nuova stagione aveva cominciato a produrre negli orti. 
 Una leggenda narra che le Virtù  dovessero contenere sette tipi di legumi, sette tipi di pasta, sette tipi di erbe, che il tutto dovesse essere cucinato da sette vergini per ben sette ore, sette proprio come le virtù cristiane. 

                                                                       LA STORIA
Tra le celebrazioni  per il ritorno della primavera in  Abruzzo un po’ dovunque vi era l’uso della cosiddetta “pignatta di  Maggio” un minestrone risultante dalla fusione appunto di sette legumi e primizie dell’orto  distribuito ai poveri e gettato anche nei campi a scopo propiziatorio. 
A seconda delle località esso riceve nomi diversi.  In provincia di Teramo si chiama “le virtù”, nell'aquilano “totemàije” nei paesi intorno ad Atessa “lessame”, nella valle del Sangro “pignata di Maggio” o “costa” di Maggio.  Costa significa ripida salita stretto passaggio perché nell'ottica del contadino di un tempo maggio, pur facente già parte della  primavera, era un mese di transizione tra le provviste ormai esaurite dell’anno precedente e il nuovo raccolto che ormai si annuncia nei campi ma potrebbe anche andare male. E’ anche il mese di maggiore fatica in campagna , il mese in cui più che in altri s’invocano le piogge ( l’acqua di maggio) particolarmente benefiche per il raccolto che va maturando.
Attorno alla nascita di questo piatto ci sono diverse leggende, la più accreditata lo vuole nato intorno al 1800.   Alla fine di aprile, completate le pulizie della casa e trascorsa la Pasqua, nelle famiglie contadine bisognava svuotare "l'arca da pane": la madia dei rimasugli delle provviste, ultime tracce dell'inverno, per far posto ai nuovi frutti del prossimo raccolto. E così, le donne, trovandosi costrette ad utilizzare mucchietti di legumi diversificati, paste scombinate e odori essiccati, pensarono bene di consumarli tutti in una volta; ma educate al gusto ed al culto della buona tavola, li combinarono con le primizie fresche della primavera, legando il tutto con brodo di osso maiale  che rimaneva nella dispensa. Una mistura di antico e di nuovo , un vero rito di transizione e di propiziazione, un piatto che veniva mangiato con religiosa consapevolezza della continuità del tempo e della Provvidenza.







                                          La ricetta: una misticanza di antichi sapori e saperi.

Una suggestiva leggenda narra che questo piatto fu preparato per la prima volta da sette giovani donne, belle e naturalmente "virtuose", ciascuna delle quali buttò giù nella pentola un simbolo, una prova della propria abilità, mise un sapore, aggiunse un'erbetta, irrorò con una spezia.
Secondo i dettami dell'antica cucina, ai fini di una perfetta realizzazione delle Virtù  bisogna risalire ad un legame tra rituale alchemico e magia, secondo la formula dei numeri simbolici sette e tre, sempre ricorrenti.                      La ricetta prescrive, infatti sette verdure fresche di base (indivia, bietole, spinaci, cicoria, misericordia, borragine, lattuga); sette primizie dell'orto (zucchine, piselli, favette carciofi, carote, scarola); sette odori freschi (aglio, cipollina, aneto o finocchietto, maggiorana, salvia,  prezzemolo, e non deve assolutamente mancare l'erba poverina o pivirella, nota come "peperalle") rigorosamente provenienti dagli orti di" Cazzitt" o di "Tabbusse" all'Acquaviva; tre spezie (pepe, noce moscata, chiodi di garofano); sette legumi secchi (fagioli borlotti, fagioli cannellini, fagioli bianchi, ceci, lenticchie, fave, cicerchia o farro); sette tipi di pasta secca; sette tipi di pasta fresca; tre qualità di carne di maiale (cotiche, prosciutto, piedini). 
Si mette a cuocere in acqua, separatamente ciascun ortaggio, ciascuna verdura e ciascuno dei legumi. Ancora a parte si prepara il brodo con le carni del maiale tagliate a pezzetti. 
Quando tutto è pronto, si assembla e si mescola aggiungendo via via il brodo del maiale; aglio e cipolla tritati finemente, chiodi di garofano, noce moscata, finocchietto, pepe; si aggiunge man mano la pasta cotta. Si serve dopo circa un'ora, poiché il composto dovrà risultare non acquoso né troppo compatto, fermo restando che saranno l'esperienza, le capacità e il colpo d'occhio di chi cucina a sorvegliare sulla consistenza.  Alle  Virtù, già scodellate vanno aggiunti nel piatto carciofi indorati e fritti e zucchine indorate e fritte e pallottine di carne preparate a parte.
                         






                                                   Una pietanza tipica del cuore di Teramo

Ma c'è un elemento  che non può essere dimenticato: le Virtù rappresentano un uso ed una tradizione gastronomica nati nel cuore della città vecchia, “dentro le mura”. Questa esclusività era rivendicata e strenuamente difesa dalle cuoche cittadine, contro chi, "fuori le mura" osava cimentarsi con il rito culinario del primo maggio. E' questo, forse, l'aspetto meno noto, che però dà  vigore e sostanza alla tradizione: è l'emozione, l'atteggiamento psicologico di chi aderisce ad una comunità col cuore, con la mente, con il lavoro, con la vita e di essa si sente parte identificandosi con i luoghi,  con il cibo.

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli  
email: mancinellielisabetta@gmail.com

martedì 23 aprile 2019

Il lunedì di Pasqua


Il lunedì di Pasqua viene definito  popolarmente pasquetta o lunedì in Albis.
Questo denominativo  deriva dal fatto che nei primi tempi  la Chiesa amministrava il battesimo  durante la notte di Pasqua, ed i battezzandi  indossavano una tunica bianca che portavano poi   per tutta la settimana successiva, fino alla prima domenica dopo Pasqua, detta perciò "domenica in cui si depongono le vesti bianche" ("in albis depositis").
Nel calendario luterano, l'equivalente della domenica in albis è il "Quasimodogeniti".
L’altro appellativo “lunedì dell’angelo” prende il nome dal fatto che in questo giorno si ricorda l'incontro dell'angelo con le donne giunte al sepolcro.
Il Vangelo racconta infatti che Maria di Magdala, madre di Giacomo, Giuseppe e Salomè andarono al sepolcro, dove Gesù era stato sepolto, con degli olii aromatici per imbalsamare il corpo di Gesù.
Trovarono il grande masso che chiudeva l'accesso alla tomba spostato; le tre donne  smarrite e preoccupate  cercavano di capire cosa fosse successo, quando apparve loro un angelo che disse:
“Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui! è risorto come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto”.
E aggiunse: “Ora andate ad annunciare questa notizia agli Apostoli”, e si precipitarono a raccontare l'accaduto agli altri.

Il lunedì di Pasqua è un giorno festivo, introdotto dallo Stato italiano nel dopoguerra, ed  è stato creato per allungare la festa della Pasqua, così come è avvenuto per il 26 dicembre, indomani del Natale.
Il lunedì dell'Angelo anche  in Abruzzo come  in tutta Italia  è un giorno di festa che generalmente si trascorre insieme a parenti o amici con una tradizionale gita o scampagnata, pic-nic sull'erba e attività all'aperto.
Una interpretazione di questa tradizione potrebbe essere che si voglia ricordare i discepoli diretti ad Emmaus.
Infatti, lo stesso giorno della Resurrezione, Gesù appare a due discepoli in cammino verso Emmaus a pochi chilometri da Gerusalemme: per ricordare quel viaggio dei due discepoli si trascorrerebbe  il giorno di Pasquetta facendo una passeggiata o una scampagnata “fuori le mura” o “fuori porta”
"Pasqua e Pasquetta alla scoperta della natura" è una delle proposte del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
In programma escursioni tra le ultime nevi e i primi colori della primavera o sulle tracce degli animali dei boschi.
La Val Fondillo l'acqua, gli alberi e gli animali del parco.
Passeggiate all’Albero Solo per ammirare uno dei panorami più belli del Parco e alla via di Decontra un balcone sulla Camosciara
Una giornata all'aria aperta nel parco marino, lungo la pineta, in spiaggia, fino in cima a Torre Cerrano  organizzata  dall'Area marina protetta Torre del Cerrano per una pasquetta immersi nel verde e nella storia. Pic nic all'eremo di San Domenico.
Il Lunedì dell’Angelo è usanza che gli abitanti  di Villalago, paese vicino Scanno, scendano a piedi per raggiungere l’eremo di San Domenico come atto di devozione  dove poi si fermano per il tradizionale pic-nic di Pasquetta.
La festa del lunedì di Pasqua coincide con quella della Traslazione delle reliquie del Santo.
Si tratta di una usanza che per secoli ha accomunato vecchie e nuove generazioni di villalaghesi.
Nel corso della scampagnata si consumano poi i tipici prodotti pasquali, dai salumi ai formaggi alla pizza di Pasqua.
Un cenno a parte per la tradizione dei Talami di Orsogna che si celebra il martedì.
Musei aperti
Domenica  e lunedì  tutti i musei statali, le aree archeologiche e i monumenti saranno aperti al pubblico al fine di consentire  la riscoperta delle ricchezze del nostro patrimonio culturale.
Ecco l’elenco dei musei, delle aree e dei parchi archeologici statali che resteranno aperti:
Museo d'Arte sacra della Marsica, Celano
Area Archeologica di Amiternum, L'Aquila: ;
Area archeologica di Alba Fucens, Massa d'Albe: ;
Badia di Santo Spirito al Morrone, Sulmona
Museo archeologico nazionale La Civitella, Chieti: ;
Museo archeologico nazionale d’Abruzzo, Chieti
Parco Archeologico di Iuvanum, Montenerodomo
Museo nazionale Casa natale Gabriele D'Annunzio: Pescara: ;
Museo archeologico nazionale d'Abruzzo: Campli 

di Elisabetta Mancinelli
e-mail: mancinellielisabetta@gmail.com



lunedì 15 aprile 2019

La pupa e il cavallo: dolci tipici abruzzesi



La pupa e il cavallo sono due dolci tipici  della centenaria tradizione dolciaria abruzzese.
La memoria storica fa risalire queste prelibatezze al milleottocento, alle feste Pasquali e allo scambio di regali fra fidanzati e sposi.





Le  origini  di questa usanza si scindono  in due percorsi narrativi completamente differenti. Secondo la tradizione pagana  il dolce, dalle tipiche forme, veniva fatto ai tempi del fidanzamento, quando la coppia era solita presentarsi pubblicamente alle rispettive famiglie ognuno con il proprio vessillo.
Lo scambio dei dolci, avveniva in una cerimonia  sontuosa, durante la quale le rispettive famiglie, in segno di consenso all'unione dei due futuri sposi, si scambiavano rispettivamente i dolci a simbolo della futura unione: il cavallo alla famiglia della fidanzata e la pupa per quella del fidanzato. Vi è poi la tradizione cristiana della Pasqua e della Resurrezione legata a questi dolci; una tradizione che ci riconduce all'ultima cena quando Cristo spezzò il pane e lo distribuì agli apostoli.  La rottura del dolce in questo caso simboleggia  lo stesso gesto di amore e di solidarietà dell’evento cristiano.
Questi tipici dolci  , che venivano  preparati dalle nonne la sera del giovedì Santo e  donati  ai più piccoli nel giorno di Pasqua, prevedeva la creazione di  una semplicissima pasta frolla dalle forme divertenti  :per le bambine  a forma di pupa  e per i maschietti di cavallino: entrambi avevano sulla pancia,  racchiuso da due strisce di pasta a forma di croce, un uovo che simboleggia la rinascita e il perdurare della vita e dell'unione.  I tratti somatici e le decorazioni erano molto semplici e primitivi La pupa   aveva la forma di una conca ,tipico vaso di rame con cui le donne andavano a raccogliere l'acqua alla fonte, con le braccia appoggiate alla vita e i fianchi larghi, e un seno abbondante sottolineato da una striscia di pasta, quasi a formare una virgola attorno alle rotondità con il capezzolo evidenziato. Sia la pupa che il cavallo  venivano  ricoperti di confettini colorati, per gli occhi  due chicchi di pepe nero e chiodi di garofano, per la bocca uno o due chicchi di caffe'.
                                        
 L’ANTICA RICETTA DELLE NONNE 
Ingredienti:
150 gr burro morbido,60 gr latte.1 uovo,1 tuorlo,125 gr zucchero,la scorza di limone,un pizzico di sale, 350 gr di farina 00,1/2 cucchiaino di lievito per dolci.
Per decorare: 2 uova  sode e  perline colorate

Procedimento:

Fate la fontana con la farina e il pizzico di sale, al centro mescolate il burro con lo zucchero, aggiungete il latte poco alla volta e le uova. Mescolate raccogliendo la farina dai lati, aggiungete il lievito e la scorza di limone. Se vedete che l’impasto è umido aggiungete altra farina, fino a quando otterrete una palla soda. Fate riposare il frigo per mezzora. Poi ricavate con la frolla delle figure, una pupa e un cavallo a mano o con gli appositi stampi. Ricavate delle strisce di frolla con cui attornierete le uova sode sul dorso e sul ventre della pupa. Decorate con perline e codette ed infornate nel forno preriscaldato a 180° per 30/40 minuti, o finché non si dora la superficie.

A cura di Elisabetta Mancinelli  
e mail: mancinellielisabetta@gmail.com




sabato 6 aprile 2019

Claudia Mancini artista poli creativa tenace e fantasiosa




Claudia Mancini  nasce a Pescara nel 1967, perde il suo papà all'età di 10 anni ma  la sua infanzia scorre  spensierata  e  felice  con le sue 3 sorelle e sua madre. Si sposa nel 1993 costruendo così la sua famiglia. Diviene  madre di 3 figli, di cui uno Siro diversamente abile.
 Nel  2000  con la  nascita  di  questo  bimbo, la sua vita cambia e giorno dopo giorno impara ad affrontare i suoi problemi in modo diverso. Pian  piano si crea  dei suoi spazi che l’aiutano ad essere più serena ed a uscire  dalla routine delle sue difficili giornate e dai suoi problemi. Frequenta con  questo  intento un corso di fotografia, un corso di informatica e un corso di ballo di gruppo e di coppia.   
La sua passione per i lavori all'uncinetto inizia sin  da piccola accanto a sua madre da cui apprende  pian piano quest’arte.   
Ma è nel 2014 che inizia, incoraggiata da delle amiche, a partecipare ai suoi primi mercatini, esponendo lavori all'uncinetto, ai ferri e di cucito creando anche degli abiti per una Maison di Pescara.


Successivamente nel 2016 amplia le sue tecniche  imparando a lavorare un materiale innovativo, la gomma Eva, con cui  crea fiori, bomboniere e altri oggetti creativi: GLI ACCESSORI DI CLAUDIA.                                           
Trasformare e ideare oggetti artistici è il suo modo di rilassarsi dopo una giornata da MAMMA: una parola dolce che implica, soprattutto nel suo caso, grandi responsabilità. Le piace pensare che le sue opere siano dei doni da offrire alle persone care per dimostrare loro quanto siano speciali uniche proprio come le sue creazioni.  Spinta dal desiderio di condividere questa sua passione, dal 2018 ha iniziato ad organizzare dei corsi di uncinetto per principianti  perché crede sia una forma d’arte da riscoprire e tramandare.

Dall'inizio del 2019 ha cominciato  ad organizzare personalmente esposizioni in vari luoghi d’Abruzzo  a cui partecipano personaggi creativi  come lei che espongono varie tipologie di oggetti secondo la loro fantasia e genialità. Dall'unione di più persone motivate da comuni interessi e predisposizioni artistiche,  è nata l’idea del COFFEE CROCHET: un gruppo che una volta alla settimana si riunisce per dedicarsi ad nobile obiettivo: i lavori di solidarietà.




Claudia con la sua passione e la sua tecnica  crea delle  piccole opere d’arte con una cromaticità davvero suggestiva, per questo ha ottenuto riconoscimenti da diverse Associazioni quali: “Auser- UniLieta” , “I  colori della vita”.
Domenica 7 aprile la nostra artista sarà la coordinatrice della “FIERA CREATIVA E SOLIDALE”  che si svolgerà dalle 9,30 alle 19 presso il Parco Villa de Riseis a Pescara organizzata da “Aurora valori & sapori, in collaborazione con “La combriccola creativa”, “I colori della vita e “Laboratorio fantasia”.


Recensione a cura di Elisabetta Mancinelli
email   mancinellielisabetta@gmail.com
Le foto sono state concesse personalmente da Claudia Mancini

venerdì 5 aprile 2019

Omaggio a L’Aquila nel 15° ANNIVERSARIO del TERREMOTO

Lunedì  6 aprile 2009: ore 3,32 il terribile sisma di 6.3 gradi della scala Richter.  Il calendario segna quasi  per  incredibile coincidenza   il surreale  giorno  che sta  per  sorgere:  San Celestino I  precursore di Pietro del  Morrone.   




In  soli  28  secondi  si  compie  il  destino  dell’Aquila, dei  suoi  abitanti e delle zone limitrofe, seminando orrore e dolore: 309 vittime, oltre 1.500 feriti, decine di migliaia di case distrutte e oltre  10  miliardi  di  euro  di danni  stimati.

Raccontando la  storia di  questa sfortunata città  e dei  suoi  più pregevoli monumenti, facciamo omaggio a L’Aquila che si è meritata i prestigiosi appellativi di "Firenze d'Abruzzo" e "Salisburgo d'Italia” per la quantità cospicua di opere d’arte e monumenti  molti dei quali sono stati gravemente e irrimediabilmente danneggiati dal sisma.

L’AQUILA :  LA SIGNORA  DEGLI  APPENNINI   - LA  SUA  STORIA

L’Aquila  è  situata in un suggestivo paesaggio tra montagne e boschi  nel  Parco Nazionale  ai piedi del Gran Sasso, su un’altura di 714 m dominante la valle del fiume Aterno. La città  fu fatta costruire dal grande imperatore Federico II  il quale le diede il compito di affermarsi come capitale spirituale.    
                           
Ha circa  800  anni.  Sorse infatti   intorno alla metà del XIII secolo sui resti del precedente sito romano  di Amiternum.  Dopo  la distruzione ad opera di Manfredi (1259) risorse come libero comune. Contava 99 piazze, e 99 castelli, ognuno dei quali eleggeva il proprio sindaco. Grazie all'autonomia politica e amministrativa, lo sviluppo economico e territoriale fu rapido. L'Aquila poté battere moneta propria, un vero privilegio dell’epoca medievale, e dare impulso ad  attività specifiche, quali l'industria della seta, della lana e dei merletti, e alla coltura dello zafferano, che le fecero assumere il ruolo, seconda solo a Napoli, di centro più importante del Regno Angioino. Resistette vittoriosamente a Braccio da Montone che il 2 giugno 1424 l'attaccò, ma rimase sopraffatta dalle milizie di Giovanna II comandate da Giacomo Caldora; appoggiò la casa d'Angiò contro Alfonso d'Aragona, e nella seconda metà del 1400 raggiunse l'apogeo della sua potenza. Il suo declino cominciò  negli ultimi anni del XV sec.  quando L'Aquila si trovò coinvolta nelle guerre tra Francia e Spagna, appoggiandosi prima a Carlo VIII e poi all'imperatore Carlo V. Occupata nel 1529  dal viceré  Filiberto di Chalon, principe d'Orange, fu saccheggiata e in parte distrutta, subendo anche forti perdite territoriali e gravi imposizioni fiscali da parte del governo imperiale. Persa  così  l'autonomia e  funestata   da una  serie  di   terremoti   ed epidemie, fu   scenario di continue  ribellioni  interne  fino  al XVIII  sec. quando  salì al trono di  Napoli  Carlo III,  dei  Borboni di  Spagna, che cercò di risollevarne le condizioni economico-sociali. 
Ma nel 1799, L'Aquila fu costretta a subire un nuovo saccheggio da parte francese, e durante il regno di Murat fu privata di considerevoli tesori artistici. Nel periodo risorgimentale, dopo la restaurazione borbonica, partecipò ai moti del 1821, del 1831 e del 1848, e dichiarò la sua annessione al regno d'Italia l'8 settembre 1860, subito dopo l'entrata in Napoli delle truppe garibaldine. Il 2 febbraio 1703 si verificò un devastante terremoto che causò più di 3.000 vittime.                
                                      
                       LA  CITTA’  DEI  SOGNI  DI  FEDERICO  II

L’imperatore svevo  la volle  dalla  forma   simile  alla  pianta   di Gerusalemme: la  città  Santa che lo aveva ammaliato durante la vittoriosa Crociata, dotandola così del doppio ruolo di capitale e centro spirituale; aveva bisogno in realtà di una nuova capitale  nel nord  del  Regno di  Sicilia  che facesse da testa di ponte tra esso  e  il regno pontificio e  si avvicendasse a Roma.
 Federico, come sua consuetudine, mise in moto la sua potente macchina organizzativa  con costruttori e astronomi.  Nacque   così  la più grande città del  medioevo  con  un disegno urbanistico di base semplice  dal cui centro si diramano i quattro bracci di  una  croce quadrata.   Le impose il nome Aquila come il sigillo imperiale, obbligò la distruzione di tutti i castelli  nelle terre adiacenti, costruì il castello imperiale probabilmente individuabile nell'attuale basilica  di Collemaggio.  
L’edificazione delle chiese venne disposta per trascrivere a terra la costellazione Aquila che fu  scelta  in quanto, come riferiva l’astronomo di Federico II, le antiche popolazioni  avevano per essa la stessa idolatria riposta nel Sole, perché,  dal punto di vista astronomico,   si alterna con   la  costellazione  della Lepre,  come  il  Sole con la Luna. Ogni  chiesa  aveva  la  sua  stella corrispondente,  la  città  stessa rappresentava  il  Sole : l’astro  intorno        a  cui tutto ruota.    
La “costellazione di chiese”  venne  racchiusa  dalle  mura  fortificate. Il  disegno topografico della città doveva svolgere la duplice funzione di simboleggiare un messaggio celeste e profetico che la indicasse come “città dello spirito e del rinnovamento”. Per questo  fu plasmata    in modo  tale che nella forma sembrasse un’aquila dalle ali spiegate e ricalcasse la pianta di Gerusalemme nel disegno delle mura perimetrali, ancora oggi visibili.                                                        
    
Se si osserva infatti  l’antica mappa di Gerusalemme e la sua cinta muraria è praticamente uguale al centro storico di Aquila: la disposizione delle 12 porte murarie, il corso principale tagliato da via Roma (a L’ Aquila) forma la croce dei  4 cantoni. Le due città inoltre sorgono entrambe su colline L’ Aquila è a 721 metri e Gerusalemme a 750 metri. Se si confrontano le mappe urbane del XIII secolo e si fanno ruotare entrambe si ottiene una sovrapposizione più o meno precisa. Altra importante conformità topografica è la disposizione dell’urbanizzazione rispetto ai  fiumi Cedron e Aterno che scorrono entrambi fiancheggiando le città e ancora  tra il  monumento denominato “Piscina di  Siloe” di Gerusalemme e l’aquilana “Fontana delle 99 cannelle”, opere di ingegneria idraulica adiacenti a porte murarie nella parte più bassa. A nord di Gerusalemme svetta il monte del Tempio che corrisponde alla antichissima chiesa di Santa Giusta e il monte degli Ulivi della Città Santa è in relazione con il colle aquilano su cui sorge la basilica di Collemaggio.
                                   
                                  
  LA BASILICA DI COLLEMAGGIO
La Basilica di  Collemaggio costruita probabilmente dai cistercensi quale primo castello cittadino imposto  da Federico II, fu consacrata il 23 agosto 1288 nel ventennale della battaglia di Tagliacozzo, in cui gli Angioni prevalsero sugli Svevi nei domini italiani. Sorge sul colle che domina la sottostante valle dell’Aterno ai confini delle mura difensive della città in una zona ricca di falde acquifere, cosa che sia per le antiche popolazioni italiche che per i Cistercensi erano condizioni ottimali  per la costruzione di un’abbazia fortificata. Simbolo della città è una delle pochissime chiese al mondo ad avere, al pari della basilica di S. Pietro in Roma, una Porta Santa.

Le origini del tempio, eretto tra il 1283 e il 1288, sono legate all'umile eremita Pietro da Morrone che pochi anni dopo, nel 1294, fu incoronato Papa nella stessa chiesa aquilana con il nome di Celestino V.   Le sue reliquie sono custodite all'interno della basilica, in un mausoleo del 1517 che rappresenta un autentico capolavoro rinascimentale. Fu eseguito nel 1517 da Girolamo da Vicenza con i fondi messi a disposizione dalla corporazione dei lanari della città. All'interno vi è un'urna dorata che sostituisce le due precedenti, la prima trafugata nel 1528 dalle truppe del principe Filiberto d'Orange e la seconda nel 1799 dalle truppe di Napoleone Bonaparte. La terza urna fu donata ai primi degli anni '70 del Novecento da monsignor Mario Pimpo, prelato del Vicariato di Roma, di origini aquilane. Ogni anno, il 29 agosto, nel capoluogo si celebra la Perdonanza Celestiniana, con apertura della Porta Santa e indulgenza plenaria concessa dal papa eremita. La facciata, eseguita nella prima metà del XIV secolo, è ricoperta da un insieme di masselli di colore bianco e rosso che la decorano con motivi geometrici caratteristici in modo da creare un duplice effetto ottico. I due colori erano molto utilizzati nelle dimore di Federico II e dei Cistercencensi;  il bianco  l’emblema della divinità, della purezza e della fede, il rosso simbolo dello Spirito Santo inteso come Amore e Fuoco che purifica. Questo arricchimento decorativo avvenne quando fu stabilito che la chiesa sarebbe divenuta la nuova sede pontificia. Il compito della sua decorazione fu affidato ai maestri Cosmati un gruppo di famiglie di artigiani del marmo che diedero vita a una fiorente produzione di splendidi pavimenti.
Nella facciata  si aprono tre porte, delle quali la mediana risulta essere la più imponente e fastosa, decorata da un insieme di archi a tutto  sesto concentrici ed avente all'interno per ciascun lato nei  due ordini di nicchie, sculture di impronta gotica.  Il portone, barocco, è del 1688.  A queste tre porte corrispondono, i tre rosoni che le sovrastano di cui quello centrale è il maggiore per dimensioni e complessità.  L'interno della basilica è costituito da tre navate, divise da pilastri a base ottagonale, sui quali poggiano arcate ogivali. Il pavimento della  navata centrale è formato dall'alternanza di mattonelle bianche e rosse secondo un motivo che riprende quello della facciata principale. In molti punti sono presenti curiose forme geometriche e labirintiche che donano al pavimento un carattere simbolico molto suggestivo.

                                                LA FONTANA DELLE 99 CANNELLE
La Fontana delle 99 Cannelle è il simbolo monumento di Aquila l’unico rimasto intatto nel sisma del 2009 così come resistette agli altri due eventi catastrofici subiti nel 1400 e nel 1703. Dall'osservazione e dagli studi su questo primo portentoso monumento di cui si arricchì la città, presero forma le leggende che l’hanno caratterizzata. Una di queste antichissima, che vive ancora nella memoria di alcuni anziani, così racconta: “Un grande mastro muratore costruì la fontana delle 99 cannelle. La sua opera fu talmente innovativa che i mandatari gli chiesero se fosse in grado di costruirne un’altra identica. Alla risposta affermativa il maestro fu ucciso e sepolto nel centro della fontana”.  Il maestro che costruì la fonte era un monaco cistercense Tancredi da Pentima (oggi Corfinio). L’elemento base del monumento è l’acqua da cui ha origine la vita, la purificazione, conduttrice di  energia è comune in tutti i luoghi sacri  e simboleggia l’ingresso ad uno stadio superiore ad una partecipazione universale.


La fontana si presenta come uno strano quadrilatero, le cannelle da cui sgorga l’acqua ininterrottamente da secoli, sono inserite in novantatré mascheroni dalle diverse raffigurazioni disposte in linea, ad altezza d’uomo lungo le pareti di tre lati, ad una distanza di un metro tra l’una e l’altra, l’ingresso della fontana è aperto. L’acqua si riversa in un vascone di pietra, poi attraverso alcuni canali di pietra, scivola nella vasca più in basso di poco rialzata rispetto al piano del pavimento da cui infine defluisce. Le maschere sono intervallate da mattonelle rettangolari di colore rosso che hanno un fiore centrale in bassorilievo, cinque di esse sono bianche e una sola non ha il fiore inciso ma un cerchio in rilievo con un punto centrale. Secondo alcune fonti storiche le cinque pietre bianche rappresentano le 5 piaghe di Cristo e i fiori che adornano le pietre simboleggiano la funzione di ‘infiorare il tempio’; la pietra col disegno circolare (classico geroglifico del Sole) è la ruota zodiacale che ricorda la ciclicità dell’evento.
                                                    
                                                       Il  Forte  Spagnolo
Altri monumento  rappresentativo della città è  il poderoso Forte Cinquecentesco, una delle principali fortezze  presenti  in Italia, chiamato "Forte Spagnolo" perché fu fatto  costruire nel 1534  per volere dei governatori spagnoli; la direzione dei lavori fu affidata a Pirro Luis Escrivà che aveva fama di essere un grande architetto soprattutto esperto nella realizzazione di fortificazioni.

Egli  trasformò il Castello in una vera e propria macchina da guerra e fece in modo tale che, in caso di combattimento, potesse offrire difesa e controffensiva. Si tratta di una struttura imponente, a pianta quadrata che presenta agli angoli massicci bastioni con uno schema che viene definito a “punta di lancia” proprio per la loro somiglianza ad una lancia che si erge verso il cielo. Interamente è circondato da un fossato profondo e molto ampio e l’ingresso è definito da un ponte in muratura che inizialmente presentava la “camminata”in legno, distrutta poi nel 1883, sostituita oggi dalla pietra che permette di percorrere il tragitto del ponte fino a raggiungere il Portale d’ingresso che presenta lo stemma di Carlo V.  Il Portale maestoso e bianco , fiancheggiato da lesene in ordine dorico; sormontato dall’Aquila bicipite ha nella parte superiore la scritta latina “ad reprimendam audaciam aquilanorum”.  ll fascino della struttura, però, non è dovuto solo all'edificio ma anche al museo  ospitato nelle quarantuno sale del Castello che accolgono  numerose opere, le quali sono disposte a seconda del loro genere.  Al pian terreno in due sale sono esposti reperti archeologici che provengono in parte da abitati ed in parte da necropoli e documentano la vita delle popolazioni del posto tra il III ed il I millennio a.C. 
Non mancano  oggetti databili tra il VII a.C. ed il III secolo d.C. che sono testimonianze provenientida Amiternu, Peltuium, Aveia. Nella sala, sempre al primo piano, che un tempo era una cisterna per l’acqua di cui usufruivano i soldati che vi si rifugiavano, si trova un colossale scheletro di Arkidiskon Meridionalis Vestinus,  un grosso Mammut molto antico che fu rinvenuto nel 1948 a Scoppito e inserito l’anno dopo nel museo che era stato inaugurato da pochissimo. La seconda sezione è quella dell’arte sacra in Abruzzo dal XII al XVI secolo, il motivo ricorrente è la Madonna con Bambino. Il rinascimento invece viene rappresentato dalla scultura lignea che utilizza più colori come nel San Sebastiano di San Silvestro dell’Aquila o le Storie di San Giovanni da Capestrano. Tra le opere pittoriche spiccano quelle di Pietro Alamanno e del celeberrimo Saturnino Gatti, del quale in particolare nel museo si può vedere la Madonna del Rosario. Nella sezione dedicata al genere dell’oreficeria ci sono tantissimi esempi legati all'arte orafa abruzzese come le croci dei santi più importanti d’Abruzzo, o i reliquari fra cui quelli preziosissimi di San Giovanni e San Francesco. Mentre tra i tessuti ci sono soprattutto opere collocabili tra il XV ed il XVIII secolo  una di queste è la Coperta che, secondo la tradizione, è stata utilizzata per coprire il manoscritto di pergamena di San Pietro Celestino. Non mancano merletti creati col “tombolo”, lavorazione tipicamente aquilana, oltre che rasi intessuti in oro ed in argento  decorati con motivi floreali. Il pianoterra e il piano interrato ospitano la sezione dedicata all'arte moderna e contemporanea ed  ha  il merito di aver riunito opere di grandissimi artisti  soprattutto del ‘900: pittori scultori, grafici, del calibro dei fratelli Cascella, Torres, De Sanctis, Spoltore e molti altri che sono stati importanti anche in ambito nazionale.

                                       LA CHIESA DI SAN BERNARDINO DA SIENA
La sua facciata rinascimentale, elegante e maestosa, spicca per il candore della pietra con grande effetto scenografico in cima alla salita di Via Fortebraccio.


 La costruzione della basilica fu iniziata nel 1454, a soli quattro anni dalla canonizzazione di San Bernardino da Siena  ma dovettero essere interrotti nel 1461 a causa di un terremoto. La costruzione, ripresa nel 1464 e proseguita fino al 1472, portò alla realizzazione della cupola; questo consentì che vi potesse essere degnamente custodito il corpo del Santo, divenuto a quell'epoca il protettore  della città. In una seconda fase di lavori venne realizzata la suggestiva facciata, rimasta però incompiuta addirittura fino ai primi del Cinquecento, quando morì  Silvestro dell’Aquila (nel 1504) l’artista e architetto che aveva diretto fino a quel punto i lavori.Nel 1506  Papa Giulio II   esortò gli aquilani a completare la chiesa al più presto e l’incarico fu  affidato all'architetto e pittore  Cola dell’Amatrice che seguì i lavori con grande passione, dal 1525 al 1527, riuscendo in così poco tempo a terminare la fascia più bassa della facciata, con i tre portali, come testimonia l’incisione sull'angolo sinistro del cornicione. Fu completata poi definitivamente nel 1542.





Ma il capolavoro della scultura rinascimentale aquilana, firmata dal suo più importante esponente Silvestro dell’Aquila, è senz'altro il monumentale Mausoleo di San Bernardino che trionfa nel cappellone affrescato da Girolamo Cenatiempo.
Venne commissionato a Silvestro nel 1489 da Jacopo di Notar Nanni e fu completato dal nipote ed allievo Angelo, detto l’Ariscola, nel 1505..La Basilica è stata gravemente danneggiata dal sisma del 6 aprile 2009 ed è attualmente in fase di restauro. Tutti i suoi tesori d’arte sono stati salvati o messi in sicurezza. Nel lungo elenco dei  mirabili  monumenti di questa città devono essere comprese anche la  chiesa di S. Giusta di Bazzano (XIV sec); la cattedrale, di origine duecentesca, di S. Massimo e S. Giorgio; la chiesa di S. Agostino (XVIII sec.); etc e  decine di splendidi palazzi gentilizi, edificati tra il XV ed il XX secolo, spesso arricchiti da bellissimi cortili con scenografici porticati ad archi sorretti da colonne e monumentali scalinate. Numerose stupende frazioni sparse nei dintorni della città inoltre  conservano monumenti o reperti di notevole interesse storico-artistico. Tra queste: S. Vittorino, dove si trovano il Teatro e l'Anfiteatro Romano dell'antica Amiternum, la chiesa di S. Michele (XII sec.) e la catacomba di S. Vittorino;  Paganica, con il suggestivo Santuario della Madonna d'Appari (XIII sec.), incastonato nella roccia  con la volta tappezzata da eravigliosi affreschi; Civita da Bagno dove sono visibili i resti della cattedrale di S. Massimo a Forcona (VII sec.) e il pittoresco borgo fortificato di Assergi, che custodisce la bellissima chiesa di S. Maria Assunta del 1150.

                                       L’Aquila non è una città morta.

Quindici anni dopo il terremoto del 6 aprile che ha  stravolto per sempre la città,  dopo macerie, zone rosse, militari, inchieste, processi, promesse e delusioni, L’Aquila sta riprendendo. Si sta finalmente rompendo  quel silenzio surreale che per anni ha caratterizzato il quinto centro storico più grande d’ Italia.

Le facciate dei palazzi antichi sono tornate a splendere a fianco  edifici meno importanti e fortunati che invece ancora per molto tempo saranno ingabbiati da travi di ferro ormai arrugginite. Ma la città è rinata solo a metà: le scuole non sono ricostruite e nel centro manca la vita vera. Tanto è stato fatto ma molto resta da fare. 
La situazione della ricostruzione pubblica procede molto a rilento  resta  ferma a metà, avanza invece  la ricostruzione privata, con quasi i due terzi delle case ricostruite ma ci vorranno ancora forse quattro anni per mettere la parola fine, come pure  nelle frazioni dell’Aquila, a partire dalla tristemente nota Onna che dieci anni fa fu epicentro del terremoto, e dei Comuni del cratere. Un percorso complesso che purtroppo è andato rallentando negli anni, anche se era partito subito dopo la tragedia con le migliori intenzioni. La Caritas, ha realizzato 48 centri di comunità ma ci sono ancora  tanti cantieri aperti sia  nel centro storico del capoluogo che  nelle zone periferiche  in cui i lavori dureranno diversi anni. Oltre ai palazzi da ricostruire c’è una città fatta di persone che  il terremoto ha ferito, disorientato. L’ Aquila prova a rinascere e  sul volto degli aquilani la rassegnazione ha preso il posto della speranza.


 Ricostruzione storiografica a cura  di Elisabetta Mancinelli 
I documenti sono tratti dagli Archivi di stato e da “La rivelazione dell’Aquila” di Ceccarelli, Cautilli, Proclamato.
Le immagini sono tratte dal Web e dal testo suddetto.