venerdì 28 dicembre 2018

RICORDI FRANCAVILLESI di Gabriele d’Annunzio

RICORDI  FRANCAVILLESI di Gabriele d’ Annunzio


Nell’autunno 1880 Gabriele d’Annunzio entra nel Cenacolo come si evince dagli “Idilli Selvaggi” dedicati a Tosti, Michetti, Barbella e De Cecco. Il  poeta così
descriveva il  momento dell’ingresso nel Convento Michetti all’amico Nencioni: “Giunsi a casa ai primi di luglio dal ‘Cicognini’ un po’ sciupato… trovai nel Michetti un amico amoroso che mi rialzò, mi distrasse, mi comunicò un po’ della sua fede e del suo foco  sacro”.
Gli artisti lavorarono insieme per circa 10 anni in sintonia e armonia cercando di realizzare una compenetrazione di espressioni artistiche e creare una simbiosi spirituale.
Il Cenacolo michettiano fu uno straordinario fenomeno  raro  nella storia dell’arte italiana  animato dal sogno di una grande immensa “Arte fatta di tutte le arti” sulle ali di un sogno wagneriano.
 Così  Francavilla e con essa l'Abruzzo balzò, in quest'ultimo scorcio di fine Ottocento e nei primi anni del Novecento, alla ribalta nazionale.
Gabriele d’Annunzio nei Ricordi francavillesi pubblicati a Roma nel giornale “Fanfulla della Domenica” il 7 gennaio 1883 con il sottotitolo  “Frammento autobiografico” così racconta dei giorni  nel Cenacolo:
“Oh bei giorni ottobrali di Francavilla, quando il culto dell’arte ci univa! Quella povera casa solitaria, in mezzo alla immensità dei litorali, era il nostro tempio: per le stanze un grande alito di salsedine spirava, ci ventava in faccia l’odore degli scogli, ci infiltrava nel sangue un’aspra freschezza di salute… Oh bei giorni di Francavilla!          
Che sciupio felice di giovinezza, di forze, di amore, di sangue, di vino! Che felice copia d’ingegno sparsa nelle tele, nella creta, nelle strofe, nelle canzoni!                                                                   
Paolo Tosti allora cantava: una scaturigine vergine di melodia gli surgeva dal cuore pullulando e zampillando naturalmente. Tra i suoi accordi i ritornelli delle cantilene languivano  come in eco, nella sua romanza infondevano come una tristezza indefinibile di nostalgia. Per la casa  le onde fresche del suono talvolta si spargevano all’improvviso propagando un fremito: noi stavamo in ascolto, levato il capo dal lavoro….                                                                    
Così la vita era in fiore… Prodigavo colori e odori e fulgori con una pazza ingenuità di fanciullo. Di tratto in tratto la faccia olivastra e sonnacchiosa di Paolo De Cecco si chinava su le mie carte e un fine sorriso animava quegli occhi….                    
Era il terzo Paolo, una figura d’arabo ubriaco di sogni di tabacco e di amori….  e dalle corde metalliche del mandolino suscitava la dolce tristezza umana delle note di Schubert. Accanto a me Costantino Barbella plasmava la divina creta, canticchiando. Ai tocchi fini della stecca e del pollice le forme feminee balzavano fuora con una viva freschezza di gioventù, con una movenza balda di vita. In torno nella nitidezza del bronzo, arridevano i suoi idilli maggiaioli. Si viveva così obliosamente.     La sera, mentre il plenilunio ottobrale saliva alla marina, i nostri cori risuonavano nella tranquillità degli oliveti, sotto l’incerto biancicare argentino dei rami. Erano le canzoni della patria. Dalle lontananze altri cori giungevano sul vento: nelle aie le villane cantavano, scartocciando le pannocchie di granturco, alla faccia lunare.”
Ricerca storiografica a cura di Elisabetta Mancinelli                          
email:  mancinellielisabetta@gmail.com

giovedì 13 dicembre 2018

Vincenzo Napoleone: una delle personalità più interessanti dell’arte figurativa del 900 abruzzese

dipinto di Vincenzo Napoleone

VINCENZO NAPOLEONE : una delle personalità più interessanti dell’arte figurativa del Novecento abruzzese che riassume nella sua opera il genuino linguaggio della nostra terra e l’universale poesia.
BIOGRAFIA
Vincenzo Napoleone nacque a Torre de' Passeri (Pescara) il 5 aprile del 1910.
Si accostò alla pittura da giovanissimo intorno al 1922 quando l'ornatista Angelo De Cesaris si accorse della sua spiccata predisposizione per il disegno.
Purtroppo la prima guerra mondiale e soprattutto la crisi economica che colpirono l'Italia e l'Abruzzo, lo costrinsero ad abbandonare gli studi e ad affrontare precocemente la vita. Furono anni di intense ricerche e di studi dal vero.
Nell'aprile del 1930, in occasione di una breve visita di D'Annunzio a Pescara, Vincenzo ebbe modo di realizzare degli schizzi a matita del poeta che gli permisero in seguito di dipingere il famoso ritratto a olio del vate, ultimato nel 1936 e replicato, perché distrutto dalla guerra, nel 1947.
Napoleone ,dopo il servizio di leva a Pisa visse tra la Toscana e l'Abruzzo. Nel 1941 sposò Nicolina Di Bartolomeo dalla quale ebbe un figlio, ma tre anni dopo il matrimonio, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, la moglie morì a soli 25 anni.
Nel 1946 sposò la sorella di Nicolina, Anita dalla quale ebbe tre figli. Durante gli anni del conflitto fu costretto a svolgere i mestieri più disparati: il cartellonista, il caricaturista, l'operaio in una fabbrica e, a guerra finita, fu anche gestore di uno stabilimento balneare e rappresentante di medicinali, ma nutriva sempre la passione per l'arte.
Negli anni Cinquanta cominciava la rinascita dell'Italia, ma le difficoltà erano tutt'altro che finite: in Abruzzo il mercato dell'arte era inesistente, specie nei piccoli centri, e così, attirato da migliori prospettive di guadagno, nel 1954 Vincenzo partì per il Venezuela dove rimase quattro anni.
Furono anni formativi e ricchi di soddisfazione, durante i quali lavorò come ritrattista del Presidente Marcos Perez Jimenez e come restauratore delle tele di Palazzo Miraflores. Appartengono a questo periodo una serie di ritratti dell'eroe venezuelano Simon Bolivar e opere di carattere religioso. Ma i rovesciamenti politici ,che nel 1958 condussero alla rappresaglia contro Jimenez , costrinsero l'artista a rientrare in patria. Cominciò ad organizzare una serie di mostre nelle più importanti città, a cominciare da quella memorabile a L'Aquila che gli valse l'ingresso nel mondo dell'arte nazionale.
La sua fama giunse anche oltreoceano quando espose negli Stati Uniti in mostre coronate da grande successo. Dalle sue opere traspariva un Abruzzo tutto nuovo, un mondo semplice, antico, tenace e ancorato ai valori sacri e tradizionali di un'epoca che andava ormai scomparendo. I punti di riferimento della sua arte furono ovviamente i grandi abruzzesi dell'800: Francesco Paolo Michetti, Filippo Palazzi, Teofilo Patini, Costantino Barbella, Basilio Cascella.. Fu un periodo di grandi successi che lo portarono, negli anni sessanta, ad aprire un atelier a Pescara che diventò in poco tempo uno dei centri artistici più importanti della regione.
Alla fine degli anni settanta affidò al figlio, l'artista Nicodemo Napoleone, l'atelier per ritirarsi in campagna, in una villa tra Castellana e Cerratina, dove rimase fino alla morte avvenuta a Castellana il 4 agosto del 1984.
Cinzia Napoleone la nipote di Vincenzo è l’ultima discendente di una famiglia di artisti che hanno saputo raccontare sulla tela, per oltre un secolo, quel che la natura sa esprimere. Figlia del maestro Nicodemo e nipote di Vincenzo ha ereditato da loro la passione per la pittura e l’arte in generale seguendo con loro un lungo percorso di apprendistato.
La pittura di Cinzia Napoleone, punto di arrivo di un secolo di tradizioni artistiche, rappresenta la testimonianza contemporanea che l’arte vera è in grado di trasmettere valori ed emozioni, che né il tempo né le tendenze possono offuscare.
L’artista amorevole madre di quattro bambini, così dichiara “ Mi sento molto vicina al nonno Vincenzo sia dal punto di vista pittorico che caratteriale, poiché lui era molto solare ed aveva grandi capacità di relazionarsi con umiltà tra la gente come sta accadendo a me da quando, un anno fa il 13 aprile 2014 ,nella mia Galleria d’arte ho aperto una scuola di pittura che è sempre piena di giovanissimi allievi ma anche di meno giovani, attratti da un modo diverso di concepire l’arte che non è solo per pochi eletti ma va incontro a tutti. Il prossimo 14 aprile 2015, in occasione del 1° anniversario di apertura della mia Bottega d'Arte, invito tutti gli amici per festeggiare insieme questo fantastico primo anno di attività all'insegna dell'arte”
LA PITTURA DI VINCENZO NAPOLEONE
Il pittore , dopo aver assimilato la lezione della grande tradizione classica , ha elaborato un discorso tutto personale, pur operando in una città come Pescara tutta proiettata verso soluzioni di avanguardia è restato fedele alla sue scelte. Ha preferito andare contro corrente e, piuttosto che rinnegare la propria natura, ha lavorato in solitudine confortato dal crescente successo cercando di far lievitare il suo nucleo spirituale.
La sua pittura è alimentata da un’ispirazione paesana ,un microcosmo: l’Abruzzo.
Le sue tele sono popolate di paesaggi, uomini , oggetti della natura che recupera da un folklore antico della sua fanciullezza: giocattoli, pupazzi disarticolati ,volti e costumi che sanno di lontane cantilene popolari abruzzesi. Un recupero della nostra regione caro a D’Annunzio e Michetti. Emblematici sotto questo profilo i suoi paesaggi in cui zampillano acque fresche e pure dove le montagne sembrano proteggere una natura ancora incontaminata.
Il suo mondo non può che definirsi poetico , infatti Napoleone mostra una particolare gioia nel cogliere le stagioni e prediligere gli oggetti umili delle case più antiche.
Altro elemento caratteristico della sua produzione artistico-poetica sono i fiori: li raffigura dappertutto in campagna, nei vasi, nelle composizioni e in essi evidenzia un cromatismo istintivo a volte esuberante a volte soffuso dai colori suggestivi vibranti dove gli spazi , la luce, la vicenda quotidiana vengono rappresentati in modo sereno senza messaggi enigmatici. Vincenzo Napoleone dipinge come vive con autentica libertà col cuore nel pennello e grande felicità interiore.






















opera di Vincenzo Napoleone




Recensione a cura di Elisabetta Mancinelli        email : mancinellielisabetta@gmail.com

Le immagini sono di proprietà di Cinzia Napoleone che ha concesso anche i diritti di riproduzione.



Intervista a Tonino Tucci, l'eclettico fotografo della vita pescarese degli anni '70 e '80



INTERVISTA A TONINO TUCCI ECLETTICO FOTOGRAFO, NON SOLO DELLA VITA E DELLA MONDANITA’ PESCARESE DEGLI ANNI ’70 E ’80, MA ANCHE POETICO RAPPRESENTANTE DELLE IMMAGINI E DEI COLORI DEL NOSTRO MARE E DELLE NOSTRE SINUOSE COLLINE.

BIOGRAFIA DI TONINO TUCCI
Tonino Tucci nasce a Pescara il 1 giugno 1938. Sin dall’età di dodici anni maneggia le prime macchine fotografiche , ne viene incuriosito e ne subisce il fascino. Inizia a praticare quest’ arte a sedici anni , man mano acquisisce nozioni ed esperienze e sviluppa le sue innate potenzialità.
Anche durante il servizio militare gli viene assegnato il compito di fotografo della Compagnia e svolge con amore ed interesse sempre crescenti questa attività.
Tornato a Pescara rileva uno studio fotografico in via Galilei dove, da subito, mette in mostra il suo talento, con servizi fotografici di alto livello. Viene poi chiamato da “ll Messaggero” di Roma che gli affida l’incarico di fotoreporter per le pagine di Pescara e Provincia.
Collabora con la redazione de “ Il Tempo” e viene poi assunto come fotografo da “ ll Resto del Carlino”.
Fotografo eclettico riesce a dare il massimo nei servizi fotografici riguardanti teatro, concerti , jazz e cultura in generale ma anche nello sport e nella moda.
Partecipa al concorso fotografico per il 50° anniversario del Comune di Pescara e vince il 1° Premio. Nell’anno 1974 Lucio Fumo, responsabile del Festival Jazz di Pescara, gli affida il compito di fotografo della manifestazione.
Le sue immagini appaiono su tutte le riviste specializzate anche americane.
Viene nominato fotografo ufficiale della Pescara Calcio negli anni delle tre promozioni in serie A.
Fotografo della mondanità pescarese negli anni ’70 e ’80 è testimone di questi anni insieme alla sua inseparabile macchina fotografica, fermando immagini di storie belle e meno belle della vita di Pescara e dei pescaresi e conoscendo personaggi del cinema , teatro e sport dell’epoca.

Riceve diversi riconoscimenti tra cui il secondo premio per il concorso sulla “ Porta del Mare”.
E’ il fotografo ufficiale del Primo Giro ciclistico d’Abruzzo a tappe e fotografo di scena nel film “La sposina” girato a Pescara. L
a sua curiosità e creatività lo portano ad affacciarsi anche al mondo del teatro e, dopo aver frequentato un corso di dizione e recitazione con Antonio Calenda, nel 1980 entra a far parte della compagnia “Giovani oggi” di Pescara.
Trasferitosi a Spoltore nel 1985 il suo entusiasmo coinvolge i giovani del paese con i quali organizza spettacoli teatrali a cui partecipa sia come attore che come regista.
La passione per la fotografia lo spinge ad insegnare quest’arte ai bambini della Scuola Elementare del paese, affascinato dal gran desiderio di trasmettere alle giovani generazioni le proprie conoscenze.


Espone il suo ricco patrimonio fotografico in diverse mostre personali. Da una sua idea nasce il 1° Concorso fotografico “ L’aratro d’oro” a Cavaticchi di Spoltore.

Attualmente si dedica a letture di brevi racconti e poesie, con la predilezione per i versi di D’Annunzio che lo affascinano per la loro musicalità.
Contemporaneamente il suo animo romantico e poetico ed il suo occhio fotografico sempre attento, lo portano a catturare immagini del mare e delle campagne del nostro Abruzzo, riscoprendo la dolcezza delle nostre colline dalle forme sinuose ricche di vibranti sfumature cromatiche e la particolare bellezza delle coste chietine disseminate di trabocchi da Ortona a Punta Aderci di Vasto.



INTERVISTA AL FOTOGRAFO TONINO TUCCI

Quando un raggio di sole, da un cielo coperto, cade su un vicolo squallido, è indifferente che cosa tocca: il coccio di una bottiglia per terra,  
il manifesto lacerato sul muro, o il lino biondo della testa di un bambino. 
Esso porta luce, porta incanto, trasforma e trasfigura.
Hermann Hesse

Come si è avvicinato alla fotografia? Naturalmente, sin dall’età di dodici anni ho cominciato a maneggiare le prime macchine fotografiche perché ne ero incuriosito, poi per personale attitudine e inclinazione verso questa arte, a sedici anni ne ho iniziato lo studio, acquisendo nozioni ed esperienze e sviluppando le mie potenzialità.
La fotografia per lei che cos'è?
Non solo è un modo di fermare la realtà che ci circonda ma è una forma d’arte che mi permette di esprimere la mia interiorità: le mie sensazioni, emozioni , suggestioni e vibrazioni dell’anima.
A proposito di colori lei preferisce il bianco e nero o il colore?
Ho sempre distinto il bianco e nero dal colore.
Sono due modi differenti e diversi di fotografare: dipende dal soggetto, dagli elementi che si desiderano raffigurare.
Il bianco e il nero è il mezzo tecnicamente più impegnativo e artistico e si adatta ai volti, ai mezzo busti e agli ambienti e crea un gioco di luci che meglio esalta le caratteristiche somatiche e le immagini.

Il colore invece fa parte dell’esistenza in quanto noi vediamo a colori e rispecchia la vita reale;


l’importante è saper cogliere i particolari cromatici che rendono interessanti il nostro soggetto.

Ha dei modelli, dei maestri?
Non ho modelli di riferimento , non ho mai imitato fotografi importanti, ma ho attinto da questi nozioni e tecniche per creare immagini confacenti alle mie esigenze personali di raffigurazione di soggetti e paesaggi.


E lei si sente un maestro?
Non mi sento un grande maestro ma semplicemente un insegnante che è affascinato dal desiderio di trasmettere le sue esperienze e le sue tecniche ai giovani.

Lei è stato fotoreporter per importanti giornali. Queste esperienze hanno influenzato il suo approccio all’attività più strettamente artistica?
Sì, avendo lavorato per Il Messaggero, Il Resto del Carlino e Il Tempo ho avuto esperienze formative basilari per la mia formazione professionale che hanno sicuramente determinato e sviluppato il mio senso artistico.
L’occhio con il quale fotografa i diversi luoghi cambia in funzione del soggetto, oppure i suoi scatti riflettono tutti una sua personale poetica?
L’occhio con il quale riprendo le immagini, i paesaggi, cambiano a seconda della luce, del soggetto e della situazione.
Lavorando solo in esterni, non in uno studio, la fonte di luce è una sola e non sempre disponibile. Bisogna sapere in anticipo quando ci sarà ,di conseguenza occorre recarsi sul luogo delle scene da fotografare per valutare se è quella adatta alla realizzazione delle immagini.
In queste situazioni diventa esaltante cogliere l’attimo.


È proprio in tali circostanze che si manifesta quel non so che di magico che ci consente di trasfigurare piuttosto che riprendere semplicemente una porzione di territorio.
Ed è così che si può catturare l'anima dell'ambiente che ci circonda, che non è altro che il riflesso della nostra anima.
Quali sono i suoi soggetti preferiti?
Il mare e la campagna della mia terra. Questa scelta deriva da un’esigenza del mio carattere, dal mio modo di essere, non è una ricerca ma è insito nel mio animo.
Il mare con il suo rumorio, il colore che cambia a seconda della luce, le sue caratteristiche mutevoli: selvaggio, forte, allegro, tranquillo, burbero, arrabbiato, rispecchia la mia indole.
Mi affascina , soprattutto d’inverno, quando le onde impetuose si infrangono sulle rocce con i suoi zampilli schiumosi che bagnano la vegetazione selvatica sull’arenile.
Adoro anche la campagna d’Abruzzo ,dalle stupende immagini come le calde sfumature dei tramonti, i tagli dei terreni appena arati intramezzati dalla vegetazione e da tutte le sue componenti: alberi, fiori, farfalle…



Anch’essa come il mare è parte di me, mi appartiene perché delicata, riposante, poetica: in questi elementi mi sento fotografo ma anche poeta.
Perché è così speciale la fotografia di paesaggio e, soprattutto, cosa è realmente la fotografia di paesaggio?
Per me è assolutamente speciale perché fa sì che io mi immerga nella natura dove il mio occhio e la mia macchina fotografica possono spaziare per coglierne i vari elementi: pianure, colline, alberi, fiumi, laghi, mare con i loro colori.



Ma preferisco fermare le immagini in primavera e in autunno quando i contorni non sono tenui e sfumati ma ricchi di vibranti tonalità cromatiche.
La sua arte è in continua evoluzione? Quali sono attualmente le sue fonti di ispirazione?
Attualmente , dopo tanti anni dedicati alla fotografia di paesaggio, ho scoperto un modo nuovo di espressione fotografica lo “still-life” , che mi permette di ritrarre oggetti inanimati: frutta, ortaggi fiori, piccole composizioni a distanza ravvicinata.







Sollecitato dalla mia fantasia cerco di cogliere la direzione del fascio di luce per convogliarlo sull’oggetto; questa mia personale lettura mi sta rivelando un mondo affascinante e fantastico a cui mi sto dedicando con grande emozione e che cerco di far conoscere a quanti sono appassionati alla fotografia.




Intervista di Elisabetta Mancinelli 
Recapito:
email: tuccifotografia@libero.it

I Taccuini di Gabriele D'Annunzio


L'esistenza di appunti scritti in diverse occasioni da Gabriele D'Annunzio era già nota agli inizi del Novecento, in quanto il poeta stesso ne parlò più volte.
Si tratta di veri e propri quadernetti che il Vate usava portarsi nelle tasche ovunque andasse per poter annotare, in ogni momento, qualsiasi pensiero gli passasse per la mente, molto importanti per la genesi delle sue opere , rivestono un ruolo fondamentale  nel poeta abruzzese più che in altri autori.
Scopo principale del poeta nel fissare queste annotazioni era quello di "fermare sulla carta" i pensieri e le immagini, i luoghi che riteneva degni di essere ricordati e che potevano costituire materiale prezioso per una successiva elaborazione letteraria.
Anche se frammentari, questi testi offrono un ritratto spirituale del poeta e approfondimenti critici del suo lavoro letterario.
Una delle caratteristiche principali dei Taccuini è la notevole presenza di descrizioni: un mezzo per indagare la realtà.
Dei luoghi amava riferire con minuzia tutti i particolari, ciò non gli impediva tuttavia la loro trasfigurazione da spazi reali a luoghi mitizzati.


Questi appunti hanno diverse chiavi di lettura: una fedele cronaca delle vicende della vita dell'uomo con registrazioni di viaggi, notizie private e familiari, impegni mondani, promemoria, spese quotidiane relative al ménage domestico, ma anche un diario dell'anima: emozioni, amori, entusiasmi, inquietudini, delusioni.


La stessa vita creativa di D'Annunzio è ricostruibile attraverso i documenti di ispirazione poetica, le tracce delle trame che saranno alla base dei suoi romanzi, i nomi registrati dei protagonisti, i discorsi di natura politica.
L’opera presenta un carattere unitario: costituito da frammenti di sensazioni, da annotazioni immediate chiamate "faville di pensiero", il tutto registrato da D’Annunzio con una sconcertante puntualità dal 1881 al 1925.
Due sono i tipi dei taccuini quelli scritti di getto , anche se non nel momento stesso dell’avvenimento,al tavolino sul filo della memoria e quelli invece, rielaborati, frutto di un ripensamento I Taccuini rintracciati sono circa centodiciotto: centootto rinvenuti negli Archivi del Vittoriale degli Italiani nel cassetto dello scrittoio del poeta, sette in Archivi privati; a questi si aggiungono tre già pubblicati.
Alcuni di questi quadernetti andarono dispersi mentre altri furono donati dal poeta a persone amiche.


Nell'anno del centocinquantesimo anniversario della nascita di Gabriele D'Annunzio è stato pubblicato un taccuino inedito, fino ad oggi conservato nella Biblioteca Cantonale di Coira in Svizzera che aveva ricevuto in dono da un amico del poeta.
Il quadernetto d'appunti a righe, come spesso ha fatto in altri taccuini, venne scritto dal poeta all'età di 16 anni quando era convittore nel liceo Cicognini di Prato, che frequentò dal 1876 al 1881.
Si tratta di una raccolta di proverbi e modi di dire toscani. Il testo segue un disegno preciso, spiegato in «Le faville del maglio. Il compagno dagli occhi senza cigli»:
Il desiderio del poeta di studiare la lingua italiana per affrancarsi dal dialetto abruzzese:
«La providenza di mio padre che mi vietava la barbara terra d'Abruzzi finché non fossi intoscanito incorruttibilmente».
Tante sono le sensazioni che il poeta annota durante i viaggi che compie a Parigi, Londra in Grecia, in Germania, in Svizzera e soprattutto in Italia. Un momento particolarmente suggestivo è quando descrive ciò che prova passeggiando tra i trulli di Alberobello cittadina inimitabile per la caratteristica presenza dei  trulli, (dal greco trullo : “cupola”) durante un viaggio in Puglia che avvenne negli ultimi giorni di settembre del 1917 al tempo del volo per il bombardamento delle Bocche di Cattaro del 4 ottobre.


Egli entrò nel trullo col numero civico 7, situato nella piazza a lui intitolata e così descrive lo stupore per lo straordinario paesaggio della Murgia, avvolto dalle strane costruzioni coniche :” all’improvviso nella valle d’Itria ecco spuntare case di fiaba… attendamenti di pietra nel terreno ondulato,.. innumerevoli coni bruni contrassegnati dall’emblema fenicio..” Vorrei stendermi per terra  in un "trullo" dalla volta d'oro e lì sognar”.
Un Taccuino molto intenso in quanto pregno di amore i luoghi delle sue origini, venne scritto del 1905 in occasione di un ritorno nella sua terra che così recita: “ M’è caro che il primo saluto in questa terra d’Abruzzi che con tanta abbondanza d’amore accoglie il suo figliolo fedele tornante da un travagliato esilio alla bontà del grembo natale, m’è caro che il primo saluto, e forse il più profondo, mi venga dai miei prossimi, da coloro che nacquero sul mio bel fiume, che respirano i venti di quel mare ove si temprò la mia adolescenza ansiosa.


Ancora una volta, con una gioia che mi par nuova, per voi m’è dato riconoscere i legami sacri che congiungono la mia anima all’anima della mia gente…Quanto per me fu lieto l’arrivo nella città dove mi sembra esser rinato e consacrato da un battesimo ideale tanto per me è doloroso questo commiato ..Moltiplicate le forze all’opera prossima per la quale io chiedo il vostro augurio.
O miei concittadini, affinchè sia degna della vostra aspettativa fidente.
Voi mi avete dato un meraviglioso viatico per il cammino che mi resta da compiere. Ovunque in ogni luogo e in ogni tempo, da presso e da lontano, tutto il mio cuore con tutta la mia fede sarà con voi e per voi. A rivederci!”

                                         Brani dai Taccuini dannunziani


1  1.   La Pescara:  il fiume Pescara a Popoli  (alla sorgente)  da Taccuini  8 Settembre 1881
L’acqua corrente tra i pioppeti  dilaga, acqueta le ire, poi seguita  il viaggio tra i cespugli di celidonia  gialla e d’ortiche. Si specchian   i pioppeti nell’acqua.  Il rivo ha freschissimi murmuri , scende un bove grigio a bere. A fronte di queste ombre fatate s’ergono d’intorno le roccie aridissime , bruciate dal sole, prendendo stupendi riflessi dorati e d’argento. Ciuffi di menta odorosa sulle rive. Un coro lontano: è il meriggio.  E il rivo passa con murmuri freschi  suadendo         i sonni  pagani. Sopra , l’azzurro tenero limpidissimo.
La Pescara dappresso è un nembo di spume… dilaga precipitando da piccole roccie muscose.                                      I pioppi d’intorno come giganti verdi sognanti al murmure soave. Volan le cavolaie candide di tra le  foglie, s’alzano alti gruppi di ortiche coi fiori roseo -violetti. Mancan  le Najadi ne’ voli azzurri.      Che splendidi sogni!    Che freschezza lucente di fogliami.  Che lembo di spume meraviglioso.                       Dà le vertigini! Lanciarsi là e sparire! Le roccie traforate dall’acqua si ergono. Sale polvere acquosa a rinfrescare il viso. Valanghe  valanghe  di spuma….
Io disteso  sul tappeto morbido d’erba sotto una cupola di  pioppi fra cui giuoca il sole meravigliosamente. Le foglie dei salici nel sole sembrano d’argento. L’acqua smeraldina passa presso. Che follia, che gioia, che ebbrezza di verde! Ondeggiano l’ erbe alte con un bisbiglio alto. Solitudine verde, ove canta il vento .. che agita in ampia tempesta  l’erbe.  Che onda! …  E verde e verde e verde..!

2. Il Pescara  alla foce   da Taccuini  Ottobre  1882
“ Il fiume che passa entro una barca rossa alla foce, dall’altra parte la riva … passa la barca veloce con rumore, un gabbiano biancastro aleggia sull’acqua.  Stan su la riva i lini sparsi, in fondo alla foce la linea verde del mare sparsa di punte rosse e gialle che sono paranze lontane. Sole di ottobre calma, scirocco.  Una gran barca s’affatica ad entrare, un nuvolo di gabbiani bianchi turbina nell’aria si tuffa nell’acqua.    Il fiume è delirante di sole e vengono vele; una innanzi rossa arancione accesa al sole, un fuoco di colori che sbatte sull’acqua azzurrina  del fiume; placide barche, una gialla e rossa, un’altra rossa a zone nere, sembrano di velluto …                      E’ un incendio di sole , viene uno sciame di vele , cadono ammainate, è una febbre, ho la febbre del colore, l’acqua s’incendia di foco rossissimo … Che sinfonia , che gridi, che tuoni di colore!                       Tra il verde caldo autunnale delle rive. C’è il rosso bruno; le vele si afflosciano e si chiudono come ali  stanche, ondeggiano, si  aggrinzano …”
3. Anversa degli Abruzzi  ( da Taccuini  Ottobre  1896):
“ Anversa.  Avanzi di un castello . Chiesa con un rosone del XVI  sec. e una porta con due figure , una delle quali con una gran barba  che la copre tutta d’un manto. E’ vestita d’una pelle di pecora. Il rosone è gotico. Su la porta San Girolamo portante una casa nelle mani e un leone ai piedi.                Nella chiesa una croce processionale d’argento ornata di rilievi. Andavamo per le terre nell’estate ardente. Di tratto in tratto trovavamo nelle chiese le belle croci d’argento dagli orafi  sulmontini  che  ci rinfrescavano … Il Sagittario , il fiume spumoso, si dilata in un luogo ricco di trote, chiamato  Acquazzeta. L’acqua è gelida e cristallina su un fondo di innumerevoli erbe molli”

4.   Silvi (TE)  da  Altri Taccuini  (1910):
"Una strada corre lungo il mare , parallela alla spiaggia, limitata da qualche pioppo.
Un  fiume di ghiaia , largo, si confonde coi campi è come una via di migrazione, come un tratturo... 
Una  torre quadrangolare di vedetta, merlata sul mare ...
Il mare su una spiaggia tanto sottile che sembra debba avanzarsi scorrendo su tutto il paese, fino             al  piè dei poggi. Le file di paranze con un solo albero  e le antenne posate sul bordo, le reti tese sulla cima dell'albero a poppa e a prua. Nella sabbia le  piccole  viti nerastre, sermenti secchi                e torti :  Silvi”


5.  Discorso  ai  Pescaresi  da Taccuini  (1905)
 “ M’è caro che il primo saluto in questa terra d’Abruzzi che  con tanta  abondanza d’amore accoglie il  suo figliolo fedele tornante da un travagliato esilio alla bontà del grembo natale ,                  m’è caro che il primo saluto e forse il più profondo, mi venga dai miei prossimi, da coloro che nacquero sul mio bel fiume , che respirano i venti di quel mare ove si temprò la mia adolescenza ansiosa. Ancora una volta , con una gioia che mi par nuova, per  voi  m’è dato riconoscere  i  legami sacri che congiungono  la  mia  anima  all’anima della mia gente... Quanto per me fu lieto l’arrivo nella città dove mi sembra esser rinato e consacrato da un battesimo ideale tanto per me è doloroso questo commiato… Moltiplicate le forze all’opera prossima per la quale io chiedo il vostro augurio . o  miei  concittadini, affinché sia  degna  della  vostra  aspettativa  fidente.
Voi mi avete dato un meraviglioso viatico per il cammino che mi resta da compiere. Ovunque in ogni luogo e in ogni tempo, da presso e da lontano, tutto il mio cuore con tutta la mia  fede sarà con voi e per voi.  A rivederci!”

6. Visita ad Alberobello e ai Trulli:  da  Taccuini (1917)
“..all’improvviso nella valle d’Itria  ecco  spuntare  case  di  fiaba .. innumerevoli  coni  bruni…
  vorrei stendermi per terra  in un "trullo" dalla volta d'oro e lì sognar”..

 “Partiamo per Brindisi in automobile. Lunga strada abbagliante, per una campagna di sete.           Grossi borghi imbiancati. Gli olivi.
Tra Alberobello e Locorotondo i paesaggi strani sparsi di trulli. Una specie di attendamento lapideo. I padiglioni conici di pietra, col fiore in cima. I trulli bruni e bianchi. I gruppi di coni. Penso ad una abitazione fatta di sette trulli con l’interno dorato, con le pareti di lapislazzuli, con i pavimenti coperti di tappeti arabi. Ad Alberobello la festa di Cosimo e Damiano, la festa dei Santi Medici. Carri pieni di pellegrini, processioni,  musiche … paese remoto come sogno, e come un’antica età. La via bianca tra muri e secco. Gli ulivi consorti, sui grossi ceppi, simili a quelli della baia d’Itea, di Delfo, di Egina; ulivi ellenic i,l’erba arsiccia nell’ombra, color di velluto fulvo.
Le pecore nere, le pecore dei sacrifizi  alle divinità di sotterra, che fuggono tra ombra e ombra. Qualche capro nero, dall’occhio giallo. Qualche stuolo di contadini seminudi, simili a certi gruppi di terracotta beotica, simili a certe figure dei vasi campani.    Nella stanchezza mi addormento …
Mi sveglio e vedo un paese di sogno, come se dormissi tuttavia. L’attendamento di pietra nel terreno ondulato. Gli innumerevoli  coni  bruni  contrassegnati dall’emblema fenicio.
Lunghe nuvole rosee in cielo d’acquamarina … Le città bianche che s’innazzurrano nella sera.
La luna pallidissima nel cielo limpido.”

7.  Venezia : San Marco e  notte lunare   da  Altri Taccuini (1896):
San Marco
“… al mattino, le cupole hanno uno splendore , riposato, tranquillo.  Dalle vetrate, a oriente, entra qualche riflesso di sole chiaro. Nel coro i preti salmodiavano  in coro… Appoggiato al pilastro egli sente alle spalle il gelo del marmo polito. A sinistra , sotto l’arco profondo, sul campo d’oro, il colossale albero popolato di apostoli.  Le venature dei marmi, il verde chiazzato di bianco, il rosso bianco e nero, il bianco con vene d’un cupo oro …  Accanto le colonne di granito opache , con le basi fendute,  solcate … I sedili  logorati  e  lucidi. Nel vano delle finestre la luce e l’inferriata si rispecchiano perfettamente.     Nel coro i canonici negli stalli, ammantati di paonazzo, cantavano …
NOTTE LUNARE  “La bocca del  Canalazzo  presso la Salute,  è piena di barche illuminate, cariche di musici e di canto Le gondole seguono, piene di donne che ascoltano i suoni.   Il cielo è purissimo, palpitante di stelle; l’acqua è immobile. I lumi della Riva vi si riflettono. I navigli ancorati interrompono lo specchio con le loro masse. I due angeli d’oro, di San Marco e di San Giorgio, toccano le stelle”

8 – Brescia :  Museo Civico  da  Altri Taccuini  (1909):
“Il Museo Civico a Brescia.  La piazzetta deserta. Il cancello. Nella  piazza di San Zeno con i delfini attorti. A sinistra, contro la casa del custode un melograno in fiore, che copre tutta la muraglia. Una fontanella geme  in una vasca fatta di un capitello vuoto.  Capitelli corrosi ammonticchiati vecchie pietre. Dinanzi è la scalinata di pietra nei cui interstizi cresce l’erba. Tronchi di colonne scanalate, grigiastre, biancastre. Di qua e là dalla scala fiori di giaggioli delicati e qualche rosaio. Cippi, frammenti di architravi- Un oleandro fiorito. Si entra in un grande sala dalle pareti  coperte di iscrizioni. Le vetrine funebri  piene di bronzi e di vetri. Nella stanza chiara, dove il sole entra, ingombra di are, di anfore, di bassi rilievi è la Vittoria di bronzo. Tiene il piede destro a terra, il sinistro alzato, forse poggiato su un occipite del vinto? Le due braccia fanno un gesto incomprensibile. Ha il diadema d’argento. Nell’interno della Vittoria fu trovata la statuetta dorata dello schiavo con le braccia legate dietro le reni. La Vittoria era sul carro , teneva forse le redini e una corona . La testa  piccola  come quella d’Isabella.  La capellatura ondeggiata costretta dal diadema d’argento. L’ala sinistra è rotta. Il peplo cade sul dorso del piede. Un gruppo di pieghe rilevato le attraversa il corpo all’altezza del pube. I busti di bronzo dorato su le mezze colonne di marmo nero. L’orecchio piccolissimo con la parte superiore celata dai capelli. L’omero possente e rotondo. Il seno sinistro più saliente, sotto il peplo, dalla parte del braccio alzato. Una patina verde con macchie rossastre e biancastre. La patina fa verde, tutto verde, l’occhio sinistro. La parte inferiore del volto è nerastra,  il collo è forte.  Nella prima sala iscrizioni sacre e onorarie ed  epitaffi.  Sul pavimento un mosaico.”
9. Genova : da  ALTRI TACCUINI  (1915)
“Genova, la città che assale il cielo con la sovrapposizione titanica dei suoi palagi di pietra e sembra avere in sé la volontà di ascensione che  dalle sue vecchie fondamenta la solleva su per le giovani alture come per veder più alto e più lontano, Genova che  dantescamente  dei remi fece ala a sé per traversare i secoli  con un battito assiduo di potenza migratrice come Corinto e Atene, la più feconda delle stirpi italiche, quella  che ebbe in retaggio lo spirito di Ulisse tirreno per tentare e aprire tutte le vie, per popolare i lidi più remoti, per fornire uomini e navi a tutti i principi, per dare capitani a tutte le armate, per portare nell’Atlantico le costumanze del Mediterraneo...                  Grazie dell’accoglienza  generosa.. Che il primo saluto mi venga da cittadini genovesi è caro al mio cuore come non so dire. Ciascuno di voi comprende come in quest’ora la mia commozione non sia esprimibile …. I cinque  troppo lunghi anni di triste assenza sono aboliti dietro di me.                              Non vivo , non voglio vivere se non la vita nuova, non voglio respirare se non la primavera d’Italia… Viva sempre l’Italia!. Evviva la sua sorella latina che mi fu tanto ospitale.  Viva anche la Francia!”

10. Venezia: La casa rossa - Il giardino Eden da Taccuini
 Il giardino Eden.” Lunghe pergole a’ cui lati sorgono nella luce verde a traverso la trasparenza dei pampini, lunghe file di puri gigli. In un prato molti alberi di marasche carichi di frutti vermigli. La pioggia crepita dolcemente. Un  grande  roseto, una massa di rosai. Oleandri, masse  di garofani, tutto in copia prodigiosa a mucchi. I melograni fioriti di fiori violentemente rossi, quei fiori in cui sono già i frutti. Siepi di papaveri. Caduti i petali rimangono le bacche, le capsule coronate. Al confine v’è una siepe di acacie che limita. Di là la laguna con le isole ... ”
11. Venezia  : Partenza per Buccari: da Taccuini   (1918)
Leggo lo scherno che ho chiuso nelle tre bottiglie. Scoppio di entusiasmo . Tutti giurano sulla parola di giuramento che io pronunzio. Viva l’Italia!.. Quando  vediamo torreggiare  la  prua dell’Animoso, rimontiamo a bordo dei Mas . Uscimmo per il passo del Lido. I siluri sono abbassati  Non  fa freddo . Il vento , in corsa è moderato. Benessere”.
12.  I Primi morti della Squadriglia Navale: da Taccuini (1918)
“ Compagni non vuol quel pianto né rimpianto chi ha la ventura  di cadere nella battaglia  non vuol essere vanamente  lacrimato ma vendicato potentemente. L’altra sera , la sera del solstizio , quando ci fu annunziato l’olocausto di Francesco Baracca mentre i nostri uomini caricavano di bombe i nostri apparecchi, io dissi che gli antichi nostri avevan ragione di celebrare la morte degli eroi con giuochi funebri. E per celebrare degnamente la morte dell’eroe , partimmo … finchè                     la notte non fu consunta. Due di questi nostri compagni abbattuti erano con noi, erano con me , volenterosi, ardenti .Di tratto in tratto volgendomi dalla prua, vedevo tra l’una e l’altra ala i loro giovani volti  intentissimi  dove le raffiche del vento notturno sembravano eccitare il coraggio come l’ardore nella face … La terra sta per prenderli. Sono i nostri primi morti. La nostra giovane Squadriglia ha il loro i suoi primi  morti….. Lo strazio delle loro carni è sparso su l’erba
13. Volo su Vienna :  9 agosto 1918  da  Altri Taccuini - I messaggi:  Il primo
:Viennesi! imparate a conoscere gli Italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà.Noi non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d'odio e d'illusioni. Viennesi!Voi avete fama d'essere intelligenti. Ma perché vi siete messa l'uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo si è volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela. E' il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria è come il pane  dell'Ucraina: si muore aspettandolo .Popolo di Vienna, pensa ai tuoi casi. Svegliati! Viva la libertà! Viva l'Italia
Il  secondo:  "In questo mattino d'agosto, mentre si compie il quarto anno della vostra convulsione disperata e luminosamente comincia l'anno della nostra piena potenza, l'ala tricolore vi apparisce all'improvviso, come l'indizio del destino che si volge. Il destino si volge. Si volge verso di noi con una certezza di ferro.     E' passata per sempre l'ora di quella Germania che vi trascina, vi umilia e vi infetta…

14. FIUME : discorso  ai legionari da Taccuini (1920)
Legionari ,soldati di terra e di mare, compagni d’arme e d’anima, ieri in quel grande anfiteatro tra la roccia e il Golfo … ancora una volta celebrai la primavera coi miei fanti.
Ancora una volta fui soldato tra i soldati, compagno tra i compagni, fedele tra i fedeli. Marciai con voi, mangiai il rancio con voi …  Il vostro passo è mio . Il vostro fiato è mio …
Non ci sono più soldati vittoriosi, poiché non c’è più la vittoria. Ma solo il soldato di Fiume è vittorioso…  ed è non soltanto la coscienza della nazione: è la giovinezza creatrice della nazione. C’è solo un esercito italiano: quello di Fiume … Questa è la realtà immutabile … la spada italiana del Piave e del Grappa, caduta nel fango, noi l’abbiamo raccattata, l’abbiamo impugnata e la teniamo sollevata e pronta … Se l’Italia vile ci rinnega e ci abbandona, noi soli salveremo il suo onore e  la sua gloria”.

15. D'Annunzio e la musica    da Altri Taccuini n.38 :
  "Dove la musica parla tutto il resto è silenzio. Ogni altra parola è inopportuna perchè  interrompe quell'armonia segreta che nasce in ognuno di noi, se abbiamo ricevuto con raccoglimento la rivelazione dell'arte divina. Sempre la musica, la più tenue e la vasta, rapisce e solleva il nostro sogno profondo, il nostro desiderio e il nostro dolore, la nostra speranza e la nostra aspettazione.. La musica è sempre un linguaggio che risponde al nostro intimo linguaggio, ha sempre una risposta per ciascuna domanda".
16. Le  Piavole  ( Le bambole):   Viaggio  nel  Veneto  nei  pressi del fiume  Timavo da Taccuini  (1918):
“Piccole donne dalle gambe nude come per guadare il Lete , vesti  succinte color fragola.                              Grandi maniche bianche, col capo coperto da un cappello come il papavero di Proserpina.                          Lo scialletto nero dalla lunga frangia, dalle calze nere, dagli alti tacchi, con visini modellati dalla febbre, pallidi strani. Una danzatrice con la gonnella rosea, cinta di fiori irreali, rose azzurre.                      I piedi fasciati come da coturno,i capelli gialli, le  Duchesse  posate su la campana della gonna sparsa di fiori, i boccoli biondi , i grandi cappelli di convolvolo, i seni gemelli, le collane di perle , i boccoli d’un bianco roseo e violaceo. I colori, un grigio azzurro, un giallo, un bianco, il raso, il velo il velluto. I pierrò bianchi coi bottoni neri, malinconici e sensuali, i nasini le bocchine , le maschere irregolari , la passione e l’ironia..”

17. Gardone - Il  Vittoriale  2 Febbraio  la Candelora da Taccuini  (1925) :
... “Nel Cenacolo solitario una mano fraterna ha posto su la mensa le primizie. Le  prime  viole,i primi narcisi … Queste fresche  e  infantili  primizie mi fanno disdegnare le opere d’arte raffinatissime che ornano la mia tavola. Le viole sono le prime… le accosto alle narici … hanno un odore intenso … In un vasetto d’argento tre narcisi … un odore acuto, più di quello delle violette. Ed ecco nel suo vaso di coccio , nella sua terra, il giacinto …
Su le pareti , intorno i segni del mio eroismo, le reliquie  dei  miei  eroi,i brandelli di camicie insanguinate, brandelli di grigioverde,i nastri azzurri inzuppati di sangue. Le medaglie che brillano dietro il vetro del reliquiarii. E, come mosso da una primavera occulta, il  sangue eroico, il  fraterno  sangue, comincia a fluire, comincia a gorgogliare …
I  vetri di Murano : le forme giunte a perfezione dopo prove e riprove  e generazioni e  generazioni  di vetrai  e consunzione di fuochi.  Di  attimo in attimo s’immalinconisce il pensiero nella caducità del fiore , nell’agonia  del  fior reciso.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli 
email: mancinellielisabetta@gmail.com