giovedì 18 maggio 2023

PAOLO DE CECCO: un grande maestro abruzzese eclettico e versatile.

La foce del fiume Pescara, olio su tela, 1905.

Questo artista,  noto per essere stato uno dei fondatori del “Cenacolo michettiano”, per la sua amicizia con D'Annunzio e per essere stato immortalato da Michetti nel dipinto “La figlia di Iorio”, fu, oltre che valido musicista, un valente e poliedrico pittore.

                                                               LA  VITA

 

Paolo De Cecco  nacque  il 13 aprile 1843 a  Citta Sant’Angelo da Raffaele Antonio e da Berenice Baiocchi. Dopo la maturità liceale si recò a Napoli, dove si iscrisse  alla Facoltà di Medicina e Chirurgia. Presto si accorse che non era portato per quella disciplina e lasciò l'Università. Negli anni Sessanta, si dedicò intensamente alla sua vera passione artistica: la pittura e la sua più grande ispiratrice  fu  la natura.

Disegnò volti, figure di giovani donne in costume, scene di vita all'aperto, paesaggi, greggi pasturanti, muletti, cavalli, mucche, branchi di maiali, casolari, contadini e pescatori solitari.

Sempre a Napoli, dove frequentò poi l'Istituto di Belle Arti, conobbe Michetti. Alla fine degli anni Settanta, preso dall’ altra sua  grande  passione: la musica, partì per Firenze e divenne un concertista di mandolino, e se ne andò peregrinando come un antico troviero.

Nel 1880 fu uno dei fondatori, insieme con D’Annunzio, Tosti, Michetti e Barbella, del famoso “Cenacolo michettiano”.

L' 8 settembre 1886 sposò Margherita Di Battista, una ragazza angolana: la cerimonia avvenne a Villa Cipressi di  Città Sant’Angelo e Michetti e Barbella furono i testimoni di nozze. Nel 1897 ottenne la cattedra di disegno all’Istituto Tecnico di Città Sant’Angelo, dove insegnò sino al 1904.

Nel 1905 chiese ed ottenne il trasferimento a La Spezia e vi  rimase per oltre dieci anni, sino al 1916. Nel contempo coltivava l’attività pittorica partecipando a varie mostre nelle città di Barcellona, Amsterdam, Milano, Torino, Venezia, Roma e Napoli, conseguendo dovunque un notevole successo. Mostrò specie nelle acqueforti originalità e sicura maestria, come si rileva nelle sue opere conservate in pinacoteche e in raccolte private di Barcellona, Monaco di Baviera, Lipsia, Madrid, Londra, Milano, Bologna e Pescara.

Nel 1916, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, si ritirò a Napoli, dove si spense il 19 novembre 1922  e    le sue spoglie mortali furono tumulate nel cimitero monumentale della città partenopea.  


                                       IL CAPOLAVORO

L’opera più bella e significativa di De Cecco, il suo capolavoro in cui s’abbandona alla malinconia del ricordo è “La foce del fiume Pescara”. L’eccezionale paesaggio, firmato e datato 1905, evoca mirabilmente i luoghi  in cui si svolse  anche l’infanzia di Gabriele d’Annunzio. Lo straordinario scenario risente dell’esperienza e della lunga frequentazione del Cenacolo di Francavilla  con Michetti e D’Annunzio. Il sentimento che ispira questo dipinto è il medesimo delle liriche del Vate e delle appassionate descrizioni di scenari naturali di Michetti. Guardando la mirabile opera  sembra quasi di ascoltare le parole che Gabriele scrisse in Terra Vergine nel 1888: “Le barche pescherecce andavano a coppie; parevano grandi uccelli ignoti, dalle ali gialle e vermiglie. Poi lungo la riva le dune fulve e  in fondo, la macchia glauca del saliceto”. E anche quelle del Libro Segreto: “… rivedo certe vele del mio Adriatico alla foce della mia Pescara, senza vento, senza gonfiezza gioiosa, d’un colore e d’un valore ineffabili, ove il nero e l’arancione il giallo di zafferano il rosso di robbia entravano in una estasi miracolosa, prima di estinguersi”. L’opera, caratterizzata da efficaci contrasti cromatici, documenta luoghi destinati a subire una trasformazione radicale. Sulla sponda sinistra un antico edificio dei baroni De Riseis produttori di vino, che possedevano in prossimità della foce della Pescara un esteso podere. La villa, con le sue molteplici finestre immersa nella vegetazione, sembra quasi sorvegliare il defluire quieto del fiume. Le imbarcazioni, dalle vele latine e dagli intrecci simili ad ali di farfalle colpite dalla luce del pomeriggio, si riflettono in modo suggestivo nelle acque della Pescara. Sulla riva destra completa lo straordinario scenario  il mirabile  il bozzetto di vita marinara che è come un dipinto nel dipinto: uomini, donne e bambini intenti in diverse attività intorno a un’imbarcazione a secca da cui sono tese le reti da riparare o riavvolgere.          

    La madre di F.P. Michetti

La moglie Margherita   





Paolo De Cecco dipinse anche intensi ritratti di una straordinaria sensibilità che raffigurano Aurelia Terzini, la madre di Francesco Paolo Michetti, la giovane amatissima moglie Margherita  e altri personaggi del suo tempo tra cui  Matilde Serao.

I colpi di luce, le ombre magistrali che torniscono i volti con  lievi  pennellate  mostrano  la statura elevata di questo grande  maestro abruzzese che dovrebbe essere maggiormente conosciuto e  valorizzato. 


Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli  

email: mancinellielisabetta@gmail.com

 


domenica 2 aprile 2023

Città Sant'Angelo un antico borgo d’arte.

Posta a 325 metri sul l.m. a 6 km. dall'Adriatico e a 30 minuti da Pescara, la cittadina è adagiata su un belvedere naturale di amene e verdeggianti colline che spazia dalle vette del Gran Sasso al mare, sul contrafforte tra la valle del Salino e quella del Torrente Piomba.




LA STORIA

Le origini di Città Sant’Angelo sono incerte e dibattute fra gli storici. L’unico dato certo è la presenza di piccoli aggregati sociali che la identificherebbero come Angulum, un antico centro vestino, da cui il nome angolani e secondo quanto scrive Plinio nella: Naturalis Historia si costituì come una vasta comunità dedita alla coltivazione della vite ed allo sfruttamento delle saline.

Ben documentata, sulla base di numerosi ritrovamenti archeologici: la mansione “ad Salinas” e le vasche, utilizzate per il ciclo d’estrazione del sale dalle acque marine che erano dislocate tra la foce del Piomba (Matrinus) e quella del Saline (Salinum flumen). Il prezioso prodotto di questi impianti, decantati da Plinio, giungeva a Roma attraverso un diverticolo che s’immetteva nella via consolare Salaria.


Ad avvalorare questa supposizione intervengono sia dalle considerazioni derivanti dall’esame delle cortine murarie superstiti che ancora cingono una parte del vecchio convento di Sant’Agostino, sia la devozione all’Arcangelo Michele, protettore della città - culto introdotto e diffuso nell’Italia meridionale proprio dai Longobardi.

Il primo atto ufficiale conosciuto dove viene citato il comune è datato 13 ottobre 875 nel cui testo si fa riferimento ad una concessione dell’imperatore Ludovico II il quale accorda un privilegio al Monastero di Casauria sul luogo Civitate Sancti Angeli dove si trovavano un castello ed un porto. I numerosi ritrovamenti archeologici reperiti tra la foce del Piomba e quella del Saline e la presenza di piccoli aggregati urbani nel luogo in cui oggi è ubicata la Marina di Città Sant’Angelo, testimoniano le origini della città al periodo romano. All’epoca Angulum , antico nome della cittadina (da qui l’appellativo degli abitanti angolani), viene nominata da Plinio il Vecchio nel libro Historia nella sua descrizione delle terre vestine.

L’abitato vestino-romano, ubicato nel vicino colle di Sale , fu probabilmente distrutto nell’alto Medioevo. L’origine del borgo è databile intorno al IX secolo quando l’attuale rione Casale, la parte più alta del colle, viene occupato da una colonia longobarda che provvede ad organizzare un Castrum fortificato e ad introdurre la devozione all’Arcangelo Michele. Testimonianze di questo culto sono presenti sia nel toponimo sia nello stemma comunale, che rappresenta il santo che uccide il drago.

Da documenti si ha testimonianza della distruzione di Città Sant’Angelo nel 1229 da parte del giustiziere di Federico II Boemondo Pissono perché i suoi abitanti si schierarono dalla parte del Papa Gregorio IX . Successivamente lo stesso imperatore concede ai superstiti la facoltà di ricostruire l’abitato in tre casali.

Lo sviluppo urbano segue diversi momenti critici: la ricostruzione del nucleo fortificato a semicerchio, intorno al 1240 , deliminato attualmente da strada Castello, Strada Minerva, Via del Ghetto e Via del Grottone. In seguito, dopo l’stituzione degli ordini monastici nella prima metà del 1300, si ampliano le chiese esistenti e la realizzazione di monasteri. Solo nel XVII secolo si conclude la ricostruzione vera e propria con il completamento di case e palazzi gentilizi.

L’impianto urbanistico “a fuso” si costituisce in successive espansioni e aggregazioni dei nuclei abitativi precedenti delineando il centro storico come nella disposizione attuale: attraversato da un lungo corso che si interseca con una serie di vicoli e stradine , chiamati “rue” dentro la cinta muraria difensiva con quattro porte parzialmente conservate.


CITTA’ SANT’ANGELO BORGO D’ARTE


L’antico borgo possiede un fascino particolare che gli viene conferito dalla possente mole della Collegiata i palazzi gentilizi, le storiche porte d’ingresso della città , le numerose e stupende chiese,che danno al centro storico una notevole dimensione artistica e culturale. Anima del paese è il corso sul quale si affacciano i monumenti principali . Gli stretti vicoli si aprono verso scorci pittoreschi dinanzi ad una chiesa, un monastero, una piazza, un museo.

Ma il monumento simbolo di Città Sant’Angelo è senza dubbio la Chiesa di San Michele Arcangelo . Eretta in Collegiata nel 1353, conserva all’interno a due navate di epoca barocca, interessanti tesori quali un’imponente statua lignea di San Michele del XIV secolo attribuita al Maestro di Fossa e sotto le capriate del tetto, un pregevole ciclo di affreschi del 1300 attribuiti al Maestro di Offida, il coro ligneo intagliato del XVII sec., il sarcofago quattrocentesco del vescovo Amico Bonamicizia.

A completare un ampio porticato esterno diviso in due atri nel quale si innesta un portale di grande valore recentemente restaurato. Proseguendo lungo il Corso si susseguono il prezioso Palazzo baronale e i palazzi gentilizi che nascondono chiostri, stucchi e decorazioni sorprendenti. Tra essi spiccano Palazzo Di Giampietro, Colamico, Sozj, Ursini, Coppa Zuccari, e Castagna.

Nella chiesa di San Francesco (sec XIII ed interno barocco rimaneggiato nel 1741) sono stati scoperti, nascosti dietro una muratura, cospicui resti di affreschi rinascimentali.

La chiesa ha una struttura muraria in laterizio, caratteristica tipica delle zone costiere, e costeggia con il fianco destro la via principale della città, su cui si apre un portale trecentesco di Raimondo di Poggio. Il“portale delle meraviglie”, restaurato di recente, è uno dei pochi esempi di portale in Abruzzo che presenta decorazioni policrome. Il pavimento a mosaico è ottocentesco, l’interno è in stile barocco, sobrio ma elegante.

Il convento è oggi sede comunale e comprende un bellissimo chiostro restaurato All’interno, la chiesa è composta da una sola navata e conserva pavimenti in mosaico del 1845 e una tela raffigurante la Madonna del Rosario e San Domenico, opera del pittore angolano Paolo De Cecco, componente del cenacolo di Francesco Paolo Michetti.

La Chiesa di Santa Chiara, a pianta circolare, è ricca di stucchi e dorature ed ha un bellissimo pavimento a mosaico. In origine fu costruita fuori dall’abitato, sul Colle di Santa Chiara e ricostruita all’interno delle mura tra il sesto e il settimo decennio del XIV secolo.

Della costruzione originaria resta ben poco per la radicale ricostruzione settecentesca che ha fatto della chiesa, a schema triangolare, uno degli esempi degli esempi più originali di barocco in Abruzzo. Era la cappella privata delle Clarisse, cui apparteneva pure il vasto monastero oggi adibito a centro culturale.

La Chiesa San Bernardo in stile gotico-romano, è stata edificata su una costruzione del XIV secolo. L’antico convento di cui restano alcune arcate e la cripta affrescata è oggi Palazzo Coppa.

La chiesa attuale fu progettata nella seconda metà del 1700 dall’architetto Santino Capitani, che modificò radicalmente la precedente. La struttura è oggi a navata unica con 4 ampie cappelle laterali. Alle pareti ci sono degli affreschi interessanti.

All’interno delle antiche mura si trova la chiesa di Sant’Agostino che nasce dalla ristrutturazione dalla precedente chiesa medievale di S. Maria. Il nuovo edificio venne realizzato nel 1789 grazie all’opera di Francesco Di Sio. La facciata, cui si accede tramite una lunga gradinata, fu progettata nel 1789 dall’architetto Santino Capitani.

Risulta divisa in due parti in senso orizzontale da una cornice aggettante, mentre quattro lesene danno movimento all’intera parete.  Al centro è il portale sul quale si apre una nicchia che contiene la statua di S. Agostino.

L’interno, a navata unica con due cappelle laterali, presenta una diffusa decorazione a stucco attribuita ad Alessandro Terzani di Como. Sia gli altari della navata centrale sia l’altare sono decorati con stucchi e bassorilievi.  Di età barocca sono anche diversi dipinti come La Cintura di Giacinto Ranalli del 1672 e il S. Nicola, il S. Tommaso e La Sacra Famiglia del Brizii di Teramo del 1796.  Di pregio è l’organo realizzato da Adriano Fedri di Venezia nel 1795. Esso consta di una cassa di legno bianco intagliata per mano dell’ebanista Venanzo de Tollis, autore anche dei due confessionali.

Al di fuori delle mura sorge la chiesa duecentesca di Sant’Antonio da Padova che custodisce preziosissime reliquie quali, quella di Sant’Antonio donata proprio dalla Basilica di Padova e quella di San Felice Martire. Decentrate in alcune contrade del borgo si trovano altri importanti edifici religiosi: la chiesa della Madonna della Pace, la chiesa dell’Annunziata e la chiesa di Sant’Agnese. Chiese e monasteri si innestano perfettamente con l’attuale conformazione del borgo.

Un esempio è la sede comunale che dal 1809 occupa il monastero collegato alla Chiesa di San Francesco. Importante è la presenza di centri culturali come il Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea collocato nell’Ex Manifattura Tabacchi, che rappresenta un riferimento qualificato per i nuovi fermenti artistici nazionali e internazionali, vantando rilevanti collaborazioni con la Biennale di Venezia, la Biennale di Istambul e il progetto Godart.

Città Sant’Angelo conserva un vasto patrimonio di grande valore storico, architettonico e culturale che ne fa un gioiello da conservare e conoscere per scoprire meglio la storia millenaria rimasta scolpita nel cuore del paese.


MANIFESTAZIONI

Numerose le manifestazioni culturali ed enogastronomiche che si svolgono nel corso dell’anno che favoriscono la scoperta dei beni architettonici di questo antico borgo. Tante sono anche le ricorrenze folcloristiche di Città Sant’Angelo. Una, molto suggestiva, è rappresentata dal Presepe Vivente, manifestazione che usualmente si tiene la Domenica che precede il Natale.

Festa in Corso è invece una tradizionale manifestazione che si svolge a cavallo del Ferragosto: tre giorni all’insegna della musica live, e non solo. Nel borgo di Città Sant’Angelo decine di gruppi musicali si esibiscono dal vivo, ogni giorno, ravvivando le vie del centro storico, tra mercatini di artigianato locale, mostre e concorsi. Durante la manifestazione, stand enogastronomici propongono la degustazione di piatti della cucina tradizionale abruzzese.

Eat Parade è una manifestazione che si svolge la prima settimana di settembre all’insegna del mangiare, del bere e dell’ascolto di buona musica. L’evento offre la degustazione di più di dieci piatti della tradizione culinaria abruzzese, vini, birre, inoltre, si esibiscono più di venti gruppi musicali.

Nella cittadina si tengono anche ad anni alterni: Borghi Incantati, spettacolo ospitante moltissimi artisti di strada internazionali, ed Estate Angolana, consistente in rappresentazioni teatrali distribuite in molti punti di tutto il paese.

A Città Sant’Angelo vi è un interessante Museo della fotografia “Giuseppe Moder”  fondato nel 1997 da Franco Sergente e dal fotografo Paolo Dell’Elce in memoria del fotografo dalmata Moder, attivo a Pescara dagli anni ’40 del Novecento. E’ stato allestito nell’ex chiesa di Sant’Agostino della cittadina e raccoglie foto d’epoca riguardanti l’Abruzzo e scatti realizzati da fotografi abruzzesi, con lo scopo di promuovere lo studio e la ricerca nella regione. Si  è occupato di diversi seminari sulla fotografia e mostre itineranti come “L’Archivio Fotografico Michetti: l’illusione del Vero, la poetica del Lavoro” nel 1998, “Il Fotografo la sua immagine” nel 2002 e “Incontri nella notte” nel 2003.

RISORSE

Il territorio di Città Sant’Angelo possiede rigogliose colture dedicate a uliveti e vigneti, numerose sono le aziende agricole produttrici di vini e di olio extravergine d’oliva di ottima qualità per questo la cittadina è riconosciuta come “Città dell’olio” e “ Città del vino”.

di Elisabetta Mancinelli 

e- mail: mancinellielisabetta@gmail.com




giovedì 30 marzo 2023

Costantino Barbella grande scultore abruzzese.

 Artista dal linguaggio originale e intensamente espressivo ha fatto delle sue opere un mezzo autonomo di espressione poetica di un Abruzzo ancora contadino e patriarcale. Barbella per la sua personalità artistica, la felice immediatezza e freschezza dei tratti fu considerato uno degli scultori più noti del tempo.

Con D’Annunzio, Michetti e Tosti fece parte del Cenacolo francavillese di fine Ottocento: espressione innovativa per una provincia, fino ad allora marginale nell’ambito della cultura italiana, che riuscì a diventare autorevole interprete di un indirizzo artistico che richiamò l’interesse degli intellettuali del tempo. Grande amico del Vate , Costantino “è un bel ragazzone abruzzese con gli occhi nostalgici del pastore e i folti baffi del pirata” (Diego Angeli). Matilde Serao lo descrive “un artista buono, lieto, ingenuo semplice d’animo e di abitudini” LA VITA Costantino Barbella nasce a Chieti nel 1852 da Sebastiano e Maria Bevilacqua, entrambi commercianti. La sua infanzia trascorre tra gli stenti della famiglia di un modesto venditore di chincaglierie con ben 18 figli a carico. Sin da piccolo comincia a modellare pastorelli per il presepio nel negozio del padre, va a scarabocchiare sui muri e a raccogliere cicche per le strade per raggranellare qualche soldo. Poco dopo il conseguimento del Diploma di Scuola Tecnica, i genitori gli aprirono un negozio di chincaglierie, nonostante egli non fosse interessato a questo lavoro e preferisse invece modellare statuine molto apprezzate dai suoi clienti per la grazia e il gusto finissimo. Le vendeva nel periodo natalizio e questi furono i suoi primi guadagni. Il negozio era frequentato anche da personalità locali tra cui il barone De Virgiliis che nel Natale del 1868,vedendogli vendere un gruppo di pastorelli di creta a venti soldi, rimproverò il padre perché non mandava il valido e promettente figlio a studiare scultura. Ma, l’anno dopo, un avvenimento cambiò la vita di Costantino: la conoscenza di un giovane artista coetaneo Francesco Paolo Michetti, studente del secondo anno della Reale Accademia di Belle Arti di Napoli che, nei suoi rientri a Chieti, trascorreva il tempo libero con lui. Barbella così ricorda quel periodo “Andavamo sempre insieme e insieme parlavamo d’arte come di un sogno. Egli pieno di fuoco e di vita ed io timido non privo di fede ci intendevamo bene”. Il pittore lo incoraggia a seguire la via dell’arte e lo esorta a concorrere per una borsa di studio indetta dalla Provincia di Chieti per frequentare a Napoli l’Accademia di Belle Arti. Nel 1872 gli morì il padre e, superato il concorso, si trasferì a Napoli e divenne allievo di Stanislao Lista, scultore romantico. Pur eseguendo occasionalmente statue di maggiori proporzioni, si mantenne quasi sempre fedele alle figure piccole, ai temi paesani, a scenette di tono idilliaco raffiguranti contadini abruzzesi, eseguiti con un verismo esatto e attento.
I soggetti romantici, la ricerca dell'interpretazione dei sentimenti più semplici e naturali, lo avvicinavano allo spirito delle poesie pastorali del D'Annunzio e delle pitture agresti del Michetti. Divenne notissimo con il Canto d'amore, esposto nel 1877 e il Gruppo di tre fanciulle abbracciate che camminano cantando, molto ammirato da D'Annunzio. Nel 1874 tornò a Chieti e nel 1884 ebbe l'incarico di allestire la sezione italiana alla Mostra internazionale di Anversa; in seguito espose a Parigi, a Berlino, a Londra, ad Amsterdam e in molte altre città europee, oltre che a Buenos Aires. Nel 1889 sposò Antonietta Corvi, gentildonna sulmonese, con la quale si trasferì a Castellammare Adriatico. L’anno successivo nacque il figlio Bruno e nel 1894 la piccola Bianca. Per seguire meglio i lavori di fusione delle sue opere ed evitare i continui spostamenti da Castellammare a Roma, nel 1895 si trasferì nella capitale con la famiglia e qui aprì anche uno studio in via dei Greci, ampio e luminoso, dove poter lavorare con più agio. Nel 1916 fu prostrato dalla prematura scomparsa del figlio, perito in guerra e iniziò anche ad avere seri problemi alla vista a causa di una cataratta, forse trascurata per lungo tempo.
A questo triste periodo risale il gruppo bronzeo Luce nelle tenebre, presentato nel 1920 all’Esposizione Internazionale della Società Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma, oggi conservato nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna della città, la cui versione in terracotta è invece presso il Museo di Chieti a lui intitolato. Favorito da un costante successo, eseguì un gran numero di terrecotte, di bronzetti, come la Confidenza, l'Aprile (Galleria d'arte moderna, Roma), Ragazzo, Pastorelli (ambedue a Capodimonte), e il Ritorno, la Partenza del coscritto (alla Galleria d'Arte Moderna a Roma). Verso la maturità l'artista eseguì anche nudi femminili, ma la vena migliore è da cercare nei bronzetti realistici. Era anche un abile disegnatore e un ottimo ritrattista; fece i ritratti di Mascagni, al quale era legato da profonda amicizia, del cardinale Rampolla e di Leone XIII, dei principi Danilo e Militza di Montenegro. In vecchiaia, ormai quasi cieco, si ritirò da ogni attività pubblica, ma volle tornare ad esporre per l'ultima volta alla Biennale romana del 1920. Morì a Roma il 5 dicembre del 1925, nella casa della figlia Bianca dove viveva, accudito premurosamente anche dal genero, il barone Franco Cauli di Casalanguida. 

LA FIGURA E L’OPERA 

Sin dagli anni della formazione Barbella si legò al gruppo degli abruzzesi amici illustri di Gabriele D'Annunzio, tra cui Tosti e Michetti, accomunati da quel “… prorompimento di gioventù, di baldanza, di passioni comunicative...” (Marchiori) già evidenziate dai critici contemporanei, ed i loro vincoli di amicizia si rinsaldarono soprattutto per la frequentazione del Conventino di Michetti: la dimora francavillese del pittore, dove spesso erano accolti insieme ad altri personaggi di spicco, intellettuali e letterati, come Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao.

La scrittrice così descrive l’atmosfera dell’atelier in una lettera a un amico nel 1884: “In una bizzarra casa, tutta segreti e finestroni bislunghi e porte rotonde, fra un’aquila, tre cani, cinque serpenti, Ciccillo Michetti dipinge e Costantino Barbella fa la statue … e Gabriele d’Annunzio la poesia. Verrà Ciccillo Tosti, in settembre, e la colonia artistica che lavora, contempla il mare, s’immerge nella freschezza delle notti meridionali sarà completa”. In virtù di questi legami, D’Annunzio, entusiasta della produzione artistica dell’amico, non solo scrisse numerose recensioni sulle sue opere ma si interessò anche della vendita e del prezzo di alcuni gruppi e statuette. A Napoli aveva studiato e perfezionato la tecnica del modellato, specializzandosi nelle composizioni in terracotta di piccolo formato e, più raramente, di grandi dimensioni, spesso fuse in bronzo, raffiguranti soprattutto scene di vita contadina, figure rappresentative della cultura popolare e dei costumi della sua terra, opere che portarono lo scultore al successo in Italia e all'estero. Una sua scultura, presentata alla Promotrice Napoletana, “La gioia dell’innocenza”, fu acquistata da Vittorio Emanuele II e donata alla Galleria di Capodimonte. Una delle prime commissioni è il gruppo intitolato “La Morte” eseguito per il sepolcro dell’eroe di guerra Luigi Vicoli, testimonianza della sofferenza con cui egli stesso sentiva l’ineluttabile momento del trapasso, rivelata da quello scheletro aggrappato a quel vivente nel tragico, fatale abbraccio.
La notorietà ed il denaro giunsero con una piccola composizione, “Canto d'amore”, presentata nel 1877 all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Napoli ed acquistata dal Conte Gigliani, opera che gli procurò anche il riconoscimento in ambito accademico con la nomina di professore onorario dell'Istituto Reale di Belle Arti. Gli anni successivi videro la sua affermazione nell’ambiente inter-nazionale: nel 1879 partecipò infatti sia alla Esposizione Nazionale di Napoli sia a quella Internazionale di Parigi dove vinse il secondo premio. Le sue sculture sono sintomatiche di una stagione culturale in cui la storia locale diventa ispiratrice di molti nostri artisti. I contadini ed i pastorelli realizzati con cura, le coppie di giovani innamorati ed i ritratti plasmati con freschezza, rivelano una felicità descrittiva spontanea e spiegano la popolarità di questo versatile artista, interprete del «verismo illusorio» e del «realismo romantico». Francesco Paolo Michetti gli fu sempre amico e lo seguì da vicino. Vincenzo Bindi, il dotto conoscitore dell’arte abruzzese, fu tra i primi a rilevare lo stretto legame artistico tra i due :“ Barbella viene definito il ‘Michetti’ della scultura ed a buon diritto; nella di lui stecca c'è qualcosa che rassomiglia all'originalissimo pennello del suo compaesano ed amico”.

 


Nel Museo “Costantino Barbella” di Chieti sono conservate numerose opere in terracotta e bronzee, oltre ad alcuni splendidi bozzetti, di proprietà del Comune di Chieti e dell’Amministrazione Provinciale, figure singole e gruppi, scene di vita quotidiana, come Risveglio, Onomastico del nonno, Triste storia, busti ritratto raffiguranti individui del mondo contadino e personaggi celebri come Pietro Mascagni. Tutte esprimono l’essenza di una simbiosi artistica, il toccante verismo di Michetti e la realistica forma plastica di Barbella spontanea come bloccata in una foto istantanea. 


Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli  email: mancinellielisabetta@gmail.com

I documenti sono tratti da: “Costantino Barbella” di Franco Di Tizio, “Sogno di una sera d’estate” di Paola Sorge, e da documenti tratti dall’Archivio di Stato di Chieti. Le immagini sono tratte dal patrimonio fotografico di Tonino Tucci che ne autorizza la pubblicazione. 

Indirizzo:Via Veneto 10 Montesilvano tel 085 834879 email tuccifotografia@libero.it

domenica 19 marzo 2023

Monumenti sepolcrali in Abruzzo


Un reperto di grande rilievo stilistico e storico è stato riportato al suo antico splendore. L’intervento di restauro dell’opera, durato diversi anni, è stato effettuato a spese della delegazione FAI di Teramo con il contributo del Comune. Si tratta del “Guerriero loricato” ossia vestito con armatura: un manufatto in pietra calcarea di Ioannella (località appartenente al contado di Teramo) considerato inedito per la critica storico artistica.
Rinvenuto nella campagna di Sant’Omero il reperto non consente di rintracciare la sede originaria del guerriero né di ricostruire la sua collocazione.



Le dimensioni dell’altorilievo, così come gli spazi per le staffe metalliche, fanno ipotizzare la funzione da coperchio (gisant) per un sarcofago posto a terra o per un catafalco monumentale addossato alla parete di una chiesa. Potrebbe trattarsi di una struttura eretta per onorare una personalità importante. L’armatura presenta all’altezza del petto il leone rampante degli Acquaviva. 
Si può dedurre che il milite raffiguri un membro della potente famiglia atriana che dalla fine del Trecento annoverava tra i suoi possedimenti anche Sant’Omero o un vassallo al suo servizio.

Monumenti sepolcrali in Abruzzo

Altri monumenti funebri sono presenti nella nostra regione.

Nella chiesa di San Giacomo a Montone (Te) posta appena fuori le mura, si custodiva lo stupendo monumento sepolcrale di Bucciarello Jacopo di Bartolomeo, innalzato nel 1390 e oggi traslato all'interno della cinta murata, dentro la piccola chiesa di Sant'Antonio, che sorge a ridosso del mastio. Bucciarello era forse ufficiale al servizio del conte di Conversano, Antonio  Acquaviva, insieme al padre Giacomo (Jacopo) e al fratello Roberto. Il sarcofago è sorretto da cinque colonnine, quelle alle estremità sono di maggiori dimensioni e con leoni stilofori. Altre quattro colonnine sostengono l'arco di copertura del monumento funebre presentano un rilievo con l'Agnus Dei e figure di angioletti.


Nell’Abbazia di Santo Spirito al Morrone, nota anche come Abbazia Morronese o Celestiniana, che sorge presso l'omonima frazione Badia a circa 5 Km da Sulmona, si trova la cappella Caldora, sotto una delle cui arcate vi è il sarcofago di un altro guerriero: Restaino Caldora-Cantelmo, opera di Gualtiero d'Alemagna (1412). Posizionato all’interno di una nicchia il monumento funebre fu commissionato da Madonna Rita Cantelmo, vedova Caldora. Il sarcofago che poggia su colonnine doriche, porta sul coperchio la riproduzione della figura di Restaino morto prematuramente, sulla predella invece sono rappresentati la madre e i fratelli. La parte frontale è intagliata con rilievi ripartiti in tre riquadri: al centro l’Incoronazione della Vergine e sui lati le figure degli Apostoli.




Nel complesso monastico di Santa Maria dell'Isola, situato a circa 1,5 km dal centro di Conversano, spicca una chiesa dal portale d'ingresso quattrocentesco, con arco a sesto acuto, recante le tracce di un affresco del XVII secolo. Fu Giulio Antonio Acquaviva d'Aragona (1456-1481), nel 1462, a dare avvio all'erezione della chiesa, come testimonia una lapide attualmente situata nel coro della navata sud. Attiguo alla chiesa è il chiostro grande con arcate a sesto acuto (iniziato nel 1481) che reca nel mezzo un pozzo sormontato da una rostriera in ferro del XVIII secolo. Nel 1523 Andrea Matteo III (1481-1528) Acquaviva d'Aragona vi fece erigere un fastoso monumento sepolcrale in onore di suo padre, Giulio Antonio Acquaviva, morto nel 1481 combattendo contro i Turchi.

L'opera, oggi collocata nel coro della navata, probabilmente non in posizione originaria, fu realizzata in pietra dipinta da Nuzzo Barba (scultore e architetto di Galatina) e risulta divisa in tre ordini, occupati da Virtù cardinali e teologali, santi, puttini, e al centro le figure distese di Giulio Antonio e di sua moglie Caterina dl Balzo Orsini in abiti francescani, al di sopra di esse una nicchia contenente la Vergine in trono col Bambino. Due statue raffiguranti Andrea Matteo e sua moglie Caterina della Ratta sono collocate su mensole ai lati del coro e attestano la committenza dell'imponente opera e la vicinanza degli Acquaviva con i francescani.





Anche la Chiesa di Santa Maria La Nova di Cellino Attanasio dal portale del 1424, opera di Matteo De Caprio con due mirabili altari lignei, contiene nel coro dietro l’altare maggiore, un monumento  funebre dedicato a Giovanni Battista  Acquaviva morto a soli 14 anni nel 1496 raffigurato giacente sul sepolcro con due angeli reggi stemma di buone forme del Rinascimento toscano.







Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli 

email: mancinellielisabetta@gmail.com



domenica 15 gennaio 2023

PIETRO CASCELLA. RICORDO DI UN GRANDE ARTISTA PESCARESE.

Il 18 maggio 2008, all’età di 87 anni, morì uno dei maggiori scultori italiani del secondo Novecento, Pietro Cascella. Si spense nella sua casa di Marina di Pietrasanta, in provincia di Lucca, il luogo dove si era trasferito anche perchè gli permetteva di avere a disposizione il marmo che desiderava plasmare. Al suo capezzale la moglie Cordelia Von den Steinen, anch'ella scultrice, conosciuti durante il progetto Campo del Sole nel 1984 e i loro figli, Tommaso junior e Jacopo. Pietro pur vivendo da tempo lontano dall’’Abruzzo era molto legato alla sua terra e a Pescara ma alla vecchia città non alla Castellammare nata in modo frenetico che definiva un "agglomerato di palazzi e palazzoni". Non per qualche motivo campanilistico ma solo perché, dopo la guerra, era cresciuta in modo disordinato, vorace. Quindi, anche con l’influenza della nostalgia, del ricordo, per lui attraversare il fiume voleva dire, ancora, andare in un’altra città. Ricordava spesso che quando andava a vedere la Coppa Acerbo, che invece si svolgeva tutta a nord del fiume, per fare prima evitava il ponte e andava sull’altra sponda a nuoto. Ricordava anche la Pineta d’Avalos perchè gli rievocava la sua infanzia, luoghi, nomi e persone che da 50 anni non ci sono più. A Pescara comunque ci tornava lo stesso e lo si vedeva spesso aggirarsi nella sua Casa natale ora Museo dando suggerimenti e consigli per migliorarlo, ma con malumori sempre crescenti perché la città diveniva, a suo dire, sempre più caotica e diversa da quella che gli aveva dato i natali.

UNA DINASTIA DI BEN CINQUE GENERAZIONI DI ARTISTI

Pietro figlio d’arte appartiene ad una lunga e illustre dinastia. Nella storia dell’arte italiana vi sono molti casi di famiglie di artisti, a volte ristretti ad una sola generazione, altre volte riguardanti vere e proprie dinastie di più generazioni. La parola "bottega" radicata nella storia della pittura italiana ed europea, è forse quella che dà la spiegazione più plausibile del formarsi di questo tipo di famiglie perché, al di là del talento e della grandezza di ciascuna personalità, quasi obbligatoriamente era all’interno dell’impresa familiare che avveniva l’apprendistato, come garzone o solo preparando i colori. Questa tradizione continua fino agli inizi del 1900. La dinastia dei Cascella, nella sua formazione, si inserisce in questa tradizione anche se essa costituisce un caso del tutto particolare nella storia dell’arte italiana degli ultimi centoventi anni, perché si è manifestata nella continuità di ben cinque generazioni. Inoltre “la famiglia”, pur formandosi nello spirito della bottega rinascimentale, ha espresso personalità artistiche caratterizzate e riconoscibili, ciascuna autonoma nel proprio particolare mondo immaginativo.

Questa famiglia patriarcale di artisti ha dato alla terra natia onore ed orgoglio per la capacità espressa nelle diverse forme artistiche in cui si è cimentata, sempre con incommensurabile impegno, arte e genialità. La storia di queste generazioni di artisti rappresenta la testimonianza sempre giovane di un entusiasmo creativo che si è manifestato e continua a manifestarsi in maniera impareggiabile. Il capostipite di questa illustre dinastia fu Basilio personaggio multiforme, pittore, ceramista, litografo ed editore. La seconda generazione è costituita dai figli Tommaso, Michele e Gioacchino. 

Il primogenito Tommaso, poeta dell’elegia, dipinse con fedeltà veristica i luoghi della sua infanzia legati al paesaggio abruzzese. Egli ebbe due figli Andrea e Pietro. 

Il secondogenito di Basilio: Michele pittore e sognatore, ritraeva con delicatezza di pennello paesaggi dai colori tenui nel tiepido sole, sfumature primaverili e le voci soffuse delle colline, dei fiumi e del mare. Egli non ebbe figli. 

Il terzogenito: Gioacchino sensibile pittore elesse il suo paese Rapino a soggetto privilegiato della sua arte, lo amò a tal punto che decise di trascorrervi tutta la sua vita tra l’argilla dei monti e i colori dei pennelli. Egli non ebbe figli.

Alla terza generazione appartengono Andrea (unico figlio di Tommaso) raffinato disegnatore, pittore e ceramista ma soprattutto scultore di fama internazionale e direttore dell’Accademia di Brera e Pietro.

Della quarta fanno parte: Marco unico figlio di Andrea, artista che si esprime con un suo suggestivo e personale mondo fantastico di sapore spazialistico e poi i tre figli di Pietro Tommaso Junior, Susanna e Jacopo che dialogano tra pittura e scultura con grande sensibilità e creatività.

Alla quinta generazione appartiene Matteo Basilè (in omaggio a Basilio) artista di integrazioni culturali, che riafferma con la sua ricerca sui nuovi linguaggi dell’arte la persistenza intuitiva della “modernità” di Basilio.


 BIOGRAFIA E OPERE

Pietro Cascella nasce a Pescara il 2 febbraio del 1921. Secondogenito di Tommaso grazie alle passioni del papà e del fratello Andrea, ma in particolar modo del nonno Basilio, si interessa subito di pittura a cui si dedica. Per approfondire le sue conoscenze si trasferisce a Roma e nel 1938 inizia a praticare l'Accademia delle Belle Arti per seguire i corsi di Ferruccio Ferrazzi.

Poco più che ventenne partecipa, nel 1943, alla Quadriennale di Roma e nel 1948 è invitato alla prima Biennale di Venezia del periodo post-bellico. Sono gli anni in cui, insieme ad Andrea, lavora in una fornace e successivamente si impegna nella realizzazione di opere in ceramica di tutti i tagli. A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, abbandona la pittura, e si dedica alla scultura in bronzo ma soprattutto in pietra da lui definita "l'ossatura della terra" per il recupero dell'antica naturalità e integrità dell'uomo: volumi che, richiamando forme archetipe, collocano l'artista in una linea ideale della scultura europea da Brancusi a Lipchitz. Di pietre levigate, aspre, corrose, sono i suoi lavori maggiori, quasi cubisti, di un purismo geometrico che affascina in quanto vi si legge un senso di potenza ed energia. Il carattere monumentale, presente anche nelle sculture di piccole dimensioni, traduce il senso di potenza ed energia, che si richiama alla grande tradizione dell'arte, sulla quale si innesta una fantasia tutta moderna. Il suo modo di lavorare era sempre lo stesso per qualunque opera: nel suo atelier diViareggio Pietro faceva un modellino di gesso prima e di pietra poi. Successivamente passava al marmo e poi con lo scalpellino procedeva alle correzioni. Nel 1956 partecipa nuovamente alla Biennale Veneziana e poi comincia, grazie alla collaborazione con Sebastian Matta ad affrontare nelle sue opere tematiche surreali.
Nel 1957 partecipa al concorso per il 'Monumento di Auschwitz' con un progetto realizzato dal fratello Andrea e dall'architetto Julio Lafuente. Dopo alterne vicende viene approvato un altro progetto curato da Pietro stesso e dall'architetto Giorgio Simoncini. L'opera, che vede la luce nel 1967 nell'ex campo di sterminio nazista in Polonia, è una delle più importanti creazioni dell'artista. Nel 1971 partecipa al XXIII Salon de la Jeune Sculpture di Parigi, tiene una mostra al Palais de Beaux Arts di Bruxelles e allestisce un'ampia personale alla Rotonda della Besana di Milano. Il periodo successivo è caratterizzato da grandi successi e affermazioni. Produce una serie di opere monumentali in cui si fondono impegno sociale e progetti di scultura su scala urbana: del 1979 è il 'Monumento alla Resistenza' per la città di Massa Carrara, un 'Monumento a tutti i giorni' viene realizzato nel 1980 per la piazza della cattedrale di Pescina. Nel 1984 inizia a lavorare sul progetto 'Campo del Sole' insieme alla seconda moglie Cordelia Von Den. Si reca in Versilia, per la prima volta e fa parte del gruppo di artisti che partecipano al progetto di Erminio Cidonio di fare di Querceta un centro internazionale per la scultura moderna. La sua ricerca dagli anni settanta in poi si orienta soprattutto verso opere a carattere monumentale che sono anche le più note: l’Arco 'della Pace a Tel Aviv, Omaggio all'Europa a Strasburgo, il Monumento a Giuseppe Mazzini a Milano, Sole e Luna a Riad, Bella Ciao a Massa.
Tra le opere monumentali degli anni Ottanta vi sono Cento Anni di lavoro allo stabilimento Barilla a Parma, il monumento a Due Carabinieri caduti a Monteroni d'Arbia, e la Piazza di Milano Tre. Altra opera di grande interesse è La nave, realizzata nel 1987 in marmo di Carrara e collocata inizialmente in Piazza Croce a Firenze, solo successivamente, l'allora sindaco Nevio Piscione richiese l'opera per il nostro capoluogo poiché ben si addiceva ad una città marinara e fu collocata sul nostro lungomare. Sempre per la sua città Pescara l’artista ha realizzato in questo periodo il Monumento ai Caduti di Piazza Garibaldi. Degli anni novanta sono altre sculture, fontane e colonne simbolo, l'Agorà all'Università di Chieti, il Monumento della Via Emilia a Parma, la Porta della Sapienza a Pisa, l'Ara del Sole a Ingurtosu in Sardegna, il Teatro della Germinazione nel Parco Nazionale d'Abruzzo, la fontana della città di Chiavari e la fontana per la Baraclit nel Casentino. Esegue anche la Volta Celeste ad Arcore (Milano), il mausoleo commissionato all'artista da Silvio Berlusconi nella propria villa.
"La Volta celeste - spiegò l'artista in occasione della consegna del mausoleo - rappresenta il cielo, il luogo da cui veniamo e verso cui andiamo. L'idea del monumento funerario a Berlusconi è venuta quando gli è morto il padre". E a chi accusava l’artista di aver caricato l'opera di simboli massonici, indispettito, rispose: "La mia scultura è un'opera astratta. Non c'è nessun simbolo". Mi è stato richiesto di: 'non fare una cosa mortuaria con le falci, i teschi' e allora ho pensato all'alto, al cielo e ho fatto questa cosa che si chiama volta celeste”. Numerose le esposizioni, sia in Italia, tra cui la prestigiosa mostra nella piazza del Duomo e nella chiesa di Sant'Agostino a Pietrasanta, che all'estero. Portano la sua firma anche le recenti opere: l’Acquasantiera, il fonte battesimale, il pulpito e la colonna esterna della Chiesa del Mare e la Tomba di famiglia nel Cimitero di San Silvestro. Silvano Console giornalista, documentarista e suo amico personale racconta che riteneva quest’ultima un’opera barbarica e selvaggia, salvo poi a commuoversi perché lì c’era la storia di tutta la sua famiglia: vi sono infatti sepolti Basilio e Susanna e il papà Tommaso. Come ricorda Fred Licht nell'introduzione al catalogo curato dalla Camera dei deputati, citando il mito di Deucalione e Pirra, l'opera di Cascella sembra informata alla concezione della pietra come "ossa della Madre Terra". Ai protagonisti del mito classico l'oracolo di Delfi dette istruzione, per placare l'ira degli dei, di prendere le ossa della loro madre e gettarle alle spalle; Deucalione rivendicò che "nostra madre è la terra e il suo scheletro è fatto di pietre" e, con Pirra, raccolse le pietre da un campo e le gettò alle spalle. Le pietre, cadendo al suolo, presero vita e crearono una nuova, e migliore, razza umana. Ebbene, scrive ancora Licht, "la scultura di Pietro Cascella in pietra… ha tutta la forza epica del mito greco. La sua profonda conoscenza della pietra coincide con le pietre che Deucalione e Pirra portarono in vita".

Ricostruzione storiografica a cura di Elisabetta Mancinelli

Email: mancinellielisabetta@gmail.com

 I documenti e le immagini sono tratti da: “Artisti ed arte in Abruzzo” di Antonio Gasbarrini e Antonio Zimarino, da “Cascella” della Fondazione Caripe, dall’Archivio di Stato e dal Museo Cascella di Pescara.

TEMPO D’INVERNO: GENNAIO IN ABRUZZO. LA FESTA DI SAN'ANTONIO ABATE.

Il mese di gennaio è stato da sempre considerato dalla cultura contadina il tempo della famiglia, dei lavori domestici  ma anche il tempo in cui, intorno al focolare, gli  anziani  ritrovano il loro ruolo di depositari di memorie e  saperi antichi, narrando storie legate al mito ed alla fantasia mentre la neve e il gelo ricoprono i campi seminati. 

L’iconografia tradizionale dei calendari scolpiti sui portali delle chiese,  infatti, rappresenta Gennaio, il mese centrale dell’inverno, il più freddo, con l’immagine di un uomo seduto accanto al fuoco di un grande camino intento a girare uno spiedo di carne arrostita.

Il 17 di questo mese, si festeggia in Abruzzo: Sant’Antonio Abate,  una delle figure principali della religiosità popolare della regione. La festa, che è forse la più diffusa tra le classi rurali, pur con diverse espressioni, mantiene intatti i caratteri di una ritualità le cui origini sono molto più antiche dell'era cristiana. Per le sue caratteristiche di particolarità ed originalità è una delle manifestazioni più studiate dal punto di vista antropologico ed etnografico non solo dell’Abruzzo, ma dell’intero Meridione.

Questa ricorrenza apriva il ciclo dell'anno:  un giorno fondamentale per il calendario contadino che indica oltre ai giorni  anche le opere da compiere e i lavori da eseguire nelle campagne. Lo spirito di questa antica festa, che si ricollega alle altre feste abruzzesi di fuochi invernali, prima o dopo il solstizio d'inverno, ancora vive e in alcuni centri riveste particolare importanza.

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LA  VITA DI SANT’ANTONIO ABATE  


La leggenda e il culto di Sant’Antonio Abate sono tra i più antichi e radicati della religiosità popolare  e fanno capo  alla Vita scritta da Sant’Atanasio di Alessandria che era stato suo  discepolo.  Antonio nato a Coma (odierna Qumans) in Egitto nel 251, conosciuto anche come Sant'Antonio il Grande,  ma anche sant'Antonio del Fuoco, del Deserto e  l'Anacoreta, visse dapprima in una plaga deserta della Tebaide in Egitto e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni. Morì ultracentenario  il 17 gennaio del 356 in un convento della Tebaide. Da qui qualche secolo dopo le reliquie furono traslate ad Alessandria quindi a Costantinopoli.

Fu il santo delle tentazioni: il diavolo gli apparve in tutte le sembianze, angeliche, umane e bestiali. Nell'iconografia è raffigurato infatti circondato da donne procaci simbolo delle tentazioni o animali domestici, il maiale, di cui è popolare protettore, ma compare anche con il bastone degli eremiti a forma di T, la ‘tau' ultima lettera dell'alfabeto ebraico e quindi allusione alle cose ultime e al destino. 

                                                                IL CULTO

Il suo culto fu tra i primi ad essere introdotto in Italia e in Abruzzo, grazie al diffondersi del monachesimo. Fu però intorno all’anno mille che ebbe ampia diffusione tra il popolo, anche perché l’iconografia sacra rappresentava il santo accompagnato dal maiale che, secondo la tradizione orientale è il  simbolo della lussuria e del demonio, e per la società agro-pastorale abruzzese tale immagine conferiva al santo proprietà agricolo- protettive, in quanto il maiale costituiva un insostituibile mezzo di sostentamento materiale per la famiglia contadina.  Al fianco del santo si raffigurano pure altri animali (bovini, ovini, equini, polli, cani) indispensabili all’uomo per le fatiche del lavoro quotidiano e per i bisogni alimentari; sant’Antonio divenne, così, il protettore degli animali. Altra caratteristica iconografica è la fiamma ardente nel palmo della mano, simboleggiante il fuoco dell’inferno. Nel giorno dedicato al santo o in quello della vigilia, si benedice il bestiame davanti ai sagrati delle chiese e vengono accesi enormi fuochi in suo onore. 

                                         

                                            LE CELEBRAZIONI IN SUO ONORE

Tanti piccoli centri  della nostra regione, in occasione di questa ricorrenza, si animano e la gente del luogo prepara mucchi  di legna o colonne di canne che, una volta accese, rischiarano  borghi e piazze.    I "fuochi di Sant'Antonio" costituiscono l’ elemento tradizionale e fondamentale della festa del Santo, riconosciuto come colui che vinse i diavoli e le fiamme dell'inferno. 

A  Pratola Peligna  (Aq.) la tradizione vuole che la sera del 16 di gennaio, si svolga una "rappresentazione in costumi caratteristici" con Sant' Antonio e il diavolo, impersonati da due confratelli della SS.Trinità,  accompagnati da musicanti che cantano la vita,  le tentazioni e i miracoli del santo e girano per le vie del paese fino a tarda notte.  Il 17 gennaio nel paese permane  l’ antica  usanza benedire gli animali; dopo la funzione della santa messa, presso la chiesa della  SS. Trinità,  la  statua del santo viene portata in processione fino a  piazza Garibaldi nel centro del paese,  dove il Parroco  impartisce la  sua benedizione ad un colorato corteo composto da animali domestici: cani, gatti, galline, oche, cavalli, pappagallini; e pittoreschi carri agricoli: trattori. tutti inghirlandati  con nastri colorati, e grossi ciambellani di pan salato. Anticamente il parroco benediceva asini, muli, cavalli, buoi, vitelli, branchi di pecore e capre. Gli animali ripuliti e ornati con bardature fiammeggianti, sfilavano davanti al sacerdote benedicente accompagnati dai loro padroni, anch'essi vestiti a festa.

 

A Collelongo (Aq.)  il Santo eremita veniva  festeggiato con una serie di cerimonie il cui elemento principale è il cibo. La sera della vigilia del 16 gennaio, sette famiglie del paese, per assolvere un voto, o per esternare la propria devozione al Santo, pongono sul fuoco un grosso caldaio di rame, detto in dialetto locale “cottora”, in cui pongono a bollire grosse quantità di granturco, precedentemente tenuto in ammollo. Poiché i chicchi cuocendo si gonfiano, la minestra che se ne ricava è chiamata dei cicerocchi. Il locale in cui arde la cottora è predisposto per accogliere la visita di parenti ed amici, ed è addobbato con lunghe file di aranci, cestine di uova, frutta secca, in mezzo a cui troneggia un quadro di Sant'Antonio Abate. L'operazione di bollitura ha inizio con la benedizione del parroco, che deve provvedere a recarsi presso ciascuna delle famiglie che partecipa al rito, e continua tra i canti e le preghiere degli astanti che si alternano nel compito di rigirare il granturco nel paiolo per mezzo di un lungo cucchiaione di legno, in quanto l'operazione è ritenuta foriera di prosperità e benessere. Chiunque giunge a visitare la ‘cottora’ viene accolto festosamente e riceve un complimento a base di vino e dolci. L'ospite, dal canto suo, si avvicina alla cottora e ne gira il contenuto recitando parole di augurio e di devozione. In questo modo si trascorre tutta la notte, mentre compagnie di questua, accompagnandosi con vari strumenti popolari, tra cui non mancano le zampogne , cantano l'Orazione di Sant'Antonio in cui si narrano la vita, le tentazioni ed i miracoli dell'eremita egiziano.


Di fronte alla chiesa parrocchiale, in un'antica cappella della quale è conservata una preziosa statua di pietra raffigurante Sant'Antonio Abate che, per l'occasione, è anch'essa decorata di agrumi, frutta e uova, i giovani accendono una grande catasta di legna, punto di riferimento delle compagnie e dei devoti che vi si ritrovano intorno per cantare le lodi al santo e passare la notte in allegria. Alle prime luci dell'alba inizia la distribuzione dei cicerocchi. Una lunga fila di ragazze, reggendo sulla testa conche di rame addobbate di fiori e di nastri, si reca in chiesa per offrire al santo una grande quantità di cicerocchi, che poi vengono consumati per devozione dai fedeli. La festa continua per tutto il giorno con cerimonie religiose e popolari in onore del Santo. 

Anche a Fontecchio  (Aq.) permane l’antica consuetudine per la festa di S. Antonio Abate, di distribuire  alle famiglie del “pane benedetto“ e del “lummitto“ di maiale, che conserva simbolicamente   il senso di solidarietà sociale  e appartenenza comune tra tutti  gli abitanti del paese.   La mattina del 17 ha luogo una processione religiosa e, durante il pomeriggio, carri allegorici procedono per le strade: maschere con le corna ,che rappresentano i diavoli tentatori del santo, si aggirano per il paese secondo la tradizione che vuole che, nella solitudine del deserto, egli fosse tentato più volte da Satana che gli si presentò sotto varie forme e sembianze. Il corteo si scioglie a Piazza del Popolo dove enormi cataste di legno: “I fuochi” “focaroni” o “focaroni” vengono accesi per scaldare e illuminare  gli astanti.




Nella provincia di Chieti a  Fara Filiorum Petri,  centro storico di origini longobarde che conserva ancora intatti molti edifici antichi, si celebra la festa tradizionale delle  farchie proprio  in occasione della ricorrenza di Sant'Antonio Abate, il 17 gennaio. Gli abitanti del paese festeggiano dando fuoco alle farchie: enormi fasci di canne con una circonferenza di oltre un metro e un'altezza che a volte supera anche i dieci. Esse devono il loro nome alla parola di origine araba afaca, ossia torcia. L'uso del fuoco come elemento simbolico nei riti legati al culto di Sant'Antonio Abate è comune in tutto il Mediterraneo, ma le farchie di Fara si distinguono per l'imponenza delle costruzioni, per la grande partecipazione di popolo che accorre ad assistere alla manifestazione e per il loro numero che corrisponde a quello delle dodici contrade in cui si divide il paese. 

Il 17 Gennaio si festeggia Sant’Antonio Abate anche in varie località della provincia di Teramo.

Le feste religiose che nella zona  celebrano il Santo sono legate a fatti riportati da antiche leggende medioevali, in particolare quelle del “fuoco sacro” e del “maialino”.                                                          Secondo la prima il Santo, considerato guaritore dell’herpes zoster, chiamato anche “fuoco di Sant’Antonio”, vittorioso sulle fiamme dell’inferno, viene ricordato in alcuni paesi del teramano (Tossicia, Arsita, Bisenti)  bruciando cataste di legna sul sagrato delle chiese. Sul maialino esistono due leggende, una secondo cui il Santo lotta con il demonio che, sconfitto, viene trasformato in un maialino, l’altra  riguarda la guarigione attuata  dal  Santo su di un maialino che poi lo seguirà ovunque.             


A Cermignano, antico borgo medioevale nella valle del Fino, la festa di Sant’Antonio è celebrata con la sagra dei “canti di questua”, che rappresentano le lotte tra il Santo e il demonio. In questa occasione si beve il vino Montonico, tipico della zona, si mangiano salsicce arrostite e gli uccelletti di Sant’Antonio, dolci tipici da inzuppare nel vino caldo. Durante il periodo di Sant'Antonio Abate è frequente, soprattutto nell'Abruzzo interno, l'organizzazione della  panarda: una  originale cena devozionale  costituita da almeno 36 piatti  che alcune famiglie del paese, i panardieri, dedicano ogni anno al Santo la sera del 16 gennaio e che dura fino all’alba del 17, quando si mettono a cuocere nelle “cottore” le fave che saranno distribuite con la panetta di S. Antonio, per tutto il paese. Il  termine “panarda” deriva probabilmente  da "panaro", il grande cesto di vimini usato per trasportare pane, formaggi, salumi, e comunque sinonimo di abbondanza. 



Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli email: mancinellielisabetta@gmail.com          

I documenti sono tratti dall’Archivio di Stato, da “Folklore abruzzese” Lia Giancristofaro.                      Le immagini sono tratte dal materiale messo a disposizione nel web.