Il culto dei morti, l’elemento principale di tutte le
culture, ha la sua radice nella innata "religiosità" dell'essere
umano e nacque con l'uomo stesso. La storia e l'archeologia dimostrano che i
riti funebri erano celebrati, presso tutti i popoli, da sacerdoti, stregoni e
capi tribù secondo modalità, usi e costumi diversi.
Nel mondo egizio, greco-romano, azteco e anche
ebraico il culto dei morti era sinonimo di cultura e rispetto del trapasso, lo
dimostrano l’uso dei vari tipi di sepoltura: inumazione, mummificazione, cremazione
e i vari tipi di sarcofagi, le tombe a camera e quant’altro. Era ritenuta
infatti cosa mostruosa lasciare un cadavere insepolto. Nel credo cristiano e
nella coscienza popolare ha continuato a vivere un forte sentimento, radicato
nei culti arcaici dei morti considerati divinità sotterranee, che assimila i
santi ai morti. Per questo la Chiesa celebra la festa di Ognissanti e quella
della Commemorazione dei defunti in due giorni consecutivi il 1 e il 2
novembre.
La prima è dedicata ai santi e festeggia il loro dies
natalis inteso come il giorno della nascita in cielo, la seconda è riservata ai
morti. Agli uni e agli altri andava il ringraziamento per un buon raccolto e
nella zona di Pacentro vigeva il detto : Nn’ abbaste a rengrazià lu Paradise –
ci hanne misse la bona parole pure l’anema de lu Purgatorie (non basta
ringraziare il Paradiso – ci hanno messo la buona parola anche le anime del
Purgatorio), Nell’esistenza di un tempo, ritmata dal fluire delle stagioni e da
tradizioni per lo più religiose, il culto dei defunti aveva una funzione
biologica importante in quanto comportava gesti simbolici collettivi che
aiutavano l’uomo a confrontarsi con la realtà integrale della vita e l’idea
della morte diveniva naturale e pacificante, non angosciante come per l’uomo
dei nostri giorni, che rifugge in maniera ossessiva dal pensiero di essa. La
“pietas” verso i defunti è sempre stata molto sentita e presente nel popolo
abruzzese sia negli aspetti folkloristici che in quelli tradizionali.
USANZE E RITUALI COMMEMORATIVI
In Abruzzo molte sono le usanze e i rituali legati
alle anime dei defunti e ai loro rapporti con il mondo dei vivi riflessi di
antiche credenze. Sulle tombe, negli ossari, sugli altari delle chiese e sui
davanzali delle finestre si accendevano lumini per i morti.
La visita degli ossari, dove si raccoglievano le ossa
dei defunti riesumati, era d’obbligo. Secondo la credenza popolare, mentre la
carne finiva in cenere ( in terra pe’ i cice, terra per i ceci), le ossa
resistevano e venivano conservate con cura in quanto costituivano il seme della
resurrezione dei corpi e nel giorno del giudizio finale, gli scheletri
sarebbero tornati a ricomporsi e a rivestirsi di carne. La tradizione dei ceri
accesi nelle chiese e nelle abitazioni, comune un tempo a tutta l’Europa, è
ancora viva in Abruzzo, in particolare nella Valle Peligna.
Fino pochi decenni or sono, quando le case erano
ancora tutte abitate, i paesi assumevano l’aspetto di una diffusa luminaria in
quanto si riteneva che, alla mezzanotte della ricorrenza di tutti i santi, i
morti abbandonassero le loro dimore nel cimitero e si recassero in processione
per le vie del paese. Dalle luci del camposanto alle lingue di fuoco delle
candele oscillanti alle finestre si snodava, silenzioso e invisibile il corteo
delle anime dei defunti. I lumini posti sulle tombe servivano ai morti per
farsi luce sulla strada del ritorno, mentre quelli accesi alle finestre
indicavano il luogo dell’antica dimora.
A Introdacqua, l’immaginazione popolare definiva
anche l’ordine di successione della sfilata delle anime: davanti venivano, ma
senza muovere i passi, quelle dei nati morti; seguivano quelle delle creature
decedute poco dopo il battesimo; poi quelle dei giovani e delle ragazze precocemente
scomparsi; infine le ombre degli anziani e dei vecchi. Tutti, con una candela
in mano. Questa processione, che si ripete ancora oggi, era chiamata
Scurnacchiera e per l’occasione era ripetuta la filastrocca: teri teri tera, e
mo’ passa la scurnacchiera. Il termine deriva da curnacchia (cornacchia o
taccola, corvus monedula). Si assimilavano le “anime sante” alle cornacchie in
quanto, nel sentimento popolare i corvidi sono generalmente simboli ambigui
negativi e positivi, tenebrosi e solari, ora messaggeri del divino e ora
manifestazioni demoniache. Nelle campagne d’Abruzzo ancora vige l’usanza di
spalancare una finestra della stanza in cui si trova il moribondo, perché
esalando l’ultimo respiro, la sua anima possa uscire più facilmente, o mettere
in bocca o in tasca al defunto una moneta per pagare il pedaggio per l’aldilà,
o corredare la salma di tutti gli oggetti che in vita gli erano cari.
A Pratola Peligna si posava sul tavolo apparecchiato
anche una conca d’acqua col ramaiolo e si lasciava socchiusa la porta di casa
per accogliere i defunti. Il giorno della ricorrenza per devozione si dovevano
mangiare ceci, grano e fave lessati e confezionare dolci a forma di fave
ritenute dagli antichi il cibo rituale dei defunti in quanto contenevano le
anime dei trapassati.
Altra usanza molto diffusa era il pranzo funebre
chiamato “consolo” che si svolgeva in una grande varietà di forme e veniva
preparato dagli amici e parenti dei colpiti dal lutto a scopo consolatorio a
significare il desiderio di reintegrazione nella comunità compromessa dall’evento
luttuoso. Un tempo vigeva anche l’uso del pianto funebre rituale, il lamento
delle donne in presenza del defunto.
Esso aveva diversi nomi: arpetà, repòte, plasmi, a
seconda delle zone, che poi cadde in disuso in quanto considerato dalla chiesa
una manifestazione di paganesimo e di superstizione. Diversi studiosi si sono
interessati allo studio dei lamenti funebri tra cui P. Lupinetti e Alberto
Cirese. I canti funebri di cui restano tracce sono: Il lamento della vedova di
Vasto e Il lamento della vedova di Scanno. I testi sono molto somiglianti , e
questo dimostra che le nostre popolazioni migravano nell’interno della regione, quelle della montagna scendevano alla marina con greggi e armenti sostandovi
anche a lungo per cui gli scambi avvenivano a tutti i livelli materiali e
culturali.
Tradizione popolare molto diffusa, che si incontra
con l’etica cristiana della chiarita, era anche l’elemosina; i contadini
facevano regali in natura alla parrocchia, perché il prete li distribuisse ai
bisognosi, ma si preferiva “fare il bene” (fa’ le bene) direttamente ai poveri.
La sera di Ognissanti, nelle zone intorno a Pratola Peligna e Pettorano sul
Gizio, i ragazzi, in piccole comitive, mascherati da spiriti, con la faccia
impiastricciata da cenere o farina si recavano per le case del paese per
ricevere “le bene” dagli adulti. Altra tradizione della vigilia e del giorno
dei morti era la celebrazione di messe a suffragio dei defunti.
A Raiano la funzione durava quasi tutta la notte; a
Roccapia, sempre di notte, si cantava l’ufficio dei morti e il sacerdote
celebrava la prima messa per i confratelli della congrega del Rosario.
In molti paesi abruzzesi era diffusa la credenza che
di notte avesse luogo un’altra messa speciale, di sole ombre, officiata dai
preti defunti per tutti i morti del paese. Una funzione religiosa molto
singolare , che è durata fino ai primi anni del 1900, si svolgeva a Sulmona il
2 novembre ( come documenta da Francesco Simonetti in “Sulmona nei riti
religiosi” del 1901) essa era caratterizzata da una forte commistione di usi
pagani : banchetto, danza e forme di culto cristiane :processione, messa e
sacra rappresentazione. A Pacentro, nella settimana dei morti, si celebravano
messe in tutte le chiese fino alla festa di San Carlo, che cade la prima
domenica dopo Ognissanti ,mentre la sera della vigilia della Commemorazione dei
defunti, si allestiva un banchetto per i morti, per dare loro ristoro in
occasione della loro visita notturna. La mattina i cibi venivano distribuiti ai
poveri.
UNA RICORRENZA DEI NOSTRI TEMPI:
HALLOWEEN
Erroneamente si crede che Halloween sia una festa
americana, in realtà si festeggiava già in età precristiana nel nord Europa
nelle Terre dominio dei Celti ed era il loro Capodanno. Le popolazioni di
questi luoghi lo chiamavano Samhain "passaggio". Essendo per gli
antichi il tempo circolare e non lineare, questa data indicava
contemporaneamente i concetti di "fine" e "inizio". E
proprio per il concetto di "inizio e fine" c'era la credenza che i
confini tra il mondo dei vivi e quello dei morti divenissero più sottili e che
quindi fossero possibili i passaggi tra l'uno e l'altro. Era anche un passaggio
stagionale: infatti esistevano solo due stagioni: il 31 ottobre segnava la fine
dell'estate e l'inizio dell'inverno. L'interpretazione di "passaggio"
riguarda anche la morte in sé: infatti questa viene intesa come passaggio da
una vita all'altra, una rinascita vera e propria, quindi da non interpretarsi
come un evento negativo.
Nel calendario anglosassone la notte tra il 31 ottobre
e il 1 novembre in cui gli spiriti e le streghe incontrano i santi viene
definita con il termine inglese “ Halloween” La parola è attestata la prima
volta nel XVI secolo come una variante scozzese del nome completo
All-Hallows-Even, cioè la notte prima di Ognissanti (all Saints ). Sebbene il
sintagma All Hallows si ritrovi nell’ inglese antico All-Hallows-Even non
è noto fino al 1556. Il nome Halloween deriva, quindi, dalla forma
contratta di All Hallows’ Eve, dove Hallow è la parola arcaica inglese che
significa Santo.
Ognissanti, invece, in inglese è All Hallows’ Day.
L’importanza che, tuttavia, viene data alla vigilia si deduce sempre dal
valore della cosmologia celtica: questa concezione del tempo, seppur soltanto
formalmente e linguisticamente parlando, è molto presente nei paesi anglofoni,
in cui diverse feste sono accompagnate dalla parole “Eve”, tra cui la stessa
notte di Capodanno, “New Year’s Eve”, o la notte di Natale “Christmas Eve.
Il termine si è poi diffuso alla tradizione e al
folklore attuali in molti Paesi del mondo e vede protagonisti soprattutto i
bambini che, nella tradizione anglosassone, in questa notte vanno di casa in
casa dicendo "trick or treat", cioè "dolcetto o
scherzetto", cioè o mi dai qualcosa o ti faccio un maleficio, un sortilegio.
Il simbolo di Halloween più conosciuto è "Jack-o-lantern", una zucca
svuotata e tagliata come una faccia malvagia con una candela all'interno.
In Abruzzo, conformemente a quanto avviene nel mondo
anglosassone in occasione della festa di Halloween era ed è ancora tradizione
scavare e intagliare le zucche e porvi all’interno una candela e utilizzarle
come lumini in memoria dei defunti. Noi abruzzesi, che abbiamo un così ricco
patrimonio di tradizioni e celebrazioni collettive relative al culto dei morti,
anche se presi dal ritmo incessante delle nostre incombenze e affanni,
attraverso il recupero e la riscoperta delle usanze e dei cerimoniali
collettivi, che permettevano ai nostri antenati di accettare la morte come
parte integrante dell’ esistenza, potremmo riconsiderare l’idea del “passaggio”
non più come angosciante ma in modo più sereno e pacificante.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli
email: mancinellielisabetta@gmail.com
I documenti sono tratti da: l’Archivio di Stata,
dall’Archivio della Cultura Popolare a cura di Marcello Bonitatibus, da “L’Acqua
nuova” di Maria Concetta Nicolai e da “Folklore abruzzese” di Lia
Giancristofaro.
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