martedì 21 maggio 2019

IL CANTO DELL'USIGNOLO di GABRIELE D'ANNUNZIO











Il passo fa parte del romanzo: L’innocente che Il poeta scrive nel 1892 ed è il secondo dei romanzi della Rosa che comprendono anche Il piacere e Il trionfo della morte.
In esso descrive sin dalle prime note il gorgheggio melodioso dell’usignolo traducendolo in immagini raffinate e ne interpreta lo svolgimento fino al vertice dell’ebbrezza più intensa. Un pezzo di bravura, che mette in luce il virtuosismo dell’Autore.
“L'usignolo cantava. Da prima fu come uno scoppio di giubilo melodioso, un getto di trilli facili che caddero nell'aria con un suono di perle rimbalzanti su per i vetri di un'armonica.
Successe una pausa. Un gorgheggio si levò, agilissimo, prolungato straordinariamente come per una prova di sforzo, per un impeto di baldanza, per una sfida a un rivale sconosciuto. Una seconda pausa. Un tema di tre note, con un sentimento interrogativo, passò per una catena di variazioni leggere, ripetendo la piccola domanda cinque o sei volte, modulato come su un tenue flauto di canne, su una fistula pastorale. Una terza pausa. Il canto divenne religioso, si svolse in tono minore, si addolcì come un sospiro, si affievolì come un gemito, espresse la tristezza di un amante solitario, un desio accorato, un'attesa vana; gittò un richiamo finale, improvviso, acuto come un grido d'angoscia; si spense. Un'altra pausa, più grave. Si udì allora un accento nuovo, che non pareva uscire dalla stessa gola, tanto era umile, timido, flebile, tanto somigliava al pigolio degli uccelli appena nati, al cinguettio di una passeretta; poi, con una volubilità mirabile, quell'accento ingenuo si mutò in una progressione di note sempre più rapide che brillarono in volate di trilli, vibrarono in gorgheggi nitidi, si spiegarono in passaggi arditissimi, sminuirono, crebbero, attinsero le altezze soprane. Il cantore si inebriava del suo canto. Con pause così brevi che le note quasi non finivano di spegnersi, effondeva la sua ebrietà in una melodia sempre varia, appassionata e dolce, sommessa e squillante, leggera e grave e interrotta ora da gemiti fiochi, da implorazioni lamentevoli, ora da improvvisi impeti lirici, da invocazioni supreme. Pareva che anche il giardino ascoltasse, che il cielo si inchinasse su l'albero melanconico dalla cui cima un poeta, invisibile, versava tali flutti di poesia. La selva dei fiori aveva un respiro profondo ma tacito. Qualche bagliore giallo s'indugiava nella zona occidentale; e quell'ultimo sguardo del giorno era triste, quasi lugubre. Ma una stella spuntò, tutta viva e trepida come una goccia di rugiada luminosa”.

Ricerca a cura di Elisabetta Mancinelli email mancinellielisabetta@gmail.com

3 commenti:

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  2. Un tripudio di parole che ci rendono partecipi del canto di un uccello come una melodia che non si spegne nel tempo. Brava Elisabetta per avercelo riproposto.

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  3. Il poeta pittore ci inebria col canto dell'usignolo sentito con lo sguardo del suo scritto di divina bellezza

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