giovedì 30 marzo 2023

Costantino Barbella grande scultore abruzzese.

 Artista dal linguaggio originale e intensamente espressivo ha fatto delle sue opere un mezzo autonomo di espressione poetica di un Abruzzo ancora contadino e patriarcale. Barbella per la sua personalità artistica, la felice immediatezza e freschezza dei tratti fu considerato uno degli scultori più noti del tempo.

Con D’Annunzio, Michetti e Tosti fece parte del Cenacolo francavillese di fine Ottocento: espressione innovativa per una provincia, fino ad allora marginale nell’ambito della cultura italiana, che riuscì a diventare autorevole interprete di un indirizzo artistico che richiamò l’interesse degli intellettuali del tempo. Grande amico del Vate , Costantino “è un bel ragazzone abruzzese con gli occhi nostalgici del pastore e i folti baffi del pirata” (Diego Angeli). Matilde Serao lo descrive “un artista buono, lieto, ingenuo semplice d’animo e di abitudini” LA VITA Costantino Barbella nasce a Chieti nel 1852 da Sebastiano e Maria Bevilacqua, entrambi commercianti. La sua infanzia trascorre tra gli stenti della famiglia di un modesto venditore di chincaglierie con ben 18 figli a carico. Sin da piccolo comincia a modellare pastorelli per il presepio nel negozio del padre, va a scarabocchiare sui muri e a raccogliere cicche per le strade per raggranellare qualche soldo. Poco dopo il conseguimento del Diploma di Scuola Tecnica, i genitori gli aprirono un negozio di chincaglierie, nonostante egli non fosse interessato a questo lavoro e preferisse invece modellare statuine molto apprezzate dai suoi clienti per la grazia e il gusto finissimo. Le vendeva nel periodo natalizio e questi furono i suoi primi guadagni. Il negozio era frequentato anche da personalità locali tra cui il barone De Virgiliis che nel Natale del 1868,vedendogli vendere un gruppo di pastorelli di creta a venti soldi, rimproverò il padre perché non mandava il valido e promettente figlio a studiare scultura. Ma, l’anno dopo, un avvenimento cambiò la vita di Costantino: la conoscenza di un giovane artista coetaneo Francesco Paolo Michetti, studente del secondo anno della Reale Accademia di Belle Arti di Napoli che, nei suoi rientri a Chieti, trascorreva il tempo libero con lui. Barbella così ricorda quel periodo “Andavamo sempre insieme e insieme parlavamo d’arte come di un sogno. Egli pieno di fuoco e di vita ed io timido non privo di fede ci intendevamo bene”. Il pittore lo incoraggia a seguire la via dell’arte e lo esorta a concorrere per una borsa di studio indetta dalla Provincia di Chieti per frequentare a Napoli l’Accademia di Belle Arti. Nel 1872 gli morì il padre e, superato il concorso, si trasferì a Napoli e divenne allievo di Stanislao Lista, scultore romantico. Pur eseguendo occasionalmente statue di maggiori proporzioni, si mantenne quasi sempre fedele alle figure piccole, ai temi paesani, a scenette di tono idilliaco raffiguranti contadini abruzzesi, eseguiti con un verismo esatto e attento.
I soggetti romantici, la ricerca dell'interpretazione dei sentimenti più semplici e naturali, lo avvicinavano allo spirito delle poesie pastorali del D'Annunzio e delle pitture agresti del Michetti. Divenne notissimo con il Canto d'amore, esposto nel 1877 e il Gruppo di tre fanciulle abbracciate che camminano cantando, molto ammirato da D'Annunzio. Nel 1874 tornò a Chieti e nel 1884 ebbe l'incarico di allestire la sezione italiana alla Mostra internazionale di Anversa; in seguito espose a Parigi, a Berlino, a Londra, ad Amsterdam e in molte altre città europee, oltre che a Buenos Aires. Nel 1889 sposò Antonietta Corvi, gentildonna sulmonese, con la quale si trasferì a Castellammare Adriatico. L’anno successivo nacque il figlio Bruno e nel 1894 la piccola Bianca. Per seguire meglio i lavori di fusione delle sue opere ed evitare i continui spostamenti da Castellammare a Roma, nel 1895 si trasferì nella capitale con la famiglia e qui aprì anche uno studio in via dei Greci, ampio e luminoso, dove poter lavorare con più agio. Nel 1916 fu prostrato dalla prematura scomparsa del figlio, perito in guerra e iniziò anche ad avere seri problemi alla vista a causa di una cataratta, forse trascurata per lungo tempo.
A questo triste periodo risale il gruppo bronzeo Luce nelle tenebre, presentato nel 1920 all’Esposizione Internazionale della Società Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma, oggi conservato nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna della città, la cui versione in terracotta è invece presso il Museo di Chieti a lui intitolato. Favorito da un costante successo, eseguì un gran numero di terrecotte, di bronzetti, come la Confidenza, l'Aprile (Galleria d'arte moderna, Roma), Ragazzo, Pastorelli (ambedue a Capodimonte), e il Ritorno, la Partenza del coscritto (alla Galleria d'Arte Moderna a Roma). Verso la maturità l'artista eseguì anche nudi femminili, ma la vena migliore è da cercare nei bronzetti realistici. Era anche un abile disegnatore e un ottimo ritrattista; fece i ritratti di Mascagni, al quale era legato da profonda amicizia, del cardinale Rampolla e di Leone XIII, dei principi Danilo e Militza di Montenegro. In vecchiaia, ormai quasi cieco, si ritirò da ogni attività pubblica, ma volle tornare ad esporre per l'ultima volta alla Biennale romana del 1920. Morì a Roma il 5 dicembre del 1925, nella casa della figlia Bianca dove viveva, accudito premurosamente anche dal genero, il barone Franco Cauli di Casalanguida. 

LA FIGURA E L’OPERA 

Sin dagli anni della formazione Barbella si legò al gruppo degli abruzzesi amici illustri di Gabriele D'Annunzio, tra cui Tosti e Michetti, accomunati da quel “… prorompimento di gioventù, di baldanza, di passioni comunicative...” (Marchiori) già evidenziate dai critici contemporanei, ed i loro vincoli di amicizia si rinsaldarono soprattutto per la frequentazione del Conventino di Michetti: la dimora francavillese del pittore, dove spesso erano accolti insieme ad altri personaggi di spicco, intellettuali e letterati, come Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao.

La scrittrice così descrive l’atmosfera dell’atelier in una lettera a un amico nel 1884: “In una bizzarra casa, tutta segreti e finestroni bislunghi e porte rotonde, fra un’aquila, tre cani, cinque serpenti, Ciccillo Michetti dipinge e Costantino Barbella fa la statue … e Gabriele d’Annunzio la poesia. Verrà Ciccillo Tosti, in settembre, e la colonia artistica che lavora, contempla il mare, s’immerge nella freschezza delle notti meridionali sarà completa”. In virtù di questi legami, D’Annunzio, entusiasta della produzione artistica dell’amico, non solo scrisse numerose recensioni sulle sue opere ma si interessò anche della vendita e del prezzo di alcuni gruppi e statuette. A Napoli aveva studiato e perfezionato la tecnica del modellato, specializzandosi nelle composizioni in terracotta di piccolo formato e, più raramente, di grandi dimensioni, spesso fuse in bronzo, raffiguranti soprattutto scene di vita contadina, figure rappresentative della cultura popolare e dei costumi della sua terra, opere che portarono lo scultore al successo in Italia e all'estero. Una sua scultura, presentata alla Promotrice Napoletana, “La gioia dell’innocenza”, fu acquistata da Vittorio Emanuele II e donata alla Galleria di Capodimonte. Una delle prime commissioni è il gruppo intitolato “La Morte” eseguito per il sepolcro dell’eroe di guerra Luigi Vicoli, testimonianza della sofferenza con cui egli stesso sentiva l’ineluttabile momento del trapasso, rivelata da quello scheletro aggrappato a quel vivente nel tragico, fatale abbraccio.
La notorietà ed il denaro giunsero con una piccola composizione, “Canto d'amore”, presentata nel 1877 all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Napoli ed acquistata dal Conte Gigliani, opera che gli procurò anche il riconoscimento in ambito accademico con la nomina di professore onorario dell'Istituto Reale di Belle Arti. Gli anni successivi videro la sua affermazione nell’ambiente inter-nazionale: nel 1879 partecipò infatti sia alla Esposizione Nazionale di Napoli sia a quella Internazionale di Parigi dove vinse il secondo premio. Le sue sculture sono sintomatiche di una stagione culturale in cui la storia locale diventa ispiratrice di molti nostri artisti. I contadini ed i pastorelli realizzati con cura, le coppie di giovani innamorati ed i ritratti plasmati con freschezza, rivelano una felicità descrittiva spontanea e spiegano la popolarità di questo versatile artista, interprete del «verismo illusorio» e del «realismo romantico». Francesco Paolo Michetti gli fu sempre amico e lo seguì da vicino. Vincenzo Bindi, il dotto conoscitore dell’arte abruzzese, fu tra i primi a rilevare lo stretto legame artistico tra i due :“ Barbella viene definito il ‘Michetti’ della scultura ed a buon diritto; nella di lui stecca c'è qualcosa che rassomiglia all'originalissimo pennello del suo compaesano ed amico”.

 


Nel Museo “Costantino Barbella” di Chieti sono conservate numerose opere in terracotta e bronzee, oltre ad alcuni splendidi bozzetti, di proprietà del Comune di Chieti e dell’Amministrazione Provinciale, figure singole e gruppi, scene di vita quotidiana, come Risveglio, Onomastico del nonno, Triste storia, busti ritratto raffiguranti individui del mondo contadino e personaggi celebri come Pietro Mascagni. Tutte esprimono l’essenza di una simbiosi artistica, il toccante verismo di Michetti e la realistica forma plastica di Barbella spontanea come bloccata in una foto istantanea. 


Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli  email: mancinellielisabetta@gmail.com

I documenti sono tratti da: “Costantino Barbella” di Franco Di Tizio, “Sogno di una sera d’estate” di Paola Sorge, e da documenti tratti dall’Archivio di Stato di Chieti. Le immagini sono tratte dal patrimonio fotografico di Tonino Tucci che ne autorizza la pubblicazione. 

Indirizzo:Via Veneto 10 Montesilvano tel 085 834879 email tuccifotografia@libero.it

domenica 19 marzo 2023

Monumenti sepolcrali in Abruzzo


Un reperto di grande rilievo stilistico e storico è stato riportato al suo antico splendore. L’intervento di restauro dell’opera, durato diversi anni, è stato effettuato a spese della delegazione FAI di Teramo con il contributo del Comune. Si tratta del “Guerriero loricato” ossia vestito con armatura: un manufatto in pietra calcarea di Ioannella (località appartenente al contado di Teramo) considerato inedito per la critica storico artistica.
Rinvenuto nella campagna di Sant’Omero il reperto non consente di rintracciare la sede originaria del guerriero né di ricostruire la sua collocazione.



Le dimensioni dell’altorilievo, così come gli spazi per le staffe metalliche, fanno ipotizzare la funzione da coperchio (gisant) per un sarcofago posto a terra o per un catafalco monumentale addossato alla parete di una chiesa. Potrebbe trattarsi di una struttura eretta per onorare una personalità importante. L’armatura presenta all’altezza del petto il leone rampante degli Acquaviva. 
Si può dedurre che il milite raffiguri un membro della potente famiglia atriana che dalla fine del Trecento annoverava tra i suoi possedimenti anche Sant’Omero o un vassallo al suo servizio.

Monumenti sepolcrali in Abruzzo

Altri monumenti funebri sono presenti nella nostra regione.

Nella chiesa di San Giacomo a Montone (Te) posta appena fuori le mura, si custodiva lo stupendo monumento sepolcrale di Bucciarello Jacopo di Bartolomeo, innalzato nel 1390 e oggi traslato all'interno della cinta murata, dentro la piccola chiesa di Sant'Antonio, che sorge a ridosso del mastio. Bucciarello era forse ufficiale al servizio del conte di Conversano, Antonio  Acquaviva, insieme al padre Giacomo (Jacopo) e al fratello Roberto. Il sarcofago è sorretto da cinque colonnine, quelle alle estremità sono di maggiori dimensioni e con leoni stilofori. Altre quattro colonnine sostengono l'arco di copertura del monumento funebre presentano un rilievo con l'Agnus Dei e figure di angioletti.


Nell’Abbazia di Santo Spirito al Morrone, nota anche come Abbazia Morronese o Celestiniana, che sorge presso l'omonima frazione Badia a circa 5 Km da Sulmona, si trova la cappella Caldora, sotto una delle cui arcate vi è il sarcofago di un altro guerriero: Restaino Caldora-Cantelmo, opera di Gualtiero d'Alemagna (1412). Posizionato all’interno di una nicchia il monumento funebre fu commissionato da Madonna Rita Cantelmo, vedova Caldora. Il sarcofago che poggia su colonnine doriche, porta sul coperchio la riproduzione della figura di Restaino morto prematuramente, sulla predella invece sono rappresentati la madre e i fratelli. La parte frontale è intagliata con rilievi ripartiti in tre riquadri: al centro l’Incoronazione della Vergine e sui lati le figure degli Apostoli.




Nel complesso monastico di Santa Maria dell'Isola, situato a circa 1,5 km dal centro di Conversano, spicca una chiesa dal portale d'ingresso quattrocentesco, con arco a sesto acuto, recante le tracce di un affresco del XVII secolo. Fu Giulio Antonio Acquaviva d'Aragona (1456-1481), nel 1462, a dare avvio all'erezione della chiesa, come testimonia una lapide attualmente situata nel coro della navata sud. Attiguo alla chiesa è il chiostro grande con arcate a sesto acuto (iniziato nel 1481) che reca nel mezzo un pozzo sormontato da una rostriera in ferro del XVIII secolo. Nel 1523 Andrea Matteo III (1481-1528) Acquaviva d'Aragona vi fece erigere un fastoso monumento sepolcrale in onore di suo padre, Giulio Antonio Acquaviva, morto nel 1481 combattendo contro i Turchi.

L'opera, oggi collocata nel coro della navata, probabilmente non in posizione originaria, fu realizzata in pietra dipinta da Nuzzo Barba (scultore e architetto di Galatina) e risulta divisa in tre ordini, occupati da Virtù cardinali e teologali, santi, puttini, e al centro le figure distese di Giulio Antonio e di sua moglie Caterina dl Balzo Orsini in abiti francescani, al di sopra di esse una nicchia contenente la Vergine in trono col Bambino. Due statue raffiguranti Andrea Matteo e sua moglie Caterina della Ratta sono collocate su mensole ai lati del coro e attestano la committenza dell'imponente opera e la vicinanza degli Acquaviva con i francescani.





Anche la Chiesa di Santa Maria La Nova di Cellino Attanasio dal portale del 1424, opera di Matteo De Caprio con due mirabili altari lignei, contiene nel coro dietro l’altare maggiore, un monumento  funebre dedicato a Giovanni Battista  Acquaviva morto a soli 14 anni nel 1496 raffigurato giacente sul sepolcro con due angeli reggi stemma di buone forme del Rinascimento toscano.







Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli 

email: mancinellielisabetta@gmail.com