Lunedì 6 aprile 2009: ore 3,32 il terribile sisma di
6.3 gradi della scala Richter. Il calendario segna quasi per
incredibile coincidenza il surreale giorno che sta
per sorgere: San Celestino I precursore di Pietro del Morrone.
In soli 28
secondi si compie
il destino
dell’Aquila, dei suoi abitanti e delle zone limitrofe, seminando
orrore e dolore: 309 vittime, oltre 1.500 feriti, decine di migliaia di case
distrutte e oltre 10 miliardi di euro
di danni stimati.
Raccontando la storia di questa sfortunata città e dei suoi più pregevoli monumenti, facciamo omaggio a
L’Aquila che si è meritata i prestigiosi appellativi di "Firenze d'Abruzzo"
e "Salisburgo d'Italia” per
la quantità cospicua di opere d’arte e monumenti molti dei quali sono stati gravemente e
irrimediabilmente danneggiati dal sisma.
L’AQUILA
: LA SIGNORA DEGLI APPENNINI
- LA
SUA STORIA
L’Aquila è situata in un suggestivo paesaggio tra
montagne e boschi nel Parco
Nazionale ai piedi del Gran Sasso, su un’altura di
714 m dominante la valle del fiume Aterno. La città fu fatta costruire dal grande imperatore
Federico II il quale le diede il compito
di affermarsi come capitale spirituale.

Ha circa 800 anni. Sorse infatti intorno alla metà del XIII secolo sui resti del precedente sito romano di Amiternum. Dopo la
distruzione ad opera di Manfredi (1259) risorse come libero comune. Contava 99 piazze, e 99
castelli, ognuno dei quali eleggeva il proprio sindaco. Grazie all'autonomia politica e amministrativa, lo sviluppo
economico e territoriale fu rapido. L'Aquila poté battere moneta propria, un vero
privilegio dell’epoca medievale, e dare impulso ad attività specifiche, quali l'industria della
seta, della lana e dei merletti, e alla coltura dello zafferano, che le fecero
assumere il ruolo, seconda solo a Napoli, di centro più importante del Regno
Angioino. Resistette
vittoriosamente a Braccio da Montone che il 2 giugno 1424 l'attaccò, ma rimase sopraffatta dalle milizie di Giovanna II comandate da
Giacomo Caldora; appoggiò la casa d'Angiò contro Alfonso d'Aragona, e nella
seconda metà del 1400 raggiunse l'apogeo della sua potenza. Il suo declino cominciò negli ultimi anni del XV sec. quando L'Aquila si trovò coinvolta nelle
guerre tra Francia e Spagna, appoggiandosi prima a Carlo VIII e poi
all'imperatore Carlo V. Occupata
nel 1529 dal viceré Filiberto di Chalon, principe d'Orange, fu saccheggiata e in parte
distrutta, subendo anche forti perdite territoriali e gravi imposizioni fiscali
da parte del governo imperiale. Persa così l'autonomia e funestata
da una serie di terremoti ed epidemie,
fu scenario di continue ribellioni interne fino al
XVIII sec. quando salì al trono di Napoli Carlo III, dei Borboni di Spagna, che cercò di risollevarne le
condizioni economico-sociali.
Ma nel 1799, L'Aquila fu costretta a subire un
nuovo saccheggio da parte francese, e durante il regno di Murat fu privata di
considerevoli tesori artistici. Nel periodo risorgimentale, dopo la
restaurazione borbonica, partecipò ai moti del 1821, del 1831 e del 1848, e
dichiarò la sua annessione al regno d'Italia l'8 settembre 1860, subito dopo l'entrata in
Napoli delle truppe garibaldine. Il 2 febbraio 1703 si verificò un devastante terremoto che causò più di 3.000 vittime.
LA CITTA’ DEI SOGNI DI
FEDERICO II
L’imperatore svevo la volle
dalla forma simile
alla pianta di Gerusalemme: la città Santa
che lo aveva ammaliato durante la vittoriosa Crociata, dotandola così del
doppio ruolo di capitale e centro spirituale; aveva
bisogno in realtà di una nuova capitale nel nord del Regno
di Sicilia che facesse da testa di ponte tra esso e il
regno pontificio e si avvicendasse a
Roma.
Federico, come sua consuetudine,
mise in moto la sua potente macchina organizzativa con costruttori e astronomi. Nacque così la
più grande città del medioevo con un
disegno urbanistico di base semplice dal
cui centro si diramano i quattro bracci di
una croce quadrata. Le impose il nome Aquila come il sigillo
imperiale, obbligò la distruzione di tutti i castelli nelle terre adiacenti, costruì il castello imperiale probabilmente individuabile nell'attuale basilica di Collemaggio.
L’edificazione delle chiese venne disposta per
trascrivere a terra la costellazione Aquila che fu
scelta in quanto, come riferiva l’astronomo di Federico II, le
antiche popolazioni avevano per essa la stessa idolatria riposta nel Sole, perché, dal punto di vista astronomico, si alterna con la costellazione della Lepre, come il
Sole con la Luna. Ogni chiesa aveva
la sua stella corrispondente, la città stessa rappresentava il Sole
: l’astro intorno a
cui tutto ruota.
La “costellazione di chiese” venne racchiusa
dalle mura fortificate.
Il disegno topografico della città doveva
svolgere la duplice funzione di simboleggiare un messaggio celeste e profetico
che la indicasse come “città dello spirito e del rinnovamento”. Per questo fu plasmata
in modo tale che nella forma
sembrasse un’aquila dalle ali spiegate e ricalcasse la pianta di
Gerusalemme nel disegno delle mura
perimetrali, ancora oggi visibili.

Se si osserva infatti l’antica mappa di Gerusalemme e la sua cinta
muraria è praticamente uguale al centro storico di Aquila: la disposizione
delle 12 porte murarie, il corso principale tagliato da via Roma (a L’ Aquila)
forma la croce dei 4 cantoni. Le due
città inoltre sorgono entrambe su colline L’ Aquila è a 721 metri e Gerusalemme
a 750 metri. Se si confrontano le mappe urbane del XIII secolo e si fanno ruotare
entrambe si ottiene una sovrapposizione più o meno precisa. Altra importante
conformità topografica è la disposizione dell’urbanizzazione rispetto ai fiumi Cedron e Aterno che scorrono entrambi fiancheggiando le città
e ancora tra il monumento denominato “Piscina di Siloe” di Gerusalemme e l’aquilana
“Fontana delle 99 cannelle”, opere di ingegneria idraulica adiacenti a porte
murarie nella parte più bassa. A nord di Gerusalemme svetta il monte del Tempio che corrisponde alla antichissima
chiesa di Santa Giusta e il monte degli
Ulivi della Città Santa è in relazione con il colle aquilano su cui sorge la
basilica di Collemaggio.
LA BASILICA DI COLLEMAGGIO
La
Basilica di Collemaggio costruita
probabilmente dai cistercensi quale primo castello cittadino imposto da Federico II, fu consacrata il 23 agosto
1288 nel ventennale della battaglia di Tagliacozzo, in cui gli Angioni
prevalsero sugli Svevi nei domini italiani. Sorge sul colle che domina la
sottostante valle dell’Aterno ai confini delle mura difensive della città in
una zona ricca di falde acquifere, cosa che sia per le antiche popolazioni
italiche che per i Cistercensi erano
condizioni ottimali per la costruzione
di un’abbazia fortificata. Simbolo della città è una delle pochissime chiese al mondo
ad avere, al pari della basilica di S. Pietro in Roma, una Porta
Santa.

Le origini del
tempio, eretto tra il 1283 e il 1288, sono legate all'umile eremita Pietro da Morrone che pochi anni dopo, nel 1294, fu
incoronato Papa nella stessa chiesa aquilana con il nome di Celestino V. Le sue reliquie sono custodite all'interno
della basilica, in un mausoleo del 1517 che rappresenta un autentico capolavoro
rinascimentale. Fu eseguito nel 1517 da Girolamo
da Vicenza con i fondi messi a
disposizione dalla corporazione dei lanari della città. All'interno vi è un'urna
dorata che sostituisce le due precedenti, la prima trafugata nel 1528 dalle
truppe del principe Filiberto d'Orange e la seconda nel 1799 dalle
truppe di Napoleone Bonaparte. La
terza urna fu donata ai primi degli anni '70 del Novecento da monsignor Mario
Pimpo, prelato del Vicariato di
Roma, di origini aquilane. Ogni anno, il 29 agosto, nel capoluogo si celebra la Perdonanza
Celestiniana, con apertura della Porta Santa e indulgenza plenaria
concessa dal papa eremita. La facciata, eseguita nella prima metà
del XIV secolo, è ricoperta da un
insieme di masselli di colore bianco e rosso
che la decorano con motivi
geometrici caratteristici in modo
da creare un duplice effetto ottico. I due colori erano molto
utilizzati nelle dimore di Federico II e dei Cistercencensi; il bianco
l’emblema della divinità, della purezza e della fede, il rosso simbolo
dello Spirito Santo inteso come Amore e Fuoco che purifica. Questo arricchimento
decorativo avvenne quando fu stabilito che la chiesa sarebbe divenuta la nuova
sede pontificia. Il compito della sua decorazione fu affidato ai maestri Cosmati un gruppo di famiglie di artigiani del marmo che diedero
vita a una fiorente produzione di splendidi pavimenti.

Nella facciata si aprono tre porte, delle quali la mediana risulta
essere la più imponente e fastosa, decorata da un insieme di archi a tutto sesto concentrici ed avente all'interno per
ciascun lato nei due ordini di nicchie, sculture di impronta gotica. Il portone, barocco, è del 1688. A queste tre porte corrispondono, i tre rosoni che
le sovrastano di cui quello centrale è il maggiore per dimensioni e complessità.
L'interno della basilica è costituito da tre navate, divise da pilastri a base ottagonale, sui quali poggiano arcate ogivali.
Il pavimento della navata centrale è formato dall'alternanza di mattonelle bianche e rosse secondo un motivo che riprende quello
della facciata principale. In molti punti sono presenti curiose forme geometriche e labirintiche che donano al pavimento un carattere
simbolico molto suggestivo.
LA FONTANA DELLE 99 CANNELLE
La Fontana delle 99 Cannelle è il simbolo
monumento di Aquila l’unico rimasto intatto nel sisma del 2009 così come
resistette agli altri due eventi catastrofici subiti nel 1400 e nel 1703. Dall'osservazione e dagli studi su questo primo portentoso monumento di cui si arricchì la città,
presero forma le leggende che l’hanno caratterizzata. Una di queste
antichissima, che vive ancora nella memoria di alcuni anziani, così racconta: “Un
grande mastro muratore costruì la fontana delle 99 cannelle. La sua opera fu
talmente innovativa che i mandatari gli chiesero se fosse in grado di
costruirne un’altra identica. Alla risposta affermativa il maestro fu ucciso e
sepolto nel centro della fontana”. Il
maestro che costruì la fonte era un monaco cistercense Tancredi da Pentima
(oggi Corfinio). L’elemento base del monumento è l’acqua da cui ha origine la
vita, la purificazione, conduttrice di energia è comune in tutti i luoghi sacri e simboleggia l’ingresso ad uno stadio superiore
ad una partecipazione universale.

La
fontana si presenta come uno strano quadrilatero, le cannelle da cui sgorga
l’acqua ininterrottamente da secoli, sono inserite in novantatré mascheroni
dalle diverse raffigurazioni disposte in linea, ad altezza d’uomo lungo le
pareti di tre lati, ad una distanza di un metro tra l’una e l’altra,
l’ingresso della fontana è aperto. L’acqua si riversa in un vascone di pietra,
poi attraverso alcuni canali di pietra, scivola nella vasca più in basso di
poco rialzata rispetto al piano del pavimento da cui infine defluisce. Le
maschere sono intervallate da mattonelle rettangolari di colore rosso che hanno
un fiore centrale in bassorilievo, cinque di esse sono bianche e una sola non ha
il fiore inciso ma un cerchio in rilievo con un punto centrale. Secondo alcune
fonti storiche le cinque pietre bianche rappresentano le 5 piaghe di
Cristo e i fiori che adornano le pietre
simboleggiano la funzione di ‘infiorare il tempio’; la pietra col disegno
circolare (classico geroglifico del Sole) è la ruota zodiacale che ricorda la
ciclicità dell’evento.
Il Forte Spagnolo
Altri monumento rappresentativo
della città è il poderoso Forte
Cinquecentesco, una delle principali fortezze presenti in Italia, chiamato "Forte
Spagnolo" perché
fu fatto costruire nel 1534 per volere dei governatori spagnoli; la direzione dei lavori fu affidata a Pirro Luis Escrivà che aveva fama di essere un grande architetto soprattutto
esperto nella realizzazione di fortificazioni.

Egli trasformò il Castello in una vera e propria
macchina da guerra e fece in modo tale che, in caso di combattimento, potesse
offrire difesa e controffensiva. Si tratta di una struttura imponente, a pianta
quadrata che presenta agli angoli massicci bastioni con uno schema che viene
definito a “punta di lancia” proprio per la loro somiglianza ad una lancia che
si erge verso il cielo. Interamente è circondato da un fossato profondo e molto
ampio e l’ingresso è definito da un ponte in muratura che inizialmente
presentava la “camminata”in legno, distrutta poi nel 1883, sostituita oggi
dalla pietra che permette di percorrere il tragitto del ponte fino a
raggiungere il Portale d’ingresso che presenta lo stemma di Carlo V. Il Portale maestoso e bianco , fiancheggiato da
lesene in ordine dorico; sormontato dall’Aquila bicipite ha nella parte
superiore la scritta latina “ad
reprimendam audaciam aquilanorum”. ll fascino della struttura, però, non è dovuto solo all'edificio ma anche al museo ospitato
nelle quarantuno sale del Castello che accolgono numerose opere, le quali sono disposte a
seconda del loro genere. Al pian
terreno in due sale sono esposti reperti archeologici che provengono in parte
da abitati ed in parte da necropoli e documentano la vita delle popolazioni del
posto tra il III ed il I millennio a.C.

Non mancano oggetti databili tra il VII a.C. ed il III
secolo d.C. che sono testimonianze provenientida Amiternu,
Peltuium, Aveia. Nella sala, sempre al primo piano, che un
tempo era una cisterna per l’acqua di cui usufruivano i soldati che vi si
rifugiavano, si trova un colossale scheletro di Arkidiskon Meridionalis Vestinus, un grosso Mammut molto antico che fu rinvenuto
nel 1948 a Scoppito e inserito l’anno dopo nel museo che era stato inaugurato
da pochissimo. La seconda sezione è quella dell’arte sacra in Abruzzo dal XII
al XVI secolo, il motivo ricorrente è la
Madonna con Bambino.
Il rinascimento
invece viene rappresentato dalla
scultura lignea che utilizza più colori come nel San Sebastiano di San Silvestro dell’Aquila o le Storie
di San Giovanni da Capestrano. Tra le opere pittoriche spiccano
quelle di Pietro Alamanno e del celeberrimo Saturnino Gatti, del quale in
particolare nel museo si può vedere la Madonna del Rosario. Nella
sezione dedicata al genere dell’oreficeria ci sono tantissimi esempi legati all'arte orafa abruzzese come le croci
dei santi più importanti d’Abruzzo, o i reliquari fra cui quelli preziosissimi
di San Giovanni e San Francesco. Mentre
tra i tessuti ci sono soprattutto opere collocabili tra il XV ed il XVIII secolo
una di queste è la Coperta che, secondo la tradizione, è
stata utilizzata per coprire il manoscritto di pergamena di San Pietro Celestino. Non
mancano merletti creati col “tombolo”, lavorazione tipicamente aquilana, oltre
che rasi intessuti in oro ed in argento decorati con motivi floreali. Il pianoterra e il piano interrato ospitano la sezione dedicata all'arte moderna e contemporanea ed ha il merito di aver riunito opere di grandissimi
artisti soprattutto del ‘900: pittori
scultori, grafici, del calibro dei fratelli Cascella, Torres, De Sanctis,
Spoltore e molti altri che sono stati importanti anche in ambito nazionale.
LA CHIESA DI SAN BERNARDINO DA SIENA
La sua
facciata rinascimentale, elegante e maestosa, spicca per il candore della
pietra con grande effetto scenografico in cima alla salita di Via Fortebraccio.

La costruzione della
basilica fu iniziata nel 1454, a soli quattro anni dalla canonizzazione di San Bernardino da Siena ma dovettero essere interrotti
nel 1461 a causa di un terremoto. La costruzione, ripresa nel 1464 e proseguita
fino al 1472, portò alla realizzazione della cupola; questo consentì che vi
potesse essere degnamente custodito il corpo del Santo, divenuto a quell'epoca
il protettore della
città. In una seconda fase di lavori venne realizzata la suggestiva
facciata, rimasta però incompiuta addirittura fino ai primi del Cinquecento,
quando morì Silvestro dell’Aquila (nel
1504) l’artista e architetto che aveva diretto fino a quel punto i lavori.Nel 1506 Papa Giulio II esortò gli aquilani a completare la chiesa al
più presto e l’incarico fu affidato all'architetto e pittore Cola dell’Amatrice che seguì
i lavori con grande passione, dal 1525 al 1527, riuscendo in così poco tempo a
terminare la fascia più bassa della facciata, con i tre portali, come
testimonia l’incisione sull'angolo sinistro del cornicione. Fu completata poi
definitivamente nel 1542.

Ma il capolavoro della scultura rinascimentale aquilana, firmata
dal suo più importante esponente Silvestro dell’Aquila, è senz'altro il
monumentale Mausoleo di San Bernardino che trionfa nel cappellone affrescato
da Girolamo Cenatiempo.
Venne commissionato a Silvestro nel 1489 da Jacopo di
Notar Nanni e
fu completato dal nipote ed allievo Angelo, detto l’Ariscola, nel 1505. La
Basilica è stata gravemente danneggiata dal sisma del 6 aprile 2009 ed è
attualmente in fase di restauro. Tutti i suoi tesori d’arte sono stati salvati
o messi in sicurezza. Nel lungo elenco dei mirabili monumenti di questa città devono essere
comprese anche la chiesa di S. Giusta di Bazzano (XIV sec); la cattedrale,
di origine duecentesca, di S. Massimo e S. Giorgio; la chiesa
di S. Agostino (XVIII
sec.); etc e decine di splendidi palazzi gentilizi, edificati tra il XV ed il
XX secolo, spesso arricchiti da bellissimi cortili con scenografici porticati
ad archi sorretti da colonne e monumentali scalinate. Numerose stupende
frazioni sparse nei
dintorni della città inoltre conservano
monumenti o reperti di notevole interesse storico-artistico. Tra queste: S.
Vittorino, dove si trovano il Teatro e l'Anfiteatro Romano
dell'antica Amiternum, la chiesa di S. Michele (XII sec.) e la catacomba
di S. Vittorino; Paganica,
con il suggestivo Santuario della Madonna d'Appari (XIII sec.), incastonato nella roccia con la volta tappezzata da eravigliosi
affreschi; Civita da Bagno dove sono visibili i resti della cattedrale
di S. Massimo a Forcona (VII
sec.) e il pittoresco borgo fortificato
di Assergi, che custodisce la
bellissima chiesa di S. Maria Assunta del 1150.
L’Aquila non è una
città morta.
Quindici anni dopo
il terremoto del 6 aprile che ha stravolto
per sempre la città, dopo macerie, zone rosse, militari, inchieste,
processi, promesse e delusioni, L’Aquila sta riprendendo. Si sta finalmente rompendo quel silenzio surreale che per anni ha
caratterizzato il quinto centro storico più grande d’ Italia.
Le facciate dei palazzi antichi sono tornate a
splendere a fianco edifici meno
importanti e fortunati che invece ancora per molto tempo saranno ingabbiati da
travi di ferro ormai arrugginite. Ma la città è rinata solo a metà: le scuole non sono ricostruite e nel centro
manca la vita vera. Tanto è stato fatto ma molto resta da fare. La situazione della ricostruzione pubblica procede molto a rilento resta ferma a metà, avanza invece
la ricostruzione privata, con quasi i due terzi delle case ricostruite ma
ci vorranno ancora forse quattro anni per mettere la parola fine, come
pure nelle frazioni dell’Aquila, a partire dalla
tristemente nota Onna che dieci anni fa fu epicentro del terremoto, e dei
Comuni del cratere. Un percorso complesso che purtroppo è andato rallentando
negli anni, anche se era partito subito dopo la tragedia con le migliori
intenzioni. La Caritas, ha realizzato 48 centri di comunità
ma ci sono ancora tanti cantieri aperti sia nel centro storico del capoluogo che nelle zone periferiche in cui i lavori dureranno
diversi anni. Oltre ai palazzi da ricostruire c’è una città
fatta di persone che il terremoto ha
ferito, disorientato. L’ Aquila prova a rinascere e sul volto
degli aquilani la rassegnazione ha preso il posto della speranza.
Ricostruzione storiografica a cura di Elisabetta Mancinelli
I documenti sono tratti dagli Archivi di stato e da “La rivelazione
dell’Aquila” di Ceccarelli, Cautilli, Proclamato.
Le immagini sono tratte dal
Web e dal testo suddetto.