giovedì 3 ottobre 2019

Ricordo di un grande pescarese ENNIO FLAIANO


Ricordo di un grande pescarese  ENNIO FLAIANO


Ennio Flaiano scrittore, sceneggiatore giornalista pescarese.Personaggio ironico ma anche acre, tragico e satirico che, con un vivo senso del grottesco, stigmatizzò gli aspetti più paradossali della realtà contemporanea. 

ENNIO FLAIANO
Nasce il 5 marzo 1910 da Cetteo Flaiano e dalla sua seconda moglie Franceca a Pescara nel fazzoletto di centro storico della città e precisamente in Corso Manthonè a pochi metri dalla casa natale di Gabriele D’Annunzio. Pescara era allora, come Flaiano stesso ricorda “Una Pescara diversa, con cinquemila abitanti: al mare ci si andava con un tram a cavalli e le sere si passeggiava, incredibile! per quella strada dove sono nato, il Corso Manthonè, ora diventato un vicolo e allora persino elegante….” .“Sono nato a Pescara in un 1910 così lontano e pulito che mi sembra di un altro mondo.
Mio padre commerciante, io l’ultimo dei sette figli della sua seconda moglie, Francesca, una donna angelica che le vicende familiari mi fecero conoscere troppo poco e tardi. A cinque anni fui mandato nelle Marche, a Camerino, presso una famiglia amica, che si sarebbe presa cura di me. Vi restai due anni. A sette anni sapevo fare un telegramma. Ho fatto poi anni di pensionato e di collegio in altre città, Fermo, Senigallia persino Brescia nel 1922. Il 27 ottobre dello stesso anno partivo per Roma, collegiale, in un treno pieno di fascisti che ‘facevano la marcia’. Io avevo dodici anni ed ero socialista. A Roma divenni un pessimo studente e arrivai a stento alla facoltà di architettura, senza terminarla, preso dal servizio militare e dalle guerre alle quali fui chiamato a partecipare, senza colpo ferire”.
Il padre, piccolo commerciante, dunque, già a cinque anni lo manda a Camerino presso una famiglia di amici, in quanto era consuetudine all'epoca affidare a famiglie più abbienti bambini che sarebbe stato difficile crescere a casa propria. Tornato nella sua città poco più tardi, il genitore, che si era separato dalla madre, preoccupato di dargli una buona istruzione , lo invia in collegio prima nelle Marche poi in Lombardia. Tornato a Roma nel 1930 Ennio abbandona l’Università ed esordisce nel giornalismo nella rivista “Oggi” di Pannunzio con rubriche su teatro, cinema e storia dell’arte. Nel 1935 viene fatto partire col grado di sottotenente per la Campagna d’Etiopia che lui definì “ una guerra che mi ha portato ventiquattrenne a ripudiare il fascismo e a desiderare che la cosa finisse brutalmente nella sconfitta”.
Nel 1940 sposa Rosetta Rota, zia del matematico e filosofo Giancarlo Rota. Nel 1942 nasce la figlia Luisa, soprannominata Lelè che all'età di otto mesi inizia a dare i primi segni di una gravissima forma di encefalopatia con gravi handicap che le comprometterà tragicamente la vita. Splendide pagine su questo drammatico evento e sullo struggente amore che nutrì per questa sfortunata figlia si trovano ne La Valigia delle Indie dove scrisse : « Sei stato condannato alla pena di vivere. La domanda di grazia, respinta… Coraggio, il meglio è passato».
Alla fine del 1946 si trasferisce a Milano per lavorare nella redazione di “Omnibus” con Achille Campanile. Una sera di dicembre dello stesso anno incontra Leo Longanesi che gli commissiona un romanzo. Nasce così “Tempo di uccidere” che nel luglio 1947 vince il Premio Strega.
Il tema di questo suo unico romanzo si rifà all'esperienza dell’autore sottotenente dell’esercito italiano, durante la Campagna d’Etiopia.
Nel 1949 viene nominato da Pannunzio redattore capo del nuovo settimanale “Il Mondo” dove lavora tra gli altri con Brancati e De Feo.
FLAIANO SCENEGGIATORE E CRITICO
Ennio Flaiano oltre che giornalista, scrittore e critico cinematografico e teatrale, recensore di settimanali e quotidiani, fu uno sceneggiatore di straordinario talento.
Fellini conosce Flaiano ai tempi della redazione di “Omnibus” e di questo abruzzese razionalista e laico, apprezza la battuta graffiante, la precisione e la cura per i particolari e il suo disincanto, siano essi aforismi, epigrammi racconti, soggetti cinematografici.
Essendo uno dei protagonisti della Roma intellettuale dei caffè dell’epoca di cui Fellini diffidava, fu un efficace anello di congiunzione tra il grande regista e l’intellighenzia di Via Veneto. Protagonista dunque della Roma notturna insieme a Cardarelli, Brancati e Longanesi si rivelò uno dei più grandi ingegni di quell'ambiente artistico ed intellettuale. Roma, oltre al lavoro, gli diede modo di conoscere altri grandi artisti. Tuttavia, per tutta la vita, ebbe un rapporto di spiriti  nel  1965,  firmò  le  sceneggiature  di  indimenticabili capolavori del cinema italiano quali I Vitelloni, Lo Sceicco bianco, La Strada, La dolce vita, (nastro d’argento per miglior soggetto originale e nomination per l’Oscar), Le Notti di Cabiria, Otto e mezzo e Ladri di biciclette con De Sica.
Attraverso l’occhio moralistico, venato di ironia e sarcasmo, i suoi aforismi, le sue sceneggiature e il suo rapporto spesso contrastato con Fellini si ricostruirà la situazione cinematografica e culturale dell’Italia del boom economico degli anni ’50 e ’60. Continua  intanto a scrivere per  giornali  e  riviste  quali “Corriere della   Sera”,  “Panorama”,  “L’Espresso”, “L’Europeo”, viaggia anche molto pur non amando viaggiare: Parigi,  l’Oriente  (Beirut,  Bombay,Bankok,  Hong  Kong),  e New York dove abita per lunghi periodi, Israele, Londra, Canada. Nel “Diario degli errori”, appunti che vanno dal 1950 al 1972 pubblicati postumi nel 1976, dipinge l’Italia dell’epoca con ironia e con una leggerezza che conservò tutta la vita nonostante il suo dramma familiare. Il tema predominante di questi scritti è apparentemente il viaggio. Ma in realtà  dice: è meglio non viaggiare perché la noia e la malinconia ci perseguitano dovunque andiamo. Flaiano  rivela in quest’opera l’essenza della sua personalità : polemico, amore-odio nei confronti della capitale che amava per le opportunità che gli dava e per le bellezze artistiche, ma odiava perché era “l’enorme garage del ceto più medio d’Italia”. Il sodalizio con Fellini, che iniziò con Luci del varietà, 1951, e si concluse con Giulietta degli tratti cinico, sempre disincantato, individualista anticonformista, con un orientamento politico antifascista ed anticomunista allo stesso tempo, in quanto non si riconosce nelle ideologie dominanti. Le sue annotazioni mettono alla gogna i malcostumi diffusi dell’epoca. I falsi miti, le false coscienze e l’idealismo filosofico assurdo di quel periodo. “Gli intellettuali dovrebbero avere la funzione di far divenire più semplici le questioni complesse, senza renderle semplicistiche, invece accadeva il contrario: anche le cose più semplici diventano complesse. I politici non parlano chiaro, gli intellettuali spesso scrivono libri illeggibili, incomprensibili per chi non ha un solido bagaglio umanistico, le leggi possono essere decifrate solo dagli avvocati.” Insomma conclude : “Non esiste la verità perché la linea più breve tra due punti è l’arabesco e gli italiani sono costretti a vivere in una rete di arabeschi”.
 Fu il primo ad intuire la crisi della persona umana per colpa del consumismo col suo venir meno di valori morali e punti di riferimento e dell’eccesso di una comunicazione mass-mediale volgare e superficiale. «La civiltà del benessere porta con sé proprio l’infelicità». Il  sodalizio  artistico  con  Fellini   fu spesso difficile  e, secondo   alcuni   biografi,   Ennio lo interruppe definitivamente nel 1965 quando colse un’ infelice battuta del regista sulla figlia malata che amava di una passione struggente proprio perché con lei la natura era stata matrigna e dal colpo non si era mai riavuto. Nel 1970 vince il Premio Campione con “Il gioco e il massacro”, nel 1972 con “Ombre bianche” vince il “Festival dei Due Mondi” (entrambi volumi di racconti). Fu colpito da un infarto nel 1971 e, prima che un secondo episodio fatale lo cogliesse a Roma ad appena 62 anni il 20 novembre 1972 mentre era ricoverato per sottoporsi a un banale controllo clinico, raccolse e catalogò molte delle sue preziose carte inedite tra le quali: progetti di sceneggiature, scritti per la radio o la televisione, copioni teatrali che furono pubblicati postumi. La figlia Lelè morirà nel 1992. La moglie Rosetta si è spenta alla fine del 2003. La famiglia è riunita nel cimitero di Maccarese, vicino Roma anche se Ennio sognava di riposare sul colle di San Silvestro accanto ai suoi genitori che in vita erano stati divisi.

FLAIANO E PESCARA
Dalla sua città natale, priva di stimoli culturali che viveva allora di commercio e pesca , quindi egli cominciò ad emigrare prestissimo, ma alcuni anni della giovinezza spensierata , quelli rievocati ne “I vitelloni”, Flaiano ebbe modo di trascorrerli nella sua Pescara, prima del distacco, impostogli dalla necessità, comune a tanti abruzzesi, intellettuali e non, e si avventura nella grande città in cerca di fortuna.“Lui aveva con la sua città un rapporto di grande nostalgia e, insieme, di grande timore. Aveva paura che, tornando a Pescara, trovasse una città diversa da quella in cui aveva vissuto nelle sue estati da ragazzo; perché per lui Pescara rappresentava essenzialmente l'estate delle sue vacanze. Così, ogni volta che vi faceva ritorno si lamentava di qualche cosa che era stata aggiunta o di qualcosa che mancava rispetto ai suoi ricordi. E' strano tutto ciò perché non è che lui avesse, poi, un rapporto fermo e duraturo con la città. Eppure provava questo dolore nel vederla trasformata”. (Da “Le Lettere a Giuseppe Rosato” di G. Rosato). “Pescara per Flaiano è il luogo fisico e immaginario dell’infanzia e della giovinezza di una mitica innocenza che Roma presto gli farà perdere, delle dolci estati al mare, delle amicizie consumate nell'oziosa attesa della guerra. Ma anche il luogo del dolore: quello di un figlio che si sente rifiutato dalla famiglia. Negli anni del distacco e della distanza Pescara crescerà anticipando incredibilmente i tratti antropologici dell’italiano nuovo” (da Pescara. Ennio Flaiano e la città parallela di Antonio Marchetti). L’influenza delle sue origini abruzzesi non è secondaria, considerato il significativo ruolo che l’autobiografismo occupa nell'intera sua produzione. Scrisse anche un romanzo poco conosciuto tutto abruzzese, “Il Messia”, dove racconta il particolare modo della nostra gente di intendere la religione. Altro esempio di appartenenza, tra i tanti, è L’“Autobiografia del Blu di Prussia”, un’opera evocativa, dettata dalla necessità di fare i conti con la sua infanzia infelice e con i difficili rapporti familiari. Inoltre in prima persona Flaiano parla del suo legame con l’Abruzzo e con Pescara nelle interviste e in alcune lettere, in particolare quella a Pasquale Scarpitti, dove afferma di scrivere “da abruzzese”.

AFORISMI

Ennio Flaiano è forse uno degli scrittori più citati per le sue battute, le sue frasi celebri e i suoi aforismi. 
  • Fra quelli indimenticabili:
  • Fra trent’anni l’Italia non sarà come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la T.
  • Il libro è l’unico oggetto inanimato che possa avere sogni.
  •  Essere pessimisti circa le cose del mondo e la vita in generale è un pleonasmo ossia anticipare quello che accadrà
  • Quando l’uomo non ha più freddo , fame e paura è scontento.
  • Ci sono molti modi di arrivare, il migliore è di non partire.
  • I giorni indimenticabili della vita sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.
  • I grandi amori si annunciano in modo preciso, appena la vedi dici: chi è questa stronza?

I documenti e le immagini sono tratti da “Pescara. Ennio Flaiano e la città parallela” di Antonio Marchetti, da “Ennio Flaiano l’uomo e l’opera”, dagli Atti dell’Associazione Culturale Flaiano e da “Le lettere a Giuseppe Rosato” di G. Rosato.

Ricostruzione storiografica a cura di Elisabetta Mancinelli email: mancinellielisabetta@gmail.com


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