mercoledì 27 febbraio 2019

ANDREA ASTOLFI: poeta visivo e suggestivo pubblica la sua ultima raccolta "Abbiamo fatto un film”.



Andrea Astolfi, nato ad Atri  nel 1990,   è  un poeta  visivo di  “monoversi”, frames lirici, fotografa parole e si  ispira agli haiku giapponesi ma ne elimina la metrica. La nuda  pagina bianca sovrasta e restituisce peso al pochissimo testo steso. Con fotogrammi di senso, l’autore cerca di catturare il qui e adesso, lasciando libero il lettore di vagare con la fantasia.
Autore di poesie inserite nella Raccolta Pubblica di Poesia (Tempi Diversi 2015; 2017), in Charlas (Tapirulan, 2017) e in Arcipelago Itaca blo-mag (Arcipelago Itaca, 2018). Voce e cofondatore del progetto musicale Personne, e con all’attivo l’album Inverso Autoprodotto, 2016).  

Il suo ultimo libro “Abbiamo fatto un film” è un libro / oggetto d’arte, capace di infinite narrazioni estetiche e contenutistiche.

Della serie, quando il vuoto può dire molto, se non tutto.  
Una sorta di risposta, la sua, al diluvio di chiacchiericcio senza senso che riveste la nostra epoca. Alla letteratura in streaming.        
"Più della risposta, complichi la domanda. «È un libro costruito per sottrazione piuttosto che per implementazione, dal momento che sono arrivato alla forma attuale del libro attraverso la decostruzione di un libro omonimo di poesia lirica che non vedrà mai la luce. È quindi un libro sulla decostruzione della materia poetica e sulla possibilità creativa che ne deriva – spiega Astolfi - Abbiamo visto un film difatti inizia come un libro di poesia tradizionale, ma presto il meccanismo si inceppa e la scrittura inizia ad asciugarsi progressivamente. Si arriva così a una scrittura che guarda all'haiku (ma non si tratta di haiku) e all'estetica del vuoto sino/giapponese, che inizia a trapelare mano a mano sulla pagina. Questo libro difatti segna una svolta nella mia ricerca, ovvero un passaggio da una scrittura in forma di poesia lirica a un primo livello di non-scrittura, di grado zero della scrittura. Credo sia un libro che tenda più verso il mondo dell’arte propriamente detta. Il bianco della pagina è centrale in tutto il discorso che si dipana, poiché permette al lettore una libertà e una possibilità immaginativa molto forte che in un discorso articolato verrebbe necessariamente meno”.
Alle primissime battute “Abbiamo visto un film” potrebbe apparire l’ennesimo libro di poesia contemporanea; tuttavia basta procedere poco oltre per accorgersi che le cose non stanno esattamente così. Il meccanismo difatti si inceppa presto e la scrittura inizia ad asciugarsi progressivamente, fin quasi a ridursi al silenzio. Si arriva così ad una versificazione che guarda all'haiku – ma non si tratta propriamente di haiku – e all'estetica del vuoto sino/giapponese, che a mano a mano sulla pagina inizia a trapelare. Questo libro difatti segna una svolta fondamentale nella mia ricerca artistica, segnalando un passaggio da una scrittura poetica ad un primo livello di non-scrittura, di grado zero della scrittura. Abbiamo visto un film non è esattamente un libro di poesia; è un libro sulla decostruzione della materia poetica e sulla possibilità creativa che ne deriva. Esso è stato stampato su carta scelta in sole 150 copie numerate e firmate, è in doppia lingua italiano/inglese, è un'autoproduzione ed è sprovvisto di isbn, scelte quest’ultime, oltre che politiche, stilistiche (anche l’album Inverso del mio duo musicale Personne - vedi www.personnemusic.it - è stato autoprodotto come anche il mio primo libro ράω, sprovvisto anch'esso di isbn e stampato in poche copie). Personalmente ho curato ogni aspetto del manufatto artistico (ad eccezione della traduzione dall'italiano all'inglese che è stata fatta da Alberto Assouad), dalla scelta del formato, al tipo di carta, copertina – e via dicendo –, perché credo che l’autore abbia la responsabilità assoluta dell’intero manufatto. Abbiamo visto un film è stato inoltre finalista al Premio Letterario Beppe Salvia 2018.

Poesie dalla raccolta “Abbiamo visto un film”.






Ti ho tenuto la mano stretta
ti ho passato la bocca sulla faccia
come i cani col gelato del padrone.
Ti ho scattato una foto quella sera.
Sorridi piano, ti copri la bocca
con la mano bianca
come quando
con la mano prossima venivi alle labbra belle.




Ti ho baciato
nel vento ti ho preso
in un abbraccio siamo stati, un bacio
senza nome. Ci attendeva
una mattina in un bar
la lunghezza di un’autostrada – che porta lontano
il cuore
di una città vuota e sola,
le porte di una stazione
nel sole di agosto.




La stanza bianca, la finestra
sul mare, i versi dei gabbiani.


Recensione a cura di Elisabetta Mancinelli  
email mancinellielisabetta@gmail.com

Ricordo di Silvi e delle variopinte vele sull’antico Adriatico del poeta teramano Fedele Romani

Laureatosi in lettere alla Normale di Pisa insegnò prima al liceo di Teramo e poi a Firenze dove visse fino alla morte nel 1910.
I suoi interessi culturali furono estremamente differenziati.
Notevole l'apporto agli studi danteschi con la pubblicazione di numerosi saggi per la "Lectura Dantis".
Si occupò inoltre di  dialettologia  e pubblicò approfondite indagini relative alle parlate d’Abruzzo, Sardegna, Calabria e Toscana e collaborò con numerosi periodici tra i quali La Gazzetta di Teramo, il Corriere Abruzzese. 
Fu caro amico di Giovanni Pascoli, che gli dedicò i  Poemi italici. La sua fama è legata soprattutto all’opera narrativa.
Ebbe vasta risonanza la pubblicazione di Colledara : libro di memorie che descrive personaggi e vita quotidiana di varie località abruzzesi che rappresenta la sua autobiografia intellettuale.
Fu anche autore di poesie nel dialetto della montagna teramana.
L’INCANTEVOLE VILLAGGIO DELLA SILVI DI UN TEMPO descritto da Fedele Romani
Nei primi anni del ‘900 il paese aveva ancora un aspetto selvaggio : sia la spiaggia che le colline circostanti erano ricoperte di boschi ,da qui il nome “Silvi” dal latino “Silvae” che indica appunto questa antica conformazione del litorale.
Un litorale che all’epoca aveva colori che andavano dal verde bottiglia dei boschi circostanti al verde-turchese del mare Adriatico quel mare che D’Annunzio chiamò “selvaggio, verde come i pascoli dei monti”.
Il Romani ebbe più volte occasione nella sua vita di visitare Silvi e nel 1909 così definisce questo incantevole villaggio:
“la spiaggia è tra le più belle d’Italia tutta verdeggiante di vigne e d’ulivi, tutta ridente di villette, variamente sparse ed aggruppate”.
In una di queste visite recatosi sull'altura dove sorge il paese, godendosi lo spettacolo in cui l’occhio può spaziare da una parte fino al promontorio di Ancona e dall'altra allo sperone del Gargano, così descrive le vele dipinte variopinte che solcavano le onde dell’Adriatico sottostante.
“ Un non so che di barbarico e orientale e dirò di turchesco… Andavano vagando qua e là per il mare le paranze delle vele dipinte a vivi colori, i quali, poiché tra essi predominavano il giallo e il rosso, formavano mirabili e liete armonie. Ogni barca o, per dir meglio ogni coppia di barche nelle acque abruzzesi, porta il sacramento. La luna, il sole, la croce… Si sentono tra i marinai frasi come queste: è uscito il sacramento, è uscito il sole, è uscita la croce per indicare che le barche con questi emblemi si sono avanzate in mare per la pesca”.
In un interessante documento del primo decennio del Novecento il poeta e scrittore Romani, che si trovava in Germania a Colonia, descrive una particolare peculiarità del magico paese: l’uva d’oro.
“Nella vetrina di un negozio scorsi al posto d’onore alcune scatole d’uva fresca, d’un biondo così puro e trasparente che pareva staccata allora dalla vite”.
Quell’uva, indicata col nome di “Goldhi-vauben” appunto uva d’oro, era l’ appellativo usato in genere dai tedeschi nei riguardi dell’uva di Silvi.
Fu essa a porgere al poeta il nostalgico saluto alla sua terra d’Abruzzo.
Anche Gabriele D’Annunzio, che nel periodo del Cenacolo francavillese si recò spesso a Silvi con i suoi amici e da solo, trasse probabilmente ispirazione dalla visione delle paranze che numerose uscivano nel mare antistante il paese per la pesca quando compose questi inimitabili versi:
“Rientran lente da le liete pèsche sette vele latine, e portan seco delle ondate fresche di fragranze  marine. Son bianche, rosse, gialle e su ci raggia l'occhiata ultima il sole; s'allunga l'aura una canzon selvaggia”.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli 
email mancinellielisabetta@gmail.com

POLVERE DI EVENTI: culla d’arte e di cultura d’Abruzzo organizza un importante evento, “Un violino in giardino... emozioni al tramonto".

L'Azienda abruzzese "Polvere di Eventi",  ideata, creata e curata da Monica Recchia,  si occupa del rilancio del territorio attraverso eventi di d’arte e di cultura.




Monica Recchia nasce a Pescara, città dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza.
Attualmente vive e ha sede lavorativa  a Civitaquana, in  una  caratteristica location in campagna tra le dolci e sinuose colline della provincia pescarese. Sin da piccola mostra   una spiccata sensibilità,   e dopo essersi diplomata  inizia a dedicarsi alla creazione di eventi  che  nel corso degli anni la  portano a raggiungere  traguardi importanti,  ben oltre la sfera professionale. Persona eclettica, creativa e amante della natura come perfetta forma d’arte, ha fatto della sua passione la principale occupazione diventando Wedding Planner ed Event Planner. La sua formazione vanta le migliori accademie italiane: la WEA Academy di Roma e la ENZO MICCIO Academy
La passione verso l’arte l’avvicina all’amore per il suo territorio e al desiderio di rilanciarne le peculiarità  le tradizioni attraverso gli eventi ed è così che nasce la sua creatura tanto desiderata: l’azienda “POLVERE DI EVENTI”.
Monica Recchia ha ideato uno showroom innovativo, che trae la sua forza dal racconto minuzioso di tutte le location abruzzesi più belle divise per province e rappresentate  su schermi ad alta definizione insieme a sfilate di moda , di abiti da sposa delle migliori aziende di alta moda.
Un lavoro  minuzioso  elaborato  in sei mesi da lei    e il suo team di collaboratori mediante un vero e proprio tour in giro per l’Abruzzo, in cui  lei  ha ammirato  ed  amato  i luoghi che filmava.
“Polvere di Eventi” così diventa culla dell’Abruzzo.
Questa particolare  innovazione ha  contribuito  al riconoscimento di  “Polvere di Eventi” come unica azienda rappresentativa del wedding in  Abruzzo  dalla  rivista “Donna Moderna”.

                                     Programmi e riconoscimenti:
WEDDING: rilancia l’Abruzzo attraverso i matrimoni, dando valore alla cerimonia
Mediante  i dettagli delle location storiche abruzzesi.
LA TEIERA DEI SOGNI: è un invito ai futuri sposi i quali vengono accolti nel nostro
showroom per avere un primo contatto con l’azienda e per una consulenza con un
tè di benvenuto.

PROGRAMMA TERRITORIALE: il nostro slogan è “rilanciamo l’Abruzzo attraverso gli
eventi”, con un tour culturale dal nome “Visitiamo l’Abruzzo con Gusto” nel quale
verrà esaltato il gusto del palato e della storia .Tra cibo, storia, arte e castelli entreremo nel cuore della nostra regione.
Il tour inizierà il 6 Aprile 2019.



Altro progetto territoriale è “Il Piacere nella Musica” -poesia espressa in lirica-
nel Castello Ducale di Casoli  (CH) il 2 Giugno 2018.
Casoli, una perla di storia e cultura, che ci ha ospitati anche grazie al patrocinio del
comune.
“Carezze in Musica” è un itinerario musicale nelle quattro province abruzzesi con
il violinista e compositore Marco Santini e il suo violino, che ha conquistato anche
il cuore di Papa Francesco con il brano “Il Cristo delle Marche”.
La prima tappa si è svolta nella Cattedrale di S. Cetteo di Pescara della quale
abbiamo anche rilanciato la storia e quindi il territorio.

                                                         OPERE TEATRALI:
Particolare attenzione viene data all’opera, che,  nella bucolicità della location di  “Polvere di Eventi” risulta  particolarmente suggestiva. Nel contesto de “L’Opera sotto le Stelle” è stata rappresentata la Carmen di Bizet con il Direttore Artistico Riccardo Serenelli che ha dato un’innovazione alla lirica, facendo sentire protagonista lo spettatore.       
                                           
                                                       RICONOSCIMENTI:
  Grazie ad un lavoro di ricerca dei luoghi più belli del territorio abruzzese sono stati   fatti progetti importanti per incrementare il turismo, nei quali vengono inseriti degli eventi particolari, uno dei quali si chiama “Borghi e Segreti”.
   Il progetto che invece ci ha dato il riconoscimento di Touring Club Italia è: “D’Annunzio tra castelli e trabocchi”.
   Fiera Pescara sposi 2017: Polvere di Eventi rientra nella classifica degli stand più belli.
   RAI 3: hanno parlato di noi con l’evento “Carezze in Musica”.
   Rivista della Mondadori “Donna Moderna”: per ben tre anni saremo presenti sulla rivista online come azienda leader nel settore del wedding in Abruzzo
   Con tutti i nostri eventi siamo costantemente presenti sul quotidiano “Il Centro” che sin dall'inizio ci ha battezzato con gli articoli: “showroom sponsor d’Abruzzo” e “Pubblicizzo l’Abruzzo attraverso i matrimoni”.
  Interviste a TvQ con Paolo Minnucci nella rubrica “Moda e Benessere” e “Weekend e Dintorni”.


 Ultimo importante evento dell’Azienda “Polvere d’eventi”.

Il progetto si chiama “Un violino in giardino" emozioni al tramonto. Il concerto  si  terrà a Civitaquana il giorno  20  Luglio 2019  alle  ore 19:30.  
Suonerà Marco Santini, il violino che ha conquistato il cuore di Papa Francesco.



Recensione a cura di Elisabetta Mancinelli 
email   mancinellielisabetta@gmail.com

mercoledì 20 febbraio 2019

UNA DONNA ABRUZZESE PROTAGONISTA DEL NOSTRO RISORGIMENTO


UNA DONNA ABRUZZESE PROTAGONISTA DEL NOSTRO RISORGIMENTO



Una  figura femminile, che con la  sua vita e il  suo operato, ha contribuito alla nascita di questo nostro Paese è  la teramana Giannina  Milli.
Grande esempio di impegno civile, poetessa educatrice e patriota è una delle donne che hanno fatto l’Italia, la  protagonista di quel Risorgimento invisibile che  gli storici stanno riportando alla luce nei 150 anni dell’Italia Unita.     
                                                
UNA VITA INTENSA

Giannina Milli  nacque il 24 maggio 1825 a Teramo, in una casa adiacente al duomo (immagine a lato). La madre, Regina Rossi, figlia di un libraio della città, le insegnò a leggere e a recitare sonetti, tanto che a soli cinque anni Giannina sapeva declamare versi ed improvvisare componimenti. Nel 1832, dopo che la famiglia si era trasferita temporaneamente a Chieti, Giannina si esibì per la prima volta su  un palcoscenico, insieme ad una compagnia itinerante di comici, recitando alcuni versi della Divina Commedia e della Gerusalemme Liberata. Il  successo fu tale che il re di Napoli volle conoscerla e si impegnò a farla studiare in un collegio femminile. Non si applicò allo studio, lesse molto da sola e  si affidò a: Giuseppe Regaldi, noto poeta improvvisatore. Imparò così a comporre versi sempre più raffinati e soprattutto a perfezionare la sua capacità innata di improvvisatrice.   Giannina si esibì il 24 giugno 1847 nel teatro di Teramo dinanzi ad un folto pubblico: fu un trionfo. Il giornale romano “Fanfulla”, che pubblicò una recensione dell’avvenimento, contribuì a diffondere la fama della poetessa, che da allora continuò ad improvvisare in molte città italiane. Spinta da un  grande amore patrio componeva anche canti patriottici, in cui esaltava eroi,  glorie e speranze del Risorgimento.
Ebbe molto a cuore la causa unitaria nazionale, per questo i suoi versi furono vietati e fu minacciata di prigionia come testimonia Oreste Raggi nella sua “Biografia di Giannina Milli”. "per il suo poetare troppo libero ella veniva accusata di repubblicanismo e minacciata di prigionia; onde dovette per due o tre mesi guardarsi, e una raccolta dei suoi versi pubblicata in Teramo, divenne libro pericoloso a chi lo possedeva….". La sua raccolta “Poesie” divenne libro proibito; molti che lo avevano acquistato lo nascosero, mentre le copie ancora possedute dalla famiglia dell’autrice furono bruciate per timore di ritorsioni. Gli eventi politici del 1848 costrinsero la donna a ripiegare su studi solitari. Dopo la prima guerra di indipendenza  Milli, considerata ormai la più grande poetessa improvvisatrice italiana, riprese a girare l’Italia:  Roma, Ferrara, Firenze, Siena, dove "osava cantare di patria, di cittadine virtù, di militare valore, osava ricordare l’Italia là dove e quando d’Italia anche il solo nome era delitto pronunciare" ( Raggi).
I suoi viaggi costituivano un momento di propaganda e partecipazione culturale e politica al movimento nazionale, come attesta, anche, il suo ricco epistolario. Nel 1859, dopo aver improvvisato a Bologna alcuni versi in memoria di Galileo, in cui faceva riferimento alla situazione politica contemporanea, ricevette l’ordine di lasciare la città. Nonostante l’opposizione del governo pontificio, Bologna coniò, insieme a città come Perugia, Lucca, e la natia Teramo, medaglie in onore della poetessa. Anche le donne di Milano, dove Giannina si era recata dopo la liberazione della città,  vollero coniare una medaglia d’oro con la sua immagine: aveva commosso il pubblico milanese.  Nel 1859 fu ricevuta dal Manzoni. 
Giannina dopo la proclamazione dell’ unità d’Italia, tornò a Napoli, dove ricevette da Francesco De Sanctis, allora direttore della Pubblica Istruzione, "una pensione in testimonio di onore…ed è giusta cosa che un libero governo apprezzi la virtù quale essa sia e la rimuneri, perché non solo con le armi, ma con la sapienza e con l’esercizio di ogni virtù cittadina, si onora, si assetta e si fa grande e rispettato un popolo" (Raggi ).  Ripresi i viaggi, Giannina continuò a manifestare il suo impegno civile; a Firenze improvvisò, in teatro, versi in onore di Cavour e di Garibaldi. E, sempre a Firenze, il 14 maggio 1865, nacque l’Istituzione Milli che, finanziata dal testamento di Giannina, avrebbe premiato, dopo la sua morte, fanciulle meritevoli e bisognose. Tra le vincitrici del premio vi fu Ada Negri con il racconto Fatalità.
All'istituzione parteciparono, tra gli altri, Niccolò Tommaseo e Luigi Settembrini. Nel 1865, mentre la Milli meditava di ritirarsi dalla vita pubblica, fu nominata, dal ministro della Pubblica Istruzione, Ispettrice delle scuole e elementari  di Napoli. Nel 1872, dopo l’annessione di Roma, fu chiamata a dirigere la Scuola Normale superiore femminile da poco costituita, in cui successivamente insegnò storia e morale.  Nel 1876  sposò Ferdinando Cassone, ispettore scolastico e  lasciò il suo incarico di direttrice per seguire il marito nei suoi spostamenti, quando questi divenne Provveditore agli Studi di Caserta di Bari e poi di Avellino. Dopo pochi anni di felicità, Cassone si ammalò di una lunga malattia, nella quale la moglie lo assistette assiduamente fino alla  morte.
Giannina Milli si spense a Firenze l’8 ottobre 1888, stroncata dal dolore di aver perduto, in poco tempo, la madre ed il marito. Paolo Boselli, allora ministro della Pubblica Istruzione, così scrisse al Municipio di Firenze per commemorarla: "La poesia dell’anima italiana brillava nell'estro di Giannina Milli per il trionfo degli ideali patriottici. Non si può vedere senza mestizia spegnersi questa luce, che nei giorni delle prove ha confortato gli animi trepidanti" (Raggi).


Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli. 
Email: mancinellielisabetta@gmail.com
I documenti sono tratti da: “Biografia con alquante poesie inedite” di Oreste Raggi, “Milli Giannina” di Raffaele Aurini, “L’Ottocento di Giannina Milli”: mostra storica e documentaria dell’ Istituto Magistrale Statale “G. Milli” Teramo.
Le immagini sono tratte dal patrimonio fotografico di Tonino Tucci che ne autorizza la pubblicazione. 
Indirizzo: Via Veneto 10 Montesilvano tel .085 834879 email : tuccifotografia@libero.it





IL CENACOLO MICHETTIANO


                         IL CENACOLO MICHETTIANO



Negli anni ottanta del 1800 un poeta, un pittore, un musicista e uno scultore legati tra loro da una “comunione intima innegabile” vissero nell'antico convento francescano di Santa Maria del Gesù a Francavilla al mare, un’esperienza che rimane unica nella storia dell’arte italiana moderna: quella del cenacolo artistico, nel quale scambiarsi idee, esperienze, tecniche dei loro “mestieri”.
La scrittrice Paola Sorge, Delfico, nel volume “Sogno di una sera d’estate, ripercorre in modo affascinante e suggestivo la storia di un sodalizio straordinario, che legò per circa un decennio quattro grandi artisti abruzzesi: Gabriele D’Annunzio, Francesco Paolo Michetti, Francesco Paolo Tosti, Costantino Barbella.
Essi diedero vita ad una sorta di “officina dal sapore di nuovo” dalla quale uscirono “opere grandiose ma anche semplici e timide ‘prove d’autore’ che avevano un tema comune quello della natura e della gente d’Abruzzo “… i cui soggetti passavano dai dipinti alle sculture, alle note, ai versi a formare un unico, grandioso poema”.
Sull'origine culturale e artistica del sodalizio che spinse i quattro artisti a sperimentare una “grande immensa Arte fatta di tutte le arti” si è molto dibattuto.
La Sorge ritiene che molto probabilmente gli artisti abruzzesi furono contagiati dalle nuove teorie discendenti dal  “sogno wagneriano” che mirava ad abbattere le barriere tra le arti, per lanciare una nuova sfida: quella di arricchire di nuove suggestioni la descrizione artistica della terra e della gente d’Abruzzo sotto la guida geniale del Maestro che più di ogni altri intercettò le tecniche del futuro: Francesco Paolo Michetti  “innamorato dell’avvenire dell’arte”.
Nel chiostro che Michetti acquistò nel 1883 i “quattro moschettieri”, furono accompagnati da importanti personaggi della scena culturale del tempo assidui frequentatori del cenobio come, Edoardo Scarfoglio, Matilde Serao, il pittore Alfonso Muzii, il poeta Carmelo Errico, i musicisti Paolo De Cecco e Vittorio Pepe, l’etnologo Guido Baggiani.
I quattro  “grandi” del gruppo francavillese che  raggiunsero livelli oggi difficilmente immaginabili, cercarono di attuare una compenetrazione di espressioni artistiche diverse. Le pitture, le sculture, i versi e le note dei quattro artisti in cerca del Bello e del Nuovo, restano a testimonianza di una simbiosi spirituale senza precedenti.


  I  LUOGHI: IL CONVENTO

Tra il 1860 e il 1864 i Conventi furono  soppressi e  diventarono demanio del Comune.
Nel 1885 Michetti, che era domiciliato a Francavilla e consigliere comunale, ebbe modo così di acquistare il Convento Francescano di Santa Maria del Gesù poco lontano da Porta Ripa, con contratto del notaio Giustino Cavallo del 2 giugno dello stesso anno. Dalla vendita era esclusa la chiesa attigua al fabbricato con le due sacrestie e il campanile dalla forma orientaleggiante; l’acquirente inoltre era obbligato ad impiantare ed avviare entro un anno, nel locale del Convento, una fabbrica di ceramica o altro stabilimento industriale, che potesse “arrecar vantaggio alla popolazione” del comune. Egli pertanto costruì il forno per le ceramiche e sistemò l’ambiente sovrastante il portico eliminando la preesistente suddivisione in stanze e in seguito realizzò l’apertura delle prospettive ottiche sul mare e sulla campagna attraverso caratteristici oblò, il cui motivo fu ripreso dall'architettura dello studio a mare, progettato dallo stesso Michetti.
calce  e le lasciò libere dai quadri. Pure a Michetti si deve l’inserimento di una bifora romanica in pietra  riccamente decorata proveniente da Palazzo Tinozzi a Francavilla.
Alla morte del pittore, nel 1929, il “Conventino”, così venne definito, divenne proprietà della moglie Annunziata e dei figli Giorgio, Alessandro e Aurelia, madre dell’attuale proprietario il barone Ricci. Il 31 luglio 1938 il re Vittorio Emanuele III inaugurò il monumento a Michetti dello scultore Nicola D’Antino, nel piazzale antistante il portico e nel 1939 dichiarò il “Conventino” monumento nazionale.
Attualmente in esso non vi sono i quadri del pittore, i quali si trovano tutti a Roma al Museo di  Arte  Moderna  e  a  Francavilla a mare al MUMI: Museo Michetti costruito dagli architetti Ricci e Spaini proprio per ospitare le sue opere.
Il  MUMI, situato nell'ex convento di San Domenico, il vecchio Palazzo comunale, costruito nel XIII  secolo, con ampi rifacimenti nel XVIII secolo e nel secondo dopoguerra, è diviso in due nuclei espositivi: il primo, collocato al primo piano dell’edificio, è destinato alle mostre temporanee, mentre il secondo, parzialmente interrato, è stato ricavato scavando sotto l’adiacente piazza ed ospita le due grandi tele di  Michetti: “ Le Serpi e “Gli Storpi”.
Una delle maggiori tele di Michetti, “La Figlia di Iorio”, è invece esposta presso il palazzo della Provincia di Pescara.

DOCUMENTI   E PERSONAGGI DEL CENACOLO MICHETTIANO

Un vivido documento che descrive luoghi e personaggi del cenacolo michettiano è la lettera da Francavilla al mare del 27 luglio 1884 di Matilde Serao in cui la scrittrice così descrive le sue giornate , la gioia d’aver scelto un tale ambiente per poter lavorare e le conversazioni con gli artisti “Sono qui, innanzi al grande e triste mare Adriatico, in una casa di contadini, tutta pittata a bianco, con pochissimi mobili immersa nel verde di una dolcissima collina.
Qui è una pace profonda, un grande silenzio che solo la voce del mare interrompe.
A trenta passi di qui, in una bizzarra casa, tutta segreti e finestroni bislunghi e porte rotonde, fra un’aquila, tre cani, cinque serpenti, Ciccillo Michetti dipinge e Costantino Barbella fa le statue…vi sono Donna Maria e Gabriele D’Annunzio la poesia. Verrà Ciccillo Tosti, in settembre, e la colonia artistica che lavora, contempla il mare, s’immerge nella freschezza delle notti meridionali sarà completa… Mi levo alle otto del mattino, faccio il bagno, in una spiaggia diritta, larga, di una grandiosità che impone… un ritorno a casa, scrivo sino alle undici….Poi la colazione e un’ora di contemplazione della campagna e dopo la lettura e scrittura sino alle sei; un po’ di conversazione con questi artisti e poi il pranzo. Dopo, una lunga passeggiata sulla riva del mare, solitaria, nella notte, una poesia. Al ritorno, lavoro sino  a  mezzanotte. E  tutto  questo  in una grande pace marina  e campestre, che  tre volte il giorno, due volte la notte il treno attraversa.  Non potevo scegliere meglio l’ambiente, per poter lavorare… Come si lavora bene, qui.  Arrivano  tutti      i  libri, tutti  i giornali… io  rimango qui sino a metà ottobre, tanto   è bello il paese…Donna Maria d’Annunzio risaluta cordialmente: quanto è carina e amabile, questa giovanetta, che in campagna ha addirittura un’aria infantile…”
Anche il Levi scriveva nel 1882 . “Già da tempo…nel 1880…convenne…un’eletta schiera di artisti sommi, nel casone  strano di Michetti, in riva al mare, da Edoardo Scarfoglio, a Francesco Paolo Tosti, da Gabriele D’Annunzio a Guido Baggiani, da Matilde Serao a Costantino Barbella, ha vita il Cenacolo degli Artisti, denominazione rimasta allo studio di Michetti”
Gabriele D’Annunzio assiduo frequentatore di Francavilla “...dal gentil profilo moresco, intarsiata sul  fondo azzurro del cielo”, fa assurgere la cittadina  a luogo di elezione del cenacolo di questi artisti uniti nel nome della ricerca di un’ideale di bellezza. Qui il poeta giunse nel 1880 e così descriveva all'amico Nencioni quel momento. “Giunsi  a  casa  ai primi di luglio dal ‘Cicognini’ un po’ sciupato… trovai nel Michetti un amico amoroso che mi rialzò, mi distrasse, mi comunicò un po’ della sua fede e del suo foco  sacro”.
Da allora soprattutto nei periodi estivi prese a riunirsi con i suoi amici al Convento che definiva il suo “Romitaggio”.  Quando era ispirato veniva murato nella sua stanza al secondo piano e quando finiva di scrivere, gli amici suonavano le campane dell’annesso campanile. Qui tra luglio e dicembre del 1888 fu scritto “Il Piacere”; tra aprile e luglio del 1891 fu composto “L’innocente”.
Al suo interno la vita era una vera e propria vita in comune e D’Annunzio così la descriveva: “Si viveva così  obliosamente. La sera, mentre il plenilunio ottobrale saliva alla marina, i nostri cuori risuonavano nella tranquillità degli oliveti, sotto l’incerto biancicare argentino dei rami… Di tratto in tratto Messere il Vento veniva a strimpellare questo vecchio colascione che è il convento”. Il poeta ricorda anche la presenza di Nunziata, moglie di Michetti che,  non senza la collaborazione degli amici del Cenacolo, si prodigava  per preparare i pasti”.
Il Vate qui veniva per i bagni con l’amico Michetti ma anche per le ore liete con Barbara Leoni e per perdersi nella malinconia e nella solitudine o per meditare sulle sue opere. “Quanti sogni sull'arena ardente! Il mare tutto verde e luccicante e ondeggiante come un drappo di seta antica, giungeva ai miei piedi; le barche parevano immobili in lontananza; il vento portava il profumo dei limoni.”…Oh i bei giorni di Francavilla, quando il culto dell’arte ci univa. Quella povera casa solitaria, in mezzo all'immensità dei litorali, era il nostro tempio: per le stanze un grande alito di salsedine spirava… Oh i bei giorni di Francavilla! Che sciupio felice di giovinezza, di forze, di amori, di sangue, di vino!”
Michetti, il padrone di casa del cenobio (Tocco Casauria  1851- Francavilla 1929), studiò all'Accademia delle belle Arti di Napoli e nella stessa città presentò il suo primo dipinto di grandi dimensioni nel 1877: La processione del Corpus Domini.
Un’altra delle sue più importanti opere: Il Voto gli era stata ispirata dalla partecipazione ricca di fede e ardore religioso dei pellegrini alle celebrazioni della festa di San Pantaleone nell'omonimo santuario di Miglianico.
Nel 1883 si trasferì a Francavilla nel Convento adattato ad abitazione alternava però, negli anni della sua più intensa attività pittorica, lunghi soggiorni a Napoli.
Dipinse dal 1884 al 1896 più di trenta tele di grande pregio, tra le quali La Figlia di Iorio” che, presentata a Venezia alla Biennale, fu acquistata da un berlinese e divenne proprietà della Galleria Nazionale d’Arte di Berlino.

Ma nel 1932 fortunatamente tornò in Italia comprata, tramite l’interessamento di Giacomo Acerbo, dalla Provincia di Pescara presso la cui sede, come abbiamo detto sopra, è oggi conservata.
Francesco Paolo  si legò in una profonda amicizia con D’Annunzio tanto che, in una lettera del 4 gennaio del 1884 così gli scriveva:
“Da molto tempo noi siamo fratelli: e tu non mi hai dato mai, mai un dolore, non hai mai offesa neppure col più piccolo urto la mia anima ammalata e traviata”… “Io credo che lo spirito umano possa innalzarsi quasi divinamente su la bassezza comune, perché conosco te”.
Il Vate intraprese nel 1904 con l’amico pittore i preparativi per l’allestimento teatrale della Figlia di Iorio cercando per l’Abruzzo costumi e arredi autentici.  La  tragedia, come il  celebre quadro di Michetti, aveva tratto ispirazione dalla scena alla quale i due amici avevano assistito a Tocco Casauria, forse nel 1883 in un giorno d’estate, quando all'improvviso era apparsa correndo sulla piazza una giovane donna scarmigliata inseguita da un gruppo di contadini eccitati dal vino e dal sole.
Michetti  ebbe contatti con la pittura europea e con l’arte giapponese ma si occupa continuamente della sua terra abruzzese, ritraendone i costumi  religiosi, i riti, le processioni sia in pittura che in campagne fotografiche .Dalla fine del secolo si dedicò prevalentemente alla fotografia e , nonostante i riconoscimenti ufficiali, fu nominato tra l’altro senatore dal re Vittorio Emanuele III, trascorse in completo ritiro l’ultimo periodo della sua vita e morì nel 1929 nella sua casa di Francavilla.

Francesco Paolo Tosti  nacque ad Ortona nel 1846, compositore noto soprattutto come il più celebre autore di romanze da salotto, studiò anche lui a Napoli presso il  Conservatorio dove si diplomò nel 1866.

Si trasferì poi a Roma dove, sfruttando la sua voce tenorile, iniziò ad esibirsi come cantante. Grazie a questa attività divenne una celebrità e iniziò a frequentare gli ambienti mondani della capitale dove strinse amicizia con Gabriele D’Annunzio e Francesco Paolo Michetti. Trionfa poi a Londra alla corte della regina Vittoria con le sue romanze rivoluzionando il mondo musicale della fine del secolo. Pubblicate da Ricordi “spopolano e la sua immensa popolarità paragonabile forse solo a quella odierna del Beatles, aduna intorno alla sua figura un alone leggendario”…con le sue melodie, con la sua stessa personalità gioiosa e estroversa, con i suoi trionfali successi, il musicista contribuisce notevolmente a quella esaltazione che sconvolge e quasi travolge il poeta quando entra in contatto con Michetti e gli artisti del cenacolo”. Le romanze composte da  Tosti insieme a D’Annunzio nate  nelle calde notti estive a Francavilla,  contengono  versi traboccanti d’amore e di languore  tra cui la famosa “A Vucchella”.
Così d’Annunzio rievoca la magia di quei giorni: “ Paolo Tosti, quando era in vena, faceva musica per ore ed ore, senza stancarsi, obliandosi d’innanzi al pianoforte, talvolta improvvisando, con una foga e una felicità d’inspirazioni veramente singolare. Noi eravamo distesi o sul divano o per terra, presi da quella specie di ebrietà spirituale che dà la musica in un luogo raccolto e quieto. Ascoltavamo in silenzio, a lungo, chiudendo gli occhi per seguire meglio un sogno… La musica ci aveva chiusi in un circolo magico. Dopo due mesi di quella consuetudine, le nostre sensazioni s’erano così affinate che ogni urto della vita esteriore ci affliggeva e ci turbava.”
Grande amico di Michetti  fu  l’altro illustre componente del Cenacolo lo scultore  Costantino Barbella. Comincia sin da ragazzo a modellare pastorelli per il presepio  e proprio il pittore lo incoraggia a seguire la via dell’arte e gli cambia la vitaOttiene dal Comune di Chieti il sussidio per studiare a Napoli con Stanislao Lista e  a 25 anni diventa famoso con il gruppo “Canto d’Amore”. E da allora partecipa alle principali esposizioni d’arte italiane e europee con le sue figure: pastorelle, contadini, marinai, suonatori e spose abruzzesi, gruppi in bronzo e terracotta, giovani innamorati che si baciano, si stringono, cantano e sognano. Raffigura personaggi e momenti di vita del mondo contadino della sua terra; ogni sfumatura delle anime semplici ed ingenue, dei rudi montanari d’Abruzzo hanno trovato in lui un interprete.
Lo scultore e il pittore, compagni d’infanzia lavorano uno a fianco all'altro; per loro è ormai un’abitudine mettere in comune i soggetti, le tecniche e le esperienze artistiche. Barbella, si accosta alla pittura  e, nella sua ricerca del colore, è attento al gioco dei chiaroscuri e usa tonalità che rendono la materia più calda. L’artista porta sempre con sé un libricino che contiene le ricette segrete per patinare i suoi bronzi:  il verde antico, il color rame, il giapponese chiaro formule strane che sanno di magia. D’Annunzio ne  è affascinato  e  su  un taccuino che porta sempre con sé  annota tutti i colori di una marina o di un tramonto sulle colline.
Dunque gli artisti di Francavilla, infrangendo gli stretti canoni del verismo partenopeo cui appartenevano, lavorarono in sintonia sotto la guida di Michetti e influenzati, come il resto dell’Europa “dal  sogno di una grande immensa Arte fatta di tutte le arti”.
Un percorso che raggiungerà i suoi frutti più alti proprio negli anni in cui la compattezza del cenacolo comincia a sfaldarsi, probabilmente schiacciata dalla crescente fama degli artisti. Infatti con: ‘La figlia di Iorio’, specchio dell’anima della terra d’Abruzzo raccontata prima nel poema pittorico di Michetti  e poi nella tragedia  dannunziana  terminata nel 1903, i due  artisti raggiungono le massime vette dell’arte. Anche Tosti, che vive a Londra una vita brillante alla corte della regina Vittoria e scrive romanze malinconiche  riecheggianti i canti popolari della sua terra, ha sempre meno tempo per gli amici di Francavilla, pure Barbella lascia ormai poco spazio al sogno  e  partecipa con i suoi lavori in bronzo e in terracotta a quasi tutte le esposizioni sia in Italia che all'estero.
Si concluse così, alla fine degli anni ottanta,  un sodalizio straordinario fenomeno assai raro, se non unico nella storia dell’arte che, sulle ali di un sogno wagneriano,  cercò di realizzare una compenetrazione di espressioni artistiche e creare una simbiosi spirituale senza precedenti  che portò Francavilla al centro non solo  della cultura italiana ma anche europea.
  
Saggio storiografico di  Elisabetta Mancinelli                                                                              








martedì 19 febbraio 2019

UNA SENTINELLA A GUARDIA DEL MARE : LA TORRE DI CERRANO


UNA  SENTINELLA  A  GUARDIA DEL MARE : LA TORRE DI CERRANO


La torre di Cerrano, situata a poca distanza  dall'abitato di Pineto a ridosso del confine con Silvi, rappresenta il più imponente dei fortilizi costieri rimasti in Abruzzo. Si erige su una piccola collina bagnata dalle acque marine e circondata  da una   pineta dagli alberi secolari , guarda direttamente sul mare e si mostra in tutta la sua imponenza. Il fortilizio,  a forma quadrata  con muraglie piramidali  costruita in laterizio, fa pensare allo scopo difensivo della sua costruzione mentre la merlatura e la torretta terminale  di più recente costruzione ,costituiscono un abbellimento architettonico dei costruttori. Deve il suo nome al torrente che scende dalle colline di Atri sino alla marina. Nel nome  un toponimo “Torre del Cerrano” che è divenuto il simbolo della storia e dell’identità di questo territorio.


                                                                LA  STORIA
Si pensa erroneamente che la costruzione sia stata realizzata intorno al 1560 quando il vicerè Parafan De Ribera Duca di Alcalà emanò l’ordine di costruire lungo tutto il litorale otto torri di avvistamento con lo scopo di segnalare tempestivamente ogni tentativo di incursione in mare. Importanti documenti mostrano invece come la Torre fosse preesistente  e che era presente durante l’impero romano probabilmente prima del XIII sec. Proprio di fronte alla Torre  si trovava quello che da molti ricercatori viene indicato come l’antico porto della città di  Hadria  probabilmente di epoca romana; nonostante distasse diverse miglia dal mare la cittadina aveva un suo approdo che dovette essere uno dei più influenti di tutto l’Adriatico.  
Un antico documento che attesta l’esistenza del porto di Atri proviene dal geografo augusteo Strabone: che scrive “il torrente Matrinus, che scorre dalla città di Atri, con l’omonimo porto” (Geografia V, 4, 2) . Anche lo storico Paolo Diacono nell’VIII secolo, nel descrivere i centri della costa abruzzese e marchigiana,  documenta in modo impietoso la decadenza di Atri ricca e potente in epoca romana al punto da muovere secondo alcuni la sua flotta da guerra contro Taranto “In qua sunt, scrive, civitates  Firmus, Asculus et Pinnis et iam vetustate consumpta Adria, quae Adriatico pelago nomen dedit”.  Lo storico  tuttavia non fa menzione della presenza del porto segno che era stato cancellato dal tempo o dal mare.  Nel 1251 il Cardinale di Ascoli donò alla guelfa Atri il privilegio di ricostruirlo.  Altro documento importante per la datazione della torre risalente al 1294, è quello in cui  Carlo D’Angiò  mostra la sua decisione di ricostruire la Torre di Cerrano e delle due “Torri di Montepagano ed  Atri in quanto ritenute funzionali all’attività logistica.  La scelta cadde sulla foce del torrente Cerrano dove i lavori iniziarono di gran lena tanto che alla fine del secolo erano in piena efficienza e con tutta probabilità vi furono sbarcati i blocchi di pietra d’Istria giunti per la costruzione della Cattedrale di Atri.  Anche in un documento   del XVI sec.  dal   procuratore dell’Università , Bartolomeo di Cola Sorricchio, viene  menzionato il porto di Atri e  ipotizzato che il culmine dell’attività del porto  fosse  intorno al VII secolo a.c.  Nel 1447 Venezia  devastò  i porti del Regno   di Alfonso I d’Aragona compreso quello di Atri a Cerrano che subì gravissimi danni soprattutto nella torre di difesa.   Nel 1516 il comune, dato che l’approdo era totalmente rovinato e quindi inservibile, decise di ricostruirlo a breve distanza più piccolo.     Ma i lavori non cominciarono in quanto in quel periodo iniziarono sulla costa atriana  le incursioni dei Turchi che giungevano all’improvviso con le loro 





feluche veloci saccheggiando e devastando i piccoli centri costieri. Per  difendere il  territorio  Girolamo di Acquaviva , duca di Atri  e  il vicerè  Don Pedro De Ribeira decisero di dotare la costa di un sistema di torri difensive di avvistamento tra cui una massiccia torre di guardia fortificata alla foce del torrente Cerrano.                                                                 
 Cessate le incursioni dei Turchi la torre perse la sua importanza. Negli anni ’20 fu ceduta da un nobile ufficiale di marina al marchese De Sterlich, poi fu di proprietà della famiglia Marcucci da lui discendenti che, non senza rammarico, negli anni ’40  la cedette alla Provincia di Teramo.
Ristrutturata è divenuta sede di un laboratorio di biologia marina.
                                                                 

                                                                       

     



                                                       
GLI STUDI
Dopo secoli di dimenticanza nel 1982 un’esplorazione condotta da un equipe  di archeologi subacquei  è stata effettuata nel tratto antistante la torre. E’ venuto alla luce  un oppidum sommerso di cui sono  stati individuati colonne in pietra, travi, tratti delle strade lastricate i  resti di un molo a forma di “L” oltre ad opere murarie e vari manufatti. 
                                                             Purtroppo  i fondali sabbiosi rendono molto difficili le immersioni ,ma si spera che continuando la campagna di scavi, l’antico porto si potrà svelare in tutto il suo splendore.
                                  
                        



 L’AREA  MARINA  PROTETTA  TORRE  DEL  CERRANO

Nell'aprile del 2010 è stata istituita con Decreto ministeriale l’Area Marina Protetta Torre del Cerrano:  uno specchio d’acqua protetto dove coltivare le preziose risorse del mare che si  estende nel tratto teramano, fra due Comuni Pineto e Silvi fino a 3 miglia nautiche e delimita 7 chilometri di costa . Per la  protezione e la valorizzazione dell’ambiente  una  rete di oasi sottomarine provvede alla salvaguardia, al ripopolamento e allo studio dell’ecosistema marino.  La struttura lavora con uno staff  di specialisti in diversi settori dalla biologia alla chimica effettuando una vasta gamma di ricerche che vanno dal costante controllo delle acque marine e fluviali alla ricerca dei batteri patogeni nei pesci e molluschi fino allo studio delle alghe.

Da antico  baluardo contro i Turchi la Torre  è divenuta una preziosa sentinella preposta alla tutela dell’ambiente marino della nostra regione.

Per soddisfare la curiosità  e l’interesse storico, il Consorzio di Gestione dell’Area Marina Protetta ha organizzato, a partire dalla scorsa estate, visite guidate  alla Torre che permettono di scoprire  i suoi ambienti e ammirare dal punto più alto della Torre un suggestivo panorama.                                                                        
Per informazioni e prenotazioni per le visite.
Uff. Iat di Pineto – Villa Filiani - Tel.085.9491745



Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli email mancinellielisabetta@gmail.com