martedì 23 marzo 2021

I RITI SACRI CARATTERISTICI RELATIVI AL CULTO DELL'ACQUA IN ABRUZZO.

La religiosità è un sentire innato nell’uomo. Sin dalla preistoria intuisce che deve esistere qualcosa che va oltre il materiale e il quotidiano: il ciclo delle stagioni, il morire autunnale e il rinascere primaverile della vita nei campi lo spinge ad intuire l’esistenza di una possibile vita oltre la morte. Come mostrano le statuette della dea Madre Terra, trovate nelle tombe del periodo Neolitico, l’uomo placa il disagio della morte con la speranza della rinascita. Per questo plasma dall’argilla figure femminili che simboleggiano colei che dona la vita e le pone accanto ai defunti. Col passare dei secoli questo profondo bisogno di divino che è dentro di noi emerge ed assume forme esteriori diverse, dando vita a divinità e dei di vario genere. Ogni civiltà prende quelli della precedente li riadatta e ne aggiunge di nuovi, cambia loro funzione o aspetto esteriore seguendo una sorprendente continuità logica e storica. Gli Italici dai culti preistorici e da loro i Romani fino all’arrivo della parola di Gesù. E così i rituali pagani vengono riadattati spesso localmente, dando vita a tradizioni e culti cristiani di grande suggestione.

Sin dalla prima diffusione del Cristianesimo nelle terre d’Abruzzo le nostre genti sono state pervase da un intenso fervore religioso e da una fede profonda strettamente legata ai semplici ritmi e alle esigenze quotidiane della vita di un popolo composto per lo più da contadini e pastori. Chiese, opere d’arte sacra, eremi sono le tante testimonianze materiali che questa forte spiritualità ci ha lasciato. Di esse la traccia più emozionante è senza dubbio rappresentata dai riti: cerimonie e gestualità giunte ai nostri giorni immutate nei secoli e protetti gelosamente dalle popolazioni e rivissuti da giovani ed anziani con la stessa intensità. 

Sono il fuoco, l’acqua, la pietra, ma anche gli animali a divenire gli strumenti attraverso i quali la fede si manifesta materialmente e il pellegrino mostra la sua devozione chiedendo la vicinanza di Dio. Tra questi l’acqua è l’elemento fondamentale per l’esistenza di ogni forma di vita sulla terra sia animale che vegetale. Sin dalla prima presenza dell’uomo essa è stata uno dei fattori che hanno ritmato gli spostamenti dei nomadi e la scelta del luogo per stabilirsi. Accampamenti e villaggi venivano sempre posti in luoghi sicuri, ma necessariamente vicini all’acqua, sorgenti, fiumi. E l’agricoltura dei primi gruppi di uomini preistorici, quelli che da cacciatori nomadi divennero stabili contadini, ruotava attorno alla disponibilità di acqua. Le popolazioni italiche, ma soprattutto i romani, svilupparono poi dei veri e propri culti dell’acqua. Realizzando templi con fontane e vasche. 


Nel cristianesimo l’acqua assume ruoli simbolici fondamentali, il sacramento del battesimo amministrato da San Giovanni al giovane Gesù nel fiume Giordano ne è la principale testimonianza. Acqua come purificazione, acqua come segno di nascita, sorgenti come fonti di vita. Una società di contadini e pastori come è stata per millenni quella abruzzese fino agli anni più recenti, ha fatto dell’acqua l’elemento centrale di culti e tradizioni religiose molto forti, sviluppatesi soprattutto attorno agli eremi delle montagne. Spesso ai Santi eremiti è attribuito il miracolo di aver fatto sgorgare l’acqua dalla roccia e ad essa vengono riconosciute dalla devozione popolare peculiarità guaritorie e benefiche. Si va in pellegrinaggio per bagnarsi in quelle acque e guarire nel corpo e nell’animo.



I RITI DELL’ACQUA IN ABRUZZO

IL RITO DI SAN MICHELE A LISCIA ( Ch)

Tra i molti eremi abruzzesi legati all’acqua suggestivi per i luoghi e i riti che vi si compiono, vi è il santuario di San Michele Arcangelo a Liscia nell’entroterra vastese che protegge una grotta con una sorgente naturale. La leggenda racconta che un mandriano di Palmoli, portando la sua mandria al fiume per l’abbeverata, notò un torello che scompariva ogni giorno per ritornare solo a sera. Incuriosito decise di seguirlo e scoprì, con grande sorpresa, che l’animale arrivava fino a una grotta nascosta nella vegetazione e lì si inginocchiava in adorazione di San Michele. Preso da devozione il pastore si inginocchiò e l’Arcangelo compì il miracolo di far sgorgare l’acqua per dissetarlo.

La grotta è tuttora meta di grandi pellegrinaggi che giungono qui da tutto l’Abruzzo e anche dal Molise, due volte l’anno si ripete l’antico rito di bere l’acqua che sgorga dalla grotta ritenuta miracolosa. Partecipano a questo rito molti pellegrini, di ogni età, provenienza ed estrazione sociale, entrano nella grotta in fondo alla chiesa, impugnano il tradizionale mestolo in rame e bevono un sorso d’acqua attinta dalla suggestiva sorgente naturale sulla quale aleggia la tradizione del miracolo. La devozione popolare risulta ufficializzata fin dal Seicento quando i D’Avalos, fecero costruire davanti alla grotta una chiesetta nella quale è esposta la statua del Santo. L’8 maggio e il 29 settembre i fedeli compiono emozionanti rituali : toccano le pareti della roccia e ci strofinano contro fazzoletti e oggetti sacri, poi bevono l’acqua di sorgente che gocciola dalle stalattiti, ritenuta rimedio efficace contro i vari mali. Il santuario è legato alla religiosità dei pastori, poiché qui passano alcuni dei tratturi che dall’Abruzzo portavano le greggi in Puglia e viceversa.

SAN VENANZIO A RAIANO

Un altro suggestivo eremo si trova nell’aquilano poco distante da Raiano. La chiesa è dedicata al giovane Venanzio che, convertitosi al Cristianesimo si ritirò in questi luoghi. Nel 259 fu arrestato e martirizzato. Al culto di questo martire, ancora oggi molto sentito dai fedeli che qui accorrono da tutto l’Abruzzo, si lega un’antica tradizione che vuole riconoscere in alcuni segni sulla roccia le impronte del Santo. La festa di San Venanzio si celebra il 18 maggio. I pellegrini, ripercorrendo le orme della vita del Santo, si sdraiano su quella che si crede sia l’impronta lasciata dal suo corpo, detta letto di San Venanzio, poi prendono posto sul sedile di Santa Rina per ottenere la guarigione dai mali fisici. Dalla loggia esterna che si affaccia sul fiume parte la Scala Santa, scavata nella roccia che porta fino all’acqua del fiume e viene percorsa in salita dai pellegrini. Questi gesti rituali sono legati all’evocazione della discesa agli inferi, dai quali si risale purificati, ma anche alle pratiche religiose per mezzo delle quali i pellegrini invocano la guarigione dai loro mali. Un esempio è l’immersione degli arti doloranti o malati nelle acque del sottostante fiume Aterno e la benedizione dei malati con l’acqua miracolosa di San Venanzio.


LE ACQUE DI SAN FRANCO

Lungo la panoramica strada che collega Assergi con il Passo delle Capannelle, accanto a una piccola chiesa, inizia il sentiero che porta alla sorgente di San Franco. Protetta oggi da una cappella costruita in tempi più recenti, secondo la leggenda questa fonte venne fatta scaturire dal monaco eremita nel secolo XIII; egli aveva scelto le grotte del versante occidentale del Gran Sasso quale luogo del suo ritiro ascetico, come testimonia ancora il nome di monte San Franco. Le leggende popolari legano le sue gesta alle vicende del mondo agricolo e dei pastori, e parlano di montoni resuscitati e lupi ammansiti, ma più di tutto della sua capacità di far scaturire acqua sorgiva dalla roccia, elemento indispensabile alla sopravvivenza del bestiame e dei pastori stessi. Il 5 giugno, festa di San Franco tantissimi pellegrini affrontano il pendio della montagna per raggiungere la sorgente e bagnarsi con quell’acqua ritenuta taumaturgica, in grado di guarire malattie. I pellegrini compiono abluzioni rituali perché il campo specifico di applicazione di quest’acqua è la cura delle malattie della pelle, anche se non mancano testimonianze di antichi riti riguardanti l’incubatio e lo strofinamento sulla pietra  (G. Pansa, Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo, 1924). I pellegrini riempiono bottiglie e taniche per riportare a casa l’acqua miracolosa in caso di necessità futura o come dono per amici e parenti che non hanno potuto prendere parte al pellegrinaggio.


BISEGNA: rito del “comparatico”.

Una festa molto sentita è quella di san Giovanni, che ricorre il 24 giugno giorno in cui è d’uso bagnarsi in segno di protezione A Bisegna, piccolo centro della valle del Giovenco i pellegrini si recano in processione nella chiesa di san Giovanni, nella valle del Giovenco, a circa quattro chilometri dal paese. L’area è ricca di reperti archeologici che fanno presumere l’esistenza di antichi templi pagani. Vicino alla chiesa di san Giovanni vi è una grotta naturale scavata nella roccia nella quale si pensa abbia dimorato un’eremita o, addirittura, il santo stesso. Oggi questa grotta è visitata da fedeli e pellegrini che vi depositano semplici ex voto davanti ad una piccola statua del santo.


Nei pressi della chiesa vi è una bella fontana in pietra costruita alla fine del 1700 ed alimentata da una sorgente che, proprio nei giorni della festa, abbonda di un’acqua ritenuta miracolosa che viene utilizzata dai fedeli sia per bagnarsi il corpo, al fine di proteggerlo dalle malattie delle pelle, sia per compiere il rito del "comparatico"; un patto di reciproco aiuto fra due persone che si realizza lavandosi con l’acqua di san Giovanni. Con i piedi immersi nell’acqua del fiume Liri, ragazze e ragazzi stringono i legami di comparatico che li legano con una forma di parentela magica e indissolubile nel nome di San Giovanni Battista. Si stringono i mignoli delle mani e dondolando le braccia si recita: “Cumpare i cummare damuce la mano, la mano ce lla demo i cumpari nu saremo!". Il legame diviene così sacro e inviolabile per tutta la vita.

 

Anche nella Valle Roveto: Civitella Roveto, Canistro, Balsorano e Capistrello, centinaia di persone assistono al rito e costituiscono parte integrante del “bagno” di purificazione, nella credenza popolare che la festa del solstizio d’estate il 24 giugno, San Giovanni Battista durante la notte scopra, i miti non estinti : il matrimonio del sole con la luna che viene fecondata; la rugiada sacra, sull’erba ricercata dalle spose che vogliono i figli. E a mezzanotte, la gente si raccoglie lungo le sponde del fiume i giovani nudi si immergono nel fiume Liri e stringono i comparatici, inizia così il battesimo collettivo per ricordare il battesimo di Cristo nel Giordano. La gente si bagna il corpo, entra nel letto del fiume ghiaioso, si segna a forma di croce la fronte, raccoglie l’acqua che conserverà per tutto l’anno anche per preparare il lievito. Questo rito di purificazione ma anche di protezione dalle malattie va avanti fino all’alba quando i primi raggi del sole calano sul fiume Liri.



PROPRIETA’ E BENEFICI DELLE ACQUE D’ABRUZZO

L’Abruzzo è una terra ricca di sorgenti di acque prodigiose, ogni paese d’Abruzzo può vantare acque miracolose utilizzate fin dall’antichità, acque ricche di notevole effetto terapeutico, acque che posseggono una alta concentrazione di minerali, tra le più qualificate, le ferruginose, le bicarbonate, le solfate e le sulfuree. Nei primi anni del 1800 appassionati ricercatori analizzarono e catalogarono le migliori acque abruzzesi, rendendole note tramite pubblicazioni scientifiche. Vi sono presenti le acque mediominerali, dove la concentrazione di sali è equilibrata e le oligominerali, che difettano di sali, particolarmente indicate in alcune patologie. Acqua bevono le mamme senza latte che pregano Sant’Agnese, Santa Scolastica e Sant’Agata e con essa si aspergono in cerca di fertilità le donne che, ancor oggi, visitano chiese campestri e tradizionali fontane dedicate alla Sante.

Gli agricoltori delle valli che visitavano l’Eremo di San Bartolomeo di Legio a Roccamorice, portavano giù dalla montagna un po’ dell’acqua che sgorga dalla sorgente vicina alla dimora del Santo: serviva ad aspergere le viti e scongiurarne la malattia più pericolosa, la peronospera. Lungo la strada che collega Raiano a Vittorito, in provincia de L’Aquila, una sorgente di acqua sulfurea che faceva girare la ruota di un mulino, era utilizzata per i benefici effetti sui tessuti cutanei ed anche come ottimo sbiancante per le fibre di canapa e di lino, lasciate a macerare, poi battute con rudimentali ma efficaci strumenti e ridotte ad una arruffata massa filamentosa da torcere in un lungo filo da tessere nei telai di legno casalinghi. Il benessere e la salute dell’uomo sono l’obbiettivo secolare delle buone acque abruzzesi e soprattutto in tre famose località: Caramanico, Popoli e Canistro che sono sedi di Terme ben organizzate e all’avanguardia in campo terapeutico. Anche a S. Eufemia la cui patrona è la santa omonima si trova una fontana, chiamata “Fonte di S. Eufemia”. Intorno ad essa si è creata una sorta di leggenda trasformatasi di seguito in un vero e proprio culto agreste che porta in sè sacro e profano. All’acqua di questa fontana si attribuivano proprietà benefiche ed è per questo che, in passato, fu meta soprattutto di donne gravide o di donne divenute madri da poco. Si chiedeva esplicitamente una protezione per la salute e la crescita dei bambini nonché un’abbondanza di latte per far si che questa crescita recasse benefici ai piccoli. Così tutte le future madri, non solo di S. Eufemia ma di tutta la valle dell’Orte, si recavano all’agognata fonte percorrendo un iter prestabilito e rispettando una prassi ben precisa, che consisteva nel portare con se un fiasco di vino e un bicchiere da offrire a tutte le donne che si incontravano durante il tragitto, le quali bevendo auguravano tanta abbondanza di latte alle partorienti. Al ritorno la prassi cambiava e la futura madre doveva accarezzare il primo bambino che incontrava con la sua mamma; facendo ciò lei augurava tanta salute alla sua creatura e tanto latte quanto ne aveva la donna appena incontrata.

L’acqua, elemento indispensabile per la vita, rappresentava così, per le donne di S. Eufemia, un bene prezioso tanto da creare intorno ad essa un vero e proprio culto di propiziazione. Un culto che si inserisce all’interno dei cosiddetti “Riti di Passaggio” relativi all’intero ciclo della vita umana. In questo rito si ritrovano caratteristiche peculiari come l’aggregazione, l’unione, i legami in quanto le donne non si recavano mai sole alla fontana, ma sempre in gruppo. Oggi la fontana di S. Eufemia è ancora lì a testimonianza di una passato e di una tradizione mai dimenticati; da essa sgorga ancora acqua.

Nella Valle di Palombaro, tra le più straordinarie della Majella, si aprono nelle pareti rocciose molteplici grotte, molte delle quali sono state (altre lo sono ancora) luoghi di culto, la presenza dell'uomo nell'area risale all'Età del Bronzo. Grotta Sant'Angelo è la più nota: si tratta di un vastissimo riparo sotto roccia, all'interno del quale, in antico, si praticava il culto della dea Bona, nonostante Grotta Sant'Angelo sia in un’area ricca di avvenimenti è comunque carente di storia, tanto è vero non si conoscono narrazioni di santi o eremiti che vi abbiano vissuto, né si è a conoscenza di accadimenti riconducibili alla Grotta.

In Abruzzo, le grotte dedicate al culto di San Michele Arcangelo, o Sant’Angelo, sono moltissime, e la divulgazione di tale culto fu favorita dal carattere di continuità con i precedenti riti pagani che, appunto, avevano luogo in quelle grotte: riti di fecondità, venerazione delle rocce e delle acque. Con l’avvento del cristianesimo, di fatto, ad Ercole (protettore della transumanza) era subentrato San Michele Arcangelo, raffigurato come un giovane guerriero debellatore delle forze maligne rappresentate da un drago, pertanto anch'egli un semidio come Ercole. La chiesetta rupestre fu costruita sui resti del santuario dedicato a Bona, a cui le donne in età fertile si rivolgevano per supplicarne i favori. Esse arrivavano in corteo da tutto il territorio e si aspergevano i seni con le acque purificatrici, che sgorgavano da una sorgente all’interno della grotta, che erano raccolte nelle vasche scavate nella roccia all’ingresso della caverna. Nel vasto antro vi sono tuttora delle vasche scavate nella pietra in cui avveniva la raccolta delle acque: due di esse sono situate sul lato destro dell'ingresso ed hanno, l’una a forma semicircolare, l’altra rettangolare, comunicanti tramite un buco. Nella grotta, ancora, vi sono tre vasche: una ellissoidale incavata in un basamento roccioso, un'altra ai piedi di un roccione inclinato e la terza, di forma grosso modo rettangolare, ricavata in una sporgenza rocciosa e serviva per la raccolta dell'acqua piovana. Al centro della grotta emerge una roccia dalla naturale forma particolare, probabilmente impiegata ab antiquo come ara per funzioni preistoriche e pagane, su cui (tra la fine del sec. XI e l'inizio del sec. XII) fu costruita con conci di pietra squadrata della Majella, l’abside romanica per le funzioni cristiane.

Cosa resta della struttura romanica altomedievale? Solamente due muri, larghi tra i 40 e gli 80 cm circa, collegati da una piccola un'abside semicircolare. Archetti pensili, che richiamano gli stessi nell'abside di San Liberatore a Maiella (Serramonacesca), decorano la parte alta dell’abside, in cui si riscontra, altresì, una cornice decorata con cordonature a tortiglioni che si ripete nella cornice di una finestrella strombata. L’interno dell’abside è dirupato e vi trova posto una lunga roccia in cui sono stati ricavati dei larghi gradoni. La modesta struttura è oggi  completamente disadorna, ma le testimonianze rammentano che fino a non molto tempo fa vi erano un altarino e nicchie con statuine, evidentemente trafugate.

Il Moretti scrisse che: "è senza dubbio l'unica rilevante vestigia ricavata nella roccia che assuma chiaro valore di arte".

L'acqua è la protagonista di uno dei più struggenti romanzi che la letteratura contemporanea italiana: Fontamara, scritto tra il 1927 e il 1930 da Ignazio Silone, abruzzese originario di Pescina dei Marsi. Fontamara è la storia di un tormento, il tormento della povertà e dell'ignoranza, del sopruso e dell'inganno, che vede nell'acqua il fattore scatenante della lotta di popolo contro il potere costituito. E’ la storia, ambientata nei primi anni dell’avvento della dittatura fascista, di un intero paese che si arrabatta e combatte (una lotta senza esclusione di colpi e che coinvolge parimenti uomini e donne), senza successo, contro il sopruso di un ricco signorotto della zona, denominato l’Impresario, il quale, in combutta con le autorità comunali e statali, arroga a sé il diritto di utilizzare come, quando e quanto più gli conviene, l’acqua, fonte di vita. La storia, ambientata nei primi anni dell’avvento della dittatura fascista narra la disperazione degli abitanti poverissimi di un piccolo villaggio, per la deviazione di un corso d’acqua che bagnava le loro terre poco fertili, quelle da loro possedute o sognate. Se l’acqua serviva a raccogliere frutti effimeri, ma preziosissimi, di una coltivazione compiuta a prezzo di enormi sforzi umani, la sua privazione significava morte certa, incapacità di sostenersi con l’unico prodotto che era loro possibile raccogliere, cioè quello dato dalla terra brulla e parca di soddisfazioni. E’ la storia di un intero paese che si arrabatta e combatte (una lotta senza esclusione di colpi e che coinvolge parimenti uomini e donne), senza successo, contro il sopruso di un ricco signorotto della zona, denominato l’Impresario, il quale, in combutta con le autorità comunali e statali, arroga a sé il diritto di utilizzare come, quando e quanto più gli conviene, l’acqua che per i poveri abitanti è l’ unica fonte di vita.

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli

email mancinellielisabetta@gmail.com

venerdì 12 marzo 2021

LA NASCITA DI GABRIELE D’ANNUNZIO: tra realtà e fantasia

Come è testimoniato dall’estratto di nascita, Gabriele D’Annunzio venne alla luce 160 anni orsono il 12 marzo alle 5,30 del mattino. La vita nel paese di Pescara e nella famiglia D’annunzio, si svolgeva tranquillamente in una monotona serenità.

Ma la nascita di ogni grande uomo e sempre accompagnata da avvenimenti misteriosi e circostanze allegoriche e da particolari a volte eccezionali in quanto assumono in seguito valore illuminante. Al di là delle leggende nel caso del Poeta, ci fu un episodio che ha una sua delicata importanza sia per la storicità del fatto sia perché originato dall' “amore divinante “della madre. La fedele custode di casa D’annunzio “la serva ammirabile”: Marietta Camerlengo, ha testimoniato, nei suoi frequenti racconti che il bambino, dopo le cure della levatrice Angeladea Mungo, fu offerto al primo tenerissimo abbraccio della madre che in un impeto di commozione apostrofò la sua creatura con queste profetiche parole augurali “ Figlio mio sei nato di marzo e di venerdì chi sa che grandi cose tu dovrai fare nella vita!”. Con questa benedizione e sotto una pioggia di piastre d’argento, che, secondo l’usanza venivano deposte tra le fasce dal nonno, Gabriele dormì il suo primo sonno nella quinta stanza della casa. Nei giorni seguenti furono compiute le cerimonie di rito: la registrazione allo Stato civile del Municipio e il battesimo alla parrocchia di San Cetteo.

Gli fu dato il nome di Gabriele dal nonno Don Antonio probabilmente in omaggio ad un suo fratello perito in mare. Ma alla sua nascita il poeta volle dare un sapore leggendario trasfigurando questo evento e attribuendogli un sapore leggendario e romantico . Nel 1894, in una nota autobiografica sulla “Revue de Paris” premessa alla traduzione del Piacere così descrive la sua venuta al mondo “Io sono nato nel 1864, a bordo del brigantino Irene , nelle acque dell’Adriatico, questa natività marina ha influito sul mio spirito. Il mare è infatti la mia passione più profonda: mi attira come una patria”. Né in diversa maniera, stando alle testimonianze di donna Luisa e Marietta, dovrebbe essere intesa anche l’altra affermazione del Poeta con cui inizia il Libro Segreto riguardo al “mistero della mia nascita”: “Nel nascere io fui come imbavagliato dalla morte: sicché non diedi grido. Né pur avrei potuto trarre il primo respiro se mani esperte e pronte non avessero rotto e lacerato quella sorta di tonica spegnitrice”. Secondo il racconto della madre Tutto si svolse invece in modo sereno. Il piccolo Gabriele nacque calvo, piccolo e sanissimo, i capelli che nella adolescenza divennero folti e mossi, spuntarono nelle settimane seguenti.

Don Francesco fece le cose alla grande, spalancò le porte di casa a tutta Pescara, corsero barili di vino e abbondanti sfornate di dolciumi casarecci da Flaiano, come si conveniva al tanto atteso erede maschio d’una delle più benestanti ed influenti famiglie del paese.


Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli 

email: mancinellielisabetta@gmail.com