mercoledì 31 luglio 2019

DON PASQUALE BAIOCCHI : l’ abruzzese “ARTISTA DEL FUOCO”

In occasione dei fuochi pirotecnici in onore di Sant'Andrea, per la prima volta sul mare, che hanno offerto nell'area  cromie  spettacolari, è d'uopo ricordare il grande artista abruzzese del fuoco,  Pasquale Baiocchi.  Nacque a Città Sant'Angelo il 12 agosto 1847, fu  un  fuochista  famoso per la sua bravura nel creare fantastici giochi pirotecnici, ma anche un patriota.
Nel 1866 si arruolò come volontario nelle truppe garibaldine e partecipò alle battaglie della terza guerra d’indipendenza. Indossò la camicia rossa anche quando partecipò alla Campagna  dell’Agro  Romano per  abbattere  il  potere temporale del Papa, ma  fu  preso  prigioniero  e  rinchiuso a Castel  Sant'Angelo.
Eclettico  personaggio  si dedicò allo studio del violino e entrò a far parte dell’orchestra  del Teatro San Carlo di Napoli.         Ma la passione per l’arte pirotecnica prevalse e frequentò, nella città partenopea, un laboratorio diretto da un esperto in questo genere  di creazioni  che gli permise di migliorare la sua personale esperienza ed eseguire fuochi di novità che gli valsero grandi  manifestazioni di stima. Tutto ciò gli fu di potente stimolo, al ritorno definitivo a Città Sant'Angelo. E  a 23 anni, animato dal fervore della sua passione, aprì nel Rione Casale all'interno  del suo paese   un piccolo laboratorio.  
Da  qui  cominciò la sua straordinaria ascesa.   
Con i suoi fuochi suscitò l’ammirazione in tutta l’Italia. Anche  la  famosa  ditta  pirotecnica Papi di Roma entrò in relazione con lui.  Venne  chiamato  in molte  città tra cui Rimini, Torino, Alessandria ecc.    
Il 4 luglio del 1907 fu invitato dal Comune di Napoli per una grande festa in onore di Giuseppe Garibaldi. Questo   purtroppo fu il suo ultimo spettacolo.    
Morì infatti  il 10  luglio del 1907 nel suo laboratorio di Città Sant'Angelo in seguito ad una tremenda esplosione insieme a 7 suoi collaboratori.                                     
Edmondo De Amicis, nel libro le "Pagine Allegre", lo definiva “l’artista del fuoco”  per  la  sua perizia  nel creare fantastici giochi pirotecnici in aria e in acqua  tali da fargli vincere numerosi concorsi nazionali.  
Nel 1894 venne nominato  dal  Re  d’Italia   “Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia”. A lui è intitolato il concorso nazionale per spettacoli pirotecnici.




IL GRANDE BAIOCCHI INCENDIO’  I  SUOI “ FUOCHI “ IN GARA CON IL TEMPORALE

La  festa del patrono  di  Pescara San Cetteo,  sin  dai  tempi  antichi  era caratterizzata, a  differenza  delle  altre città italiane, oltre che dalla processione, le  gare  sul  fiume e una grandiosa illuminazione galleggiante, che  la corrente  trasportava  come  un  corteo  di  fiori di fuoco  che andava a finire in mare, anche da grandiosi  fuochi  pirotecnici.

Nel 1893 i pescaresi organizzarono una di queste indimenticabili feste. Tutte le strade vennero artisticamente illuminate, in particolare Corso Manthonè e piazza Garibaldi  e addobbate con archi formati da festoni e lampioncini ad olio di vetro colorato. Per tutta la città passeggiava una folla spensierata venuta dai paesi vicini. Alle venti, mentre le bande di Città Sant’Angelo e  di Pianella si preparavano alla “disfida”,  venne all'improvviso  un forte vento  dal  mare  indice  di un temporale; i lampioncini, sbattuti l’uno contro l’altro dal vento, si rompevano  e  lasciavano gocciolare l’olio sul pubblico che gremiva il Corso, ma intanto cominciavano a cadere goccioloni d’acqua.  Pasquale Baiocchi, che aveva già preparato gli ultimi ritocchi per lo spettacolo pirotecnico che doveva brillare a mezzanotte, impressionato dal temporale che poteva rovinare tutto l’artifizio, sparò subito una decina di grosse bombe per aria  per richiamare il pubblico e cercare di spaccare la nuvola:  ma ottenne l’effetto contrario. Tuttavia il grande maestro, testardo com'è un abruzzese, con un bengala in mano, correndo da tutti i lati incendiò una ad una tutte le cassette con un centinaio di bombe che si sparano al finale. Tutto  il  cielo  era  una  cupola  di colori:  un grande  spettacolo  tra il faceto ed il terribile  e, mentre   piovevano   giù acqua  lampi e tuoni,  “l’artista del fuoco” da  terra  continuava  a mandare su bombe e girandole.  La battaglia  durò  venti   minuti  con  la  sconfitta  del   re  degli dei  Giove  Pluvio:  tutti  quei colpi avevano spaccato la nuvola  e improvvisamente il tempo migliorò.  Il  pubblico, zuppo dalla  pioggia  rideva, gridava, piangeva, ed  applaudiva quell'eccezionale evento grandioso e…soprannaturale. Don Pasquale fu sollevato di peso e portato in trionfo, mentre le bande tornarono a darsi battaglia.






                                                         LA RIVINCITA DEL FUOCO

Pasquale  Baiocchi  era un maestro insuperabile, il mago dei fuochi artificiali,  il più sapiente creatore di congegni pirotecnici  e  un sottile ricercatore di armonie e colori. Ma il fuoco, di cui egli era il Re, si prese una terribile rivincita.  
Il 10  luglio del 1907  alle ore 17 nel suo laboratorio, che si trovava  vicino  alla chiesa  della  Madonna  delle Grazie a Città Sant’Angelo, avvenne una  tremenda  esplosione  in  seguito  ad  un  errato maneggiamento  dei  materiali  esplosivi  e Don  Pasquale morì insieme a sette operai.  




La tragedia si svolse come il suo  ultimo spettacolo  quasi  che  il  demone Fuoco, ribellatosi, avesse scagliato tutti i suoi razzi e  le  sue  folgori  come vendetta  sul  maestro del fuoco. 




Nel suo paese lo ricordano annualmente con una serie di manifestazioni che culminano in un grande spettacolo di fuochi d’artificio a terra ,proprio in Largo Baiocchi nel centro storico del borgo, dove nel 1990, è stata posta una lapide che lo  ricorda.







Ricostruzione storiografica di Eisabetta Mancinelli
 email  mancinellielisabetta@gmail.com


lunedì 29 luglio 2019

Giacomo Acerbo: un illustre conterraneo

Giacomo Acerbo, politico, nasce il 25 luglio 1888 a Loreto Aprutino da una antica famiglia della piccola nobiltà provinciale abruzzese in ogni generazione ricca di distinti professionisti e provetti amministratori della cosa pubblica.
Uomo di punta e personaggio controverso nella travagliata e drammatica vicenda politica del suo tempo mai dimenticò le sue origini e alla loro valorizzazione dedicò molte energie lasciando una interessante e ricca raccolta di maioliche, battendosi per l’unificazione di Pescara e l’istituzione della Provincia e ideando una gara automobilistica: “La Coppa Acerbo” che fece conoscere al mondo Pescara e L’Abruzzo.
Il padre Olinto appartiene ad una nobile famiglia della vecchia borghesia e la madre Mariannina de Pasquale alla nobiltà abruzzese: i baroni de Pasquale di Caprara discendenti da una illustre famiglia originaria dei Balcani da cui fuggono in seguito all’invasione dei Turchi.
Giacomo nutre una vera adorazione nei confronti della madre tanto da esporre diversi suoi ritratti e sculture nella casa dov’era nato, a Loreto Aprutino.
A questa figura di “madre d’Abruzzo” è stata dedicata una biografia da Mara Baldeva (Garzanti 1992) dal titolo “Una madre d’Abruzzo: Donna Mariannina Acerbo” .
Compiuti gli studi secondari classici e laureatosi in Scienze Agrarie a Pisa nel 1912, il giovane barone non tarda a distinguersi per le sue attività sociali e culturali, che lo portano a ricoprire importanti e prestigiose cariche in ambito militare politico, accademico e sportivo.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, insieme al fratello Tito si arruola come volontario e, ferito a Flondar il 23 agosto 1917, si distingue per il suo valore militare tanto che viene decorato con tre medaglie d’argento tutte e tre concesse sul campo (Trentino 1916, Carso 1917, Piave 1918).
Il suo unico fratello Tito, a cui era molto legato, al quale è dedicato l’istituto Tecnico di Pescara, capitano della Brigata “Sassari”, cade eroicamente il 16 giugno 1918 sul Piave alla testa di un battaglione e viene decorato di una medaglia d’oro e due d’argento.
Giacomo, congedato col grado di capitano nel 1919, alla fine del conflitto si avvia alla carriera universitaria e contemporaneamente promuove l'Associazione dei combattenti di Teramo e Chieti, che, dopo le elezioni del 1919, si stacca dalla Associazione nazionale e costituisce il Fascio di Combattimento provinciale, anche se appartiene sempre all’ala moderata del partito come il cugino per via materna Domenico Tinozzi di Cugnoli deputato liberale e poi senatore.
In Abruzzo si candida al Parlamento nelle elezioni del 24 giugno 1921, dove è eletto con forte maggioranza nel gruppo parlamentare fascista.
Con l’onorevole Giovanni Giuriati si fa promotore della trattativa con i delegati del gruppo parlamentare socialista per una tregua tra i due partiti.
Il 28 ottobre del 1922 partecipa alla Marcia su Roma.
Durante l’azione, su sollecitazione del Presidente della Camera Enrico De Nicola, tiene i contatti con il Quirinale presidiando il palazzo di Montecitorio e ponendosi di guardia per due giorni per impedire la minacciata irruzione delle squadre fasciste.
Accompagna poi Benito Mussolini a ricevere dal re l'incarico ministeriale e lo assiste nella formazione del governo.
Lega il suo nome alla riforma elettorale maggioritaria la «Legge Acerbo» emanata il 18 novembre 1923.
In base a essa, alla lista che avesse ottenuto anche una lieve maggioranza (con almeno il 25% dei voti), sarebbero spettati i due terzi dei seggi alla Camera; i seggi rimanenti sarebbero stati ripartiti proporzionalmente fra le altre liste.
La legge Acerbo trova immediato riscontro nel 1924, nelle elezioni del 6 aprile quando, con il previsto premio di maggioranza, favorisce il Partito fascista.
Nel 1924, insignito del titolo di barone dell'Aterno, pur coinvolto solo marginalmente nelle inchieste sul delitto Matteotti, lascia il sottosegretariato alla presidenza del consiglio.
Nel 1925 viene nominato sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio e segretario del consiglio dei Ministri .
Si adopera in modo determinante insieme a Gabriele D’Annunzio, per la fondazione e l’unificazione della grande città di Pescara e nel 1927 viene firmato il decreto per la fusione di Pescara con Castellammare e per la nascita della Provincia.
Nel 1924 viene da lui ideata la competizione denominata “Coppa Acerbo”: una gara automobilistica leggendaria che si svolse a Pescara dal 1924 al 1961.
Avvenimenti che in seguito ripercorre in una cronistoria: “Acerbo 1967”.
Successivamente diviene vicepresidente della Camera dei Deputati e nel 1929 Ministro dell’Agricoltura oltre che Ministro delle Finanze-Tesoro.
Può così dichiarare nel 1933 la vittoria della “battaglia del grano” da lui voluta con cui l’Italia, per la prima volta nella sua storia, raggiunge l’autosufficienza cerealicola.
Scrive importanti di Economia rurale e Storia economica.
Nel 1933 Giacomo Acerbo si sposa con Giuseppina Marenghi appartenente a una delle famiglie più facoltose dell'epoca di Milano e specializzate nell'imprenditoria tessile.
Nel 1940, a 52 anni, si arruola volontario nella seconda guerra mondiale partecipando all’occupazione dell’isola iugoslava di Veglia, dove sbarca alla testa del corpo di spedizione italiano.
Nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo, avvenuta nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943, sottoscrive l’ordine del giorno Grandi che determina la caduta del Fascismo.
Per questo motivo, nel 1944, è condannato a morte in contumacia dalla Repubblica Sociale Italiana del nord (Tribunale di Verona), che invia una squadra di “repubblichini” direttamente con lo scopo di catturarlo per l’esecuzione.
Riesce a sottrarsi alla cattura perché, mentre i poliziotti fascisti vengono intrattenuti in ingresso, per consentirgli di prepararsi e di salutare la moglie, lui invece fugge da una finestra posta sul retro della casa.
Viene ospitato a turno dai contadini della zona che, pur minacciati di morte e allettati, vista la loro povertà, da una ricca ricompensa prevista per chi ne favorisca la cattura, provvedono a trasferirlo da una masseria all’altra fino alla ritirata dei tedeschi ed al conseguente cessato pericolo.
L’anno dopo, nel 1945, l’Alta Corte del Governo dei Comitati di Liberazione del sud lo condanna a 48 anni di reclusione, quale corresponsabile della nascita e affermazione del fascismo; pertanto, viene relegato a Procida.
Nel 1947 la Corte di Cassazione cancella la sentenza e nel 1951 viene anche reintegrato nella cattedra di Economia e Politica Agraria presso l’Università di Roma, dalla quale era stato epurato nel 1945 dal Governo dei Comitati di Liberazione.
Si presenta alle prime elezioni democratiche del dopoguerra per la Camera dei Deputati nel Collegio della Provincia di Pescara per il Partito Movimento Monarchico Italiano, ma vince il candidato del Collegio dell’Aquila.
Coltiva l’interesse per la musica divenendo un membro del consiglio direttivo del Regio Liceo musicale di Santa Cecilia e Presidente dell’Accademia Filarmonica Romana.
Nel 1962 il Presidente della Repubblica Antonio Segni, gli conferisce la medaglia d’oro di benemerenza della scuola, della cultura, dell’arte.
Nel 1962 Giacomo Acerbo pubblica un libro di interesse storico “ Fra due plotoni di esecuzione. Avvenimenti e problemi dell’epoca fascista”.
Tra le sue varie memorie si rinvengono interessanti testimonianze e riflessioni sull’entrata in guerra dell’Italia e sull’ultima seduta del Gran Consiglio del Fascismo che ha stimolato non poche discussione sull’accusa di “tradimento” da parte dei gerarchi ribellatisi a Mussolini.
Muore a Roma il 10 gennaio del 1969 a 81 anni.
La Coppa Acerbo, fondata e presieduta da Giacomo Acerbo in memoria del fratello Tito, è una gara automobilistica leggendaria che era ed è considerata una classica del passato.
Si svolse a Pescara dal 1924 al 1961, per complessive 27 edizioni.
Era una competizione a livello internazionale, paragonabile ad una gara dell’attuale campionato del Mondo di Formula 1.
Si disputava su un circuito in buona parte cittadino di oltre 25 km (25,579 km) e per un totale di 10 giri.
Iniziava nel centro della parte nord di Pescara, all'altezza dell'attuale Piazza Duca degli Abruzzi sulla via Nazionale Adriatica, percorreva il rettilineo dell'attuale via del Circuito fino alle campagne circostanti ed ai paesi di Villa Raspa e Spoltore per poi raggiungere Cappelle.
Di qui le automobili prendevano la direzione del mare e quindi intraprendevano ad altissima velocità il cosiddetto "chilometro lanciato" - dove, nel 1950, Juan Manuel Fangio raggiunse l'incredibile velocità di circa 288 km/h - fino ad arrivare a Montesilvano svoltavano poi verso sud sull'attuale via Nazionale Adriatica, dove veniva completato il giro.
La gara fece conoscere al mondo l’Abruzzo e Pescara.
Il circuito alternava tratti tortuosi a lunghi rettilinei e metteva a dura prova l’abilità dei piloti.Il tracciato presentava grandi difficoltà soprattutto per le precarie condizioni di sicurezza nelle quali veniva svolta la manifestazione, anche perché sul percorso si accalcavano folle immense: fino a 200.000 spettatori.

Diversi furono gli incidenti mortali. Infatti nel 1934 la giovane promessa Guy Moll vi perse la vita in un tragico incidente.
Nelle molte edizioni parteciparono alla gara le migliori case automobilistiche italiane: Ferrari, Bugatti, Alfa Romeo, Maserati e straniere: Mercedes- Benz, Auto Union Vanwall nonché molti grandi campioni come Tazio Nuvolari, Achille Varzi, Luigi Fagioli, Bernd Rosemeyr .
Nel 1924 Enzo Ferrari, alla guida dell’Alfa Romeo Ris, battè la Mercedes e vinse la prima importante edizione della “Coppa Acerbo”.
Nel 1932 Tazio Nuvolari al volante dell’Alfa Romeo P3 vinse l’ottava edizione.
Nel dopoguerra, tra i noti campioni del mondo che correvano sul circuito di Pescara, vi erano anche Juan Manuel Fangio, il pilota argentino di origine abruzzese e Stirling Moss il suo più acerrimo rivale.
Il circuito di Pescara è ancor oggi il tracciato più lungo dove si sia mai svolta una gara di Formula 1.
Nel 1961 è stata disputata l'ultima edizione della corsa, che non si è più ripetuta per ragioni di sicurezza..
MUSEO DELLE CERAMICHE DI CASTELLI
Collocato in un punto particolarmente suggestivo dell'antico centro di Loreto Aprutino, all'ombra di architetture rinascimentali nell'antico palazzo Acerbo, il Museo, fin dal 1957, primo anno di inaugurazione, si afferma come uno dei più completi ed interessanti esempi di collezione atto a documentare la produzione regionale di maioliche compiuta tra i secoli XVI e XIX quando le ceramiche di questo centro erano molto ricercate in ogni corte europea, grazie alla presenza di personalità di spicco, come le famiglie Grue e Gentili.
Il profondo interesse verso le memorie patrie e per le antiche maioliche castellane ha indirizzato il barone Giacomo Acerbo dell'Aterno a assemblare, con gusto ed infaticabili ricerche, la sua mirabile collezione, di circa 600 pezzi (vasi, fiasche, albarelli, piatti, mattonelle, statuine ecc.) che ancora oggi si offre agli sguardi estasiati di studiosi e visitatori provenienti da ogni parte del mondo.
Il museo delle ceramiche di Castelli "Acerbo" di Loreto Aprutino è uno dei più antichi d’Abruzzo ed è stato recentemente acquisito dalla Regione Abruzzo e dalla Fondazione dei Musei Civici di Loreto Aprutino.
Il 19 Febbraio 2000, dopo una cerimonia di inaugurazione, ha riaperto stabilmente le proprie porte, anche se con cautela dopo un tentativo di furto, a tutti coloro che sono interessati alle antiche maioliche o hanno il desiderio di avvicinarvisi per meglio apprezzarle e comprenderle.
La collezione Acerbo fu raccolta dal suo ideatore a partire dagli anni '30 del Novecento.
Probabilmente Giacomo, sin da fanciullo, rimase impressionato dalle raccolte di maioliche che diverse famiglie abruzzesi nobili o ricche borghesi erano solite custodire gelosamente: un’usanza questa le cui origini si fanno risalire al Settecento e per alcune anche al Seicento.
La prima sede della raccolta fu la villa di Caprara che gli Acerbo ebbero in eredità sul finire degli anni Trenta.
Giacomo acquistò il primo nucleo importante della storica collezione, dalle famiglie Aliprandi-De Sterlich di Penne nel 1936 e precisamente da Don Diego Sterlich-Aliprandi.
Questi probabilmente vide in lui, nominato Barone dell’Aterno per il suo spirito e la levatura culturale, il suo sostituto quale garante della futura conservazione di questo importante patrimonio storico-artistico.
Infatti Giacomo la incrementò fino all’acquisto di ulteriori raccolte: Quartapelle di Teramo e Bonanni di Ortona.
Ulteriori prestigiose acquisizioni pervennero da altre importanti collezioni come la Philipson-Rothschild di Firenze e la raccolta Manieri dell'Aquila.
Dette così luogo ad una delle più grandi collezioni di maioliche abruzzesi esistenti.
Fu trafugata durante l’ultimo conflitto mondiale ed in seguito recuperata.
Nel 1957 a Loreto Aprutino il barone Acerbo decise di esporla in un Museo di cui curò, attraverso l’architetto Leonardo Paladini, la progettazione e la sistemazione nell’ attuale struttura.
Accanto a pezzi di produzione più corrente troviamo capolavori assoluti nella tipologia cosiddetta “a paese”, tipica della “veduta” castellana.
Soprattutto i pezzi riferiti ai membri della famiglia Grue colpiscono per la finezza di modellato e per le qualità pittoriche e cromatiche e non da meno sono quelli dei Gentili.
Nel percorso espositivo si possono ammirare rari esempi di vasellame da farmacia, albarelli e bottiglie; oggetti della devozione domestica come acquasantiere, statuine di santi e mattonelle con la raffigurazione di scene sacre; ci sono poi gli oggetti da tavola come servizi di piatti, brocche, fruttiere delle più importanti officine di Castelli.
Il percorso della mostra segue un ordine cronologico focalizzando le personalità delle famiglie ceramiste più importanti.
Si comincia dagli anonimi artisti del Cinquecento per arrivare, anche attraverso il filo dell’evoluzione delle forme e delle decorazioni degli oggetti, al Settecento con alcuni albarelli firmati da Francesco Antonio Saverio Grue, come quello con la figura di San Bruno commissionato dalla Spezieria della Certosa di San Martino di Napoli, o da Liborio Grue che accanto a temi sacri introduce quelli desunti dalla mitologia.
Riferibili al Seicento sono poi una serie di grandi piatti del capostipite dell’officina, Francesco Grue (1618 - 1673), con scene tratte da incisioni della Gerusalemme Liberata.
I documenti e le immagini sono tratti da : “Collezione Acerbo” a cura di Vincenzo De Pompeis, “Fra due plotoni di esecuzione” di Giacomo Acerbo e “Pescara” di Luigi Lopez e dall’Archivio di Stato di Pescara.


di Elisabetta Mancinelli
e-mail: mancinellielisabetta@gmail.com

venerdì 26 luglio 2019

LA FESTA DI SANT’ ANNA IN ABRUZZO





Il 26 luglio si festeggia Sant’ Anna, madre di Maria Vergine. Il nome deriva dall’ebraico Hannh e vuol dire grazia, beneficenza. La vita, la figura e le opere terrene di Sant’Anna ci sono poco note dalle fonti ufficiali ,certo è che la Santa visse tra il primo secolo avanti Cristo e il primo dopo Cristo. Nonostante che di Sant’ Anna non ci siano documenti provenienti dalla Sacra scrittura e da testi ufficiali e canonici, il suo culto è estremamente diffuso sia in Oriente che in Occidente. Notizie di lei invece sono fornite dall'apocrifo Protovangelo di san Giacomo, risalente al sec. II diffusissimo in Oriente , secondo il quale Anna era figlia del sacerdote betlemita Mathan e aveva due sorelle Maria e Sobe che sposarono due betlemiti e divennero rispettivamente madri di Maria Salome e di Elisabetta. Anna, invece, sposò il galileo Gioacchino. Sempre il “Protovangelo di san Giacomo” narra che Gioacchino, sposo di Anna, era un uomo pio e molto ricco e abitava vicino Gerusalemme, nei pressi della fonte Piscina.


Per cercare di narrare la vita di Sant’Anna, e soprattutto per riuscire a riordinare il gran numero di dati che si riscontrano nei testi apocrifi e per avere una visione quanto più vicina a ciò che è la tradizione ecclesiastica, gli storici fanno riferimento al testo del Padre Francescano Nicolò Monaco e Amodei del Burgio “ Il trionfo della fecondità vita dei Santissimi Patriarchi Gioacchino ed Anna” 1688. L’autore propone una complessa discendenza dei patriarchi Anna e Gioacchino che parte dal comune “tronco” di Jesse. Senza dilungarsi ad analizzare la genealogia perché è opera ardua, complessa e tuttora dibattuta è da segnalare la presenza nella famiglia di Sant’Anna di Sant’Elisabetta (figlia della sorella) che poi genererà Giovanni Battista e che è menzionata nel Vangelo. Seguendo il racconto dell’ Amodei sappiamo che l’incontro di Gioacchino e di Anna avvenne in modo miracoloso presso la porta Aurea di Gerusalemme lo sposalizio si celebrò quando avevano 20 anni lui e 16 anni lei. Ma non ebbero figli e Gioacchino subì per questo motivo una grave umiliazione, la cacciata dal tempio. Infatti recatosi a sacrificare al tempio per la solennità dei Tabernacoli, i ministri del culto rifiutarono la sua offerta poiché non poteva essere mista a quella degli uomini con prole. L’Amodei assegna ai due gli anni 60 e 64. In preda alla vergogna e spaventato dalla colpa di cui lo si accusava, Gioacchino fuggì nel deserto e andò ad abitare tra i pastori.
Anna, tornata a Nazareth, soffriva per questa sterilità, a ciò si aggiunse la sofferenza per questa ‘fuga’ del marito; quindi si mise in intensa preghiera chiedendo a Dio di esaudire la loro implorazione di avere un figlio.
Durante la preghiera le apparve un angelo che le annunciò: “Anna, Anna, il Signore ha ascoltato la tua preghiera e tu concepirai e partorirai e si parlerà della tua prole in tutto il mondo”. Passarono nove mesi ed ecco che la Regina del cielo nacque tra le mura di una piccola casa di Nazareth. Quaranta giorni dopo la nascita le fu imposto il nome di Maria. Quando la bambina ebbe compiuto 3 anni fu offerta al tempio ed ivi rimase per gran tempo. Sant’Anna e San Gioacchino spesso vi si recavano a trovarla. Si dice che all’interno del tempio sotto l’attenta guida della profetessa Anna, Maria tesse il grande velo che poi si squarcerà, quando Gesù muore sulla croce. A quattordici anni Maria fu condotta in sposa a San Giuseppe. Anna e Gioacchino morirono molto anziani e secondo la tradizione l’una morì di Martedì l’altro di Domenica alla presenza di Gesù, Maria e Giuseppe.
IL CULTO
La prima manifestazione del culto di Sant’Anna in Oriente risale al tempo di Giustiniano che fece costruire nel 550 in Costantinopoli una chiesa in suo onore. Anche i greci la celebravano tre volte all'anno il 25 luglio, il 9 settembre e il 9 dicembre. In Occidente la cui festa ricorre il 26 luglio, il culto si manifestò più tardi; se ne trova un cenno nell'affresco di S. Maria Antiqua (sec. VII), ma solo nel tardo Medioevo la festa liturgica cominciò a manifestarsi più diffusamente (sec. X a Napoli; sec. XII in varie altre località). Urbano VI con la bolla Splendor aeternae gloriae del 1378, ne permise il culto all'Inghilterra; nei secc. XIV-XV tale culto divenne più intenso, così da spingere nel 1584 Gregorio XIII ad inserire nel Messale la celebrazione estendendola a tutta la Chiesa. Giovanni Trithemius col suo libro Tractatus de laudibus sanctissimae Annae del 1494, contribuì moltissimo a diffonderne la venerazione. Specialmente nei paesi settentrionali la madre della Madonna gode di ampia devozione; famosi i santuari di Düren in Germania, di Auray in Bretagna e quello di Beaupré nel Canada, dove i Bretoni diffusero il suo culto.
PATRONATI LEGATI A SANT’ANNA
La madre della Vergine, è titolare di svariati patronati quasi tutti legati a Maria; poiché portò nel suo grembo la speranza del mondo. La onorano le partorienti, le donne desiderose di maternità, le madri di famiglia, le ricamatrici e le lavandaie che si astenevano, nel giorno della sua festa, dal loro lavoro che Anna stessa aveva, secondo la leggenda, esercitato. Fu scelta come protettrice anche dagli orefici, falegnami e minatori. Il culto da parte di questi ultimi, dai quali era particolarmente venerata in Germania ai tempi di Lutero (molti centri minerari si chiamano Annberg), sorse probabilmente in quanto i minatori portavano in luce le ricchezze nascoste nel seno della terra, come Anna diede al mondo il suo tesoro più prezioso, Maria. Anche i palafrenieri pontifici, che nel giorno della sua festa facevano una solenne processione, la elessero a loro patrona e in suo onore, nel 1505, costruirono la chiesa di S. Anna dei Palafrenieri. Anna era ed è invocata inoltre per ottenere una buona morte, perché, sempre secondo la tradizione, la sua sarebbe stata addolcita dalla presenza del Bambino Gesù, che le risparmiò gli spasimi della agonia.
Per questa ragione la cappella funeraria dei banchieri Fugger, ad Augusta, fu a lei dedicata. Nell'Europa settentrionale, dove il culto di Anna raggiunse, nei secc. XIV e XV, la massima diffusione , fu molto usata l'acqua di sant'Anna per curare le febbri e gli ossessi. A lei era consacrato il martedì, giorno in cui, secondo la tradizione, sarebbe nata e morta.
Artisti di tutti i tempi hanno raffigurato Anna quasi sempre in gruppo, come Anna, Gioacchino e la piccola Maria oppure seduta su una alta sedia come un’antica matrona con Maria bambina accanto, o ancora nella posa ‘trinitaria’ cioè con la Madonna e con Gesù bambino, così da indicare le tre generazioni presenti.
FESTE IN ONORE DI SANT’ANNA IN ABRUZZO
La devozione per Sant’Anna è molto sentita in Abruzzo soprattutto nella valle Aquilana dove veniva espressa sin da tempi antichi nell’eremo francescano di Sant’Angelo d’Ocre, presso il quale confluivano centinaia di persone per chiederne l’intercessione nelle difficoltà della maternità. La cerimonia religiosa si celebrava e si celebra ancora anche nella chiesa di San Bernardino, a piazza d’Armi a Fontecchio dove la comunità sale alle Pagliare e si raccoglie nella chiesetta dedicata alla santa.
Ma una festa antichissima e molto pittoresca in onore della Santa si svolgeva fino a qualche anno fa’ a Teramo il 26 luglio dove si celebrava la Festa di Sant’Anna o dei Trionfi, per commemorare lo scampato pericolo della dominazione della signoria degli Acquaviva (1521), la fine della guerra del Tronto e la ritrovata concordia cittadina. Antinori (storico del XVII secolo) riporta invece l´origine della festa a una scampata ´epidemia del XVI secolo affermando che: "fra i luoghi restati esenti dal contagio fu la diocesi di Teramo, e che il morbo non passasse oltre il fiume Vomano. I cittadini l´attribuivano alla protezione di S. Anna. A questa antichissima festa partecipavano tutti i “sestieri” cioè la plebe di Teramo che intorno all'anno 1532 vennero ridotti in quartieri: S. Giorgio, S. Maria a Bitetto , S. Leonardo e S. Spirito. In memoria di tali fatti la città istituì da allora una rappresentazione in anniversario di quel giorno.
L’ANTICA CELEBRAZIONE TERAMANA
Per i quindici giorni prima della festa di S. Anna, tutta la città acclamava la santa facendo sfilare inizialmente i giovani dei vari quartieri con tamburi, bandiere e lumi, quello di S Giorgio era il primo ed era preceduto da una schiera di cento uomini armati tra cui un Capitano con Paggio .Giravano due volte la piazza sparando con armi riempite di sola polvere e chiudendo la schiera con un carro rappresentante un drago alto "dodici palmi" , e lungo cinquanta, portato da uomini in simbolo della fedeltà, esprimente il trionfo riportato dal quartiere S. Giorgio. Compariva poi la schiera del quartiere di S. Maria, dello stesso numero di persone ma con differenti abiti e tinti di nero; giravano ugualmente la piazza con gli stessi spari ed erano seguiti con un carro rappresentante un Elefante con Torre sopra, in simbolo di Fortezza nella fede trionfatrice. Il quartiere di S. Leonardo faceva lo stesso, ma facendo portare da cinquanta persone una Galea, una nave da guerra molto leggera in uso fino al XVIII secolo, nella quale Capitano, Paggio, tromba, tamburo e cannoni stavano a rappresentare la navicella fluttuante di S. Pietro.
Tutte e tre queste schiere si ponevano in mezzo alla piazza e combattevano tra loro, fino a che non sopravveniva un grande Carro guidato da cavalli finti. Sopra di esso sedevano dodici Ninfe davanti ad una tavola imbandita con delle delicate pietanze. Questo veniva chiamato carro di Pace, il quale veniva preceduto da una schiera di cento persone vestite alla "Tedesca", con in mano picche, alabarde, fiaschi di vino, beventi, scherzanti e motteggianti in Tedesco. La Torre non effettuava alcun giro della piazza, ma si disponeva, con i suoi Lanzichenecchi dai colori giallo, bianco e verde presso le botteghe vicine al Duomo, dando cosi inizio al gioco delle bandiere.
Quando giungeva il carro della Pace cessava ogni combattimento, ogni quartiere si riuniva e cantando intonavano pace. Gli ufficiali si salutavano e si abbracciavano, gridando viva la S. Fede, viva S. Anna. Poi si dava inizio ai giochi degli sbandieratori, si suonavano tamburi e trombe si facevano spari in segno di letizia nelle altre strade della città. Questi festeggiamenti andavano avanti per due settimane fino al 26 Luglio, quando davanti alla chiesa di S. Anna i giochi si chiudevano con il palo della cuccagna. Ai nostri giorni, per alcuni anni è stata riproposta la Rievocazione della Parata per la Pace, che veniva riportata quasi del tutto fedelmente, dai carri agli abiti, dai cavalli agli sbandieratori, ma da circa dieci anni purtroppo si è nuovamente persa questa tradizione.

A Chieti come a Francavilla al Mare, in provincia di Chieti, si celebra la Festa di Sant’Anna protagonista è il ballo della Pupa, un originale spettacolo pirotecnico attorno al fantoccio in cartapesta dalle forme femminili realizzato con un’intelaiatura di canne. Al suo interno prende posto un uomo che danza al suono di un organetto e di una fisarmonica, mentre all'esterno sono collocati i fuochi d’artificio che vengono sparati proprio quando la danza diventa più frenetica.




Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli
e mail: mancinellielisabetta@gmail.com

giovedì 18 luglio 2019

Gaia Mobilij: compositrice e cantante pescarese multi-strumentista.


                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           
Gaia Mobilij nasce a Pescara dove si diploma in pianoforte classico.  
Studia Etnomusicologia presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Successivamente si trasferisce a Parigi, città in cui approfondisce lo studio del canto (al Conservatoire nternationale de Paris) e della fisarmonica. Appassionata di musica etnica, si dedica all'approfondimento di repertori e di strumenti provenienti da diverse aree del Mediterraneo tra cui la lira calabrese e la lira cretese.  Attraverso frequenti tournées e viaggi in giro per il mondo esplora i repertori musicali di diverse tradizioni tra cui la musica gitana dell’Europa dell’est, quella tradizionale del Sud Italia e la musica colombiana e sudamericana. Nel suo ricchissimo curriculum artistico una lunga lista di corsi di perfezionamento e stages in tutto il mondo, in ambito musicale, ma anche in campo teatrale: per citarne solo uno, ha frequentato l’Accademie Europeenne du Theatre Corporel “Studio Magenia” a Parigi, formandosi in mimo contemporaneo. Come attrice cinematografica, ha partecipato nel 2001 al film di Riccardo Milani “La Guerra degli Antò”, nel ruolo di Zarina. Frequenti sono i suoi  concerti e viaggi intorno al mondo che le fanno esplorare e conoscere la musica delle varie culture etniche come la musica Gipsy dell'Est Europa, come la musica tradizionale del Sud Italia e ma musica latina del Messico.
Attualmente vive a Torino, città in cui ha fondato diverse formazioni tra cui: Taluna, Barletta Scalo, La Reina desnuda La Paranza del Geco. Negli ultimi anni e’ stata spesso in tour tra USA e Messico con la sua band TALUNA e anche con il suo progetto personale GAIA MOBILIJ gypsy trio esibendosi in vari festivals.
Le sue canzoni e i suoi brani strumentali sono una sintesi di tutte le sue esperienze umane e musicali: nel suo nuovo spettacolo cantautorale Gaia Mobilji riesce infatti a mescolare suoni provenienti da tutto il mondo e, alternandosi tra fisarmonica e pianoforte, conquista il pubblico attraverso il felice connubio tra una formazione musicale profonda e la passionalità trascinante delle musiche popolari. Brani ricchi di poesia e d’amore, ma anche di storie appassionanti raccontate da Gaia per mezzo di una soave voce che penetra nell'animo e ti trasporta “nel paese dove tutto è possibile, ma nulla è reale…”(Eri Juan). Cambiamenti di ritmo e d’atmosfera avvengono facilmente all'interno dello stesso brano: cambiamenti che, accompagnati dalle ondulazioni delle sua voce, rispecchiano quell'amore per il movimento, per il viaggio che contraddistinguono Gaia, nella vita come nella musica. lei si definisce “cantautrice di freschezza e di allegria”. E in effetti è facile per chi assiste a un suo live lasciarsi trasportare in una dimensione “che si avvicina ad una visione folk della vita, dove tutto è più raggiungibile”.









di Elisabetta Mancinelli
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Gaia Mobilij
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e-mail: gaiamobilij@gmail.com









sabato 13 luglio 2019

Il Miracolo di Santa Margherita a Villamagna

All'inizio dell'ottavo secolo le incursioni dei Saraceni e dei Turchi lungo le coste d'Italia erano molto frequenti e hanno lasciato tracce dovunque con incendi, cristiani fatti prigionieri e resi schiavi per essere venduti.
Risalivano i corsi dei fiumi e penetravano anche nelle zone interne.
A testimonianza di ciò restano le numerose torri di avvistamento costruite lungo il  litorale e  molte  tradizioni  e leggende che la letteratura popolare narra per testimoniare  l’antagonismo  tra  arabi e  cristiani.
I termini  turco  e  saraceno per  l’immaginario  popolare  erano sinonimi  di peccatore e uomo spietato.
Da circa quattro secoli  a  Villamagna, il 13 luglio si rinnova la vicenda  dei Saraceni che, sbarcati furtivamente sulle coste del vicino Adriatico, si spinsero lungo la Valle del Foro per assediare il paese  ma furono fermati da Santa Margherita, patrona del luogo.
La festa in  suo onore ha una tradizione molto antica, non c'è persona in paese che non sappia qualcosa in merito.
Una cerimonia dunque dal grande valore simbolico  proprio di qualsiasi festa popolare  che non si preoccupa di ricostruire meticolosamente la ricostruzione storica, ma che proprio per questa sua ingenuità, rende la festa per Santa Margherita in Villamagna una delle più significative tra il vasto repertorio delle tradizioni Abruzzesi.
Nel piccolo centro  infatti, si rivive ogni anno il miracolo operato dall'amata protettrice.
Margherita, nativa della Bisidia (Asia minore) è sempre viva nella storia e nella fantasia dei villamagnesi che, nel lontano 1566, salvò il popolo del paese  dai Saraceni.
Questi, guidati da Pialy Pascià, dopo aver firmato un armistizio con il duca di Calabria (figlio di Ferdinando d'Aragona, si erano diretti dapprima con scarsi risultati verso le isole Tremiti e poi sulle coste abruzzesi mettendo a ferro e fuoco Ortona, Francavilla e la badia di Santo Stefano sul fiume Sinello.

Si diressero poi verso i sobborghi del paese e qui avvenne il miracolo.
La rappresentazione di questo  miracolo di Santa Margherita, organizzata dal Comune di Villamagna  e  dalla Pro Loco, in collaborazione con le associazioni locali, ogni anno  ricostruisce, in un'ora circa, tutte le fasi di quell'assedio.
La mattina del 13 luglio, dopo le cerimonie religiose  e la processione durante la quale la statua di Santa Margherita attraversa le strade del centro, viene rappresentata la battaglia.
Un gruppo di giovani vestiti alla turca  armati di lance , alcuni a cavallo altri a piedi marciano mimando una incursione mentre un drappello di tre soldati, mandato in avanscoperta, si trova improvvisamente davanti una misteriosa ragazza che li prega di desistere dai loro propositi distruttivi e poi sparisce.
Ma i Saraceni  vengono rincuorati dal comandante che li incita a proseguire, fatta poca strada  ecco che la fanciulla misteriosamente riappare  e li esorta di nuovo a tornare indietro.
I Saraceni decidono lo stesso di sferrare l’ultimo attacco, ma  si trovano davanti una trave incandescente  che sbarra loro il passo, mentre la fanciulla  riapparsa  di nuovo oltre il fuoco li ammonisce severamente.
I belligeranti sconvolti indietreggiano fino alla località la Croce dove decidono di rinunciare all’assedio e al saccheggio e di entrare a Villamagna da amici.
Avanzano fino alla chiesa dove la popolazione è raccolta in preghiera davanti alla statua della santa in cui riconoscono la fanciulla misteriosa  e il capitano le  dona il suo pennacchio tempestato di  gemme.
La rappresentazione si conclude con la conversione dei saraceni  a cui vengono offerti dolci e vino, mentre  la Santa viene  omaggiata  da  fanciulle recanti in testa  cesti ricolmi di spighe di grano ornate di rami di basilico, fiori e ciambelle.
Queste offerte richiamano alle feste agrarie  di ringraziamento  di cui fanno spesso  menzione i folcloristi del secolo scorso.
Questa suggestiva rievocazione sarà celebrata nel paese anche quest’anno.
Il paese, ogni anno il 13 luglio, torna ad essere assediato dai Saraceni.
A mezzogiorno in punto, si tiene la memoria liturgica di Santa Margherita vergine e martire, come vuole la tradizione Villamagna torna infatti a combattere contro i Saraceni.
In ricordo della salvezza dalle orde turche di Pialì Pascià che nel 1566, dopo aver saccheggiato le coste abruzzesi, si accingeva  a depredare anche i centri dell'entroterra.
La rappresentazione del miracolo di Santa Margherita, organizzata dal Comune di Villamagna e dalla Pro Loco, in collaborazione con le associazioni locali, ricostruisce, in un'ora circa, tutte le fasi di quell'assedio.
Il tutto inizia con i Saraceni accampati nei dintorni di Villamagna: prima di attuare il loro piano di devastazione, i turchi mandano in avanscoperta un drappello con a capo tre uomini scelti per spiare se il paese è protetto da una guarnigione e preparare quindi l'attacco.
Giunti nei sobborghi della cittadina, mentre i tre scrutano la zona, improvvisamente appare una fanciulla che sbarra a loro il passo.
Dopo averli intimoriti, la misteriosa apparizione sparisce.
I soldati che accompagnavano il drappello si arrestano sconcertati, ma non ne vogliono sapere di rinunciare all'assedio.
I Saraceni decidono di far intervenire comunque il grosso della truppa la Provvidenza però inverte le sorti della battaglia e si grida al miracolo, mentre i turchi si convertono al cristianesimo.
di Elisabetta Mancinelli
e mail: mancinellielisabetta@gmail.com