giovedì 21 novembre 2024

Paolo Martocchia, “Le perle di Silvi”: l'evoluzione storico-sociale e le mutazioni antropologiche.


Paolo Martocchia
 nasce a Parma, si laurea in Scienze Politiche e si specializza in Cooperazio­ne allo Sviluppo. Scrittore, giornalista e operatore culturale, studioso e raffinato ama la ricerca storica dei tempi e dei luoghi del territorio in cui vive e con cui si identifica e, pur provenendo da altrove, il suo mondo ha l’epicentro in Silvi tra le colline e il mare.
Ha firmato per molte testate nazionale e dal 2001 ha scritto scrive per il  gruppo editoriale “Il Sole 24 Ore”. E’ un sostenitore della cultura a 360°, ha inoltre collaborato con gli Atenei di Chieti e di Teramo e contribuito alla rinascita della vita culturale a Silvi. Attualmente lavora al quotidiano "La città".
Già autore dei volumi “Come cambia il lavoro: comunicazione, automazione, flessibilità” (IT Roma 2002) e François Mitterrand (Arte della Stampa, Chieti 2007), Variazioni di giudizio (Hatria, Atri 2010) ha dato da poco alle stampe “LE PERLE DI SILVI”, il suo nuovo interessante saggio storiografico della casa editrice Marte che offre un quadro d’insieme di fatti e personaggi di Silvi, incentrato su fonti giornalistiche e bibliografiche e delinea sia l’evoluzione storico-sociale che le mutazioni antropologiche di Silvi un «sito incantato».
L’autore racconta la storia della città tra l’arrivo della ferrovia e i giorni nostri ed è dedicata a tutti i cultori e appassionati di abruzzesistica, che ritengono importante la valorizzazione della Cultura della nostra regione. Il testo non solo parla di Silvi, ma anche della nostra regione e dei principali fatti accaduti in Italia dal primo decennio del ‘900 ai giorni nostri.

LA STORIA DI SILVI RACCONTATA DA PAOLO MARTOCCHIA
Paolo Martocchia ripropone  i momenti storici salienti della città: dalla Banda musicale alla prima Casa del Maestro, dall’arrivo di Mafalda di Savoia agli edifici di culto, dalla vocazione marinaresca alle tradizioni gastronomiche, arrivando sino alle memorie popolari e ai personaggi storici che l’hanno resa celebre.
Silvi, che negli anni Settanta veniva definita “la perla dell’Adriatico”, è costituita da due nuclei: la suggestiva parte alta: Silvi Paese dalle caratteristiche arcate di sostegno e dalla Marina una volta dalla finissima e dorata sabbia. Il paese inizia il suo percorso evolutivo e sociale il 17 maggio 1863 nello stesso giorno in cui arriva a Castellammare il primo treno a vapore della Ferrovia Adriatica.
Nel primo decennio del ‘900, l’influenza di Pescara si esercita attraverso Gabriele D’Annunzio e Giacomo Acerbo: mentre l’aeroporto viene affidato al marchese Martinetti Bianchi, Silvi arriva a detenere la prima “Casa del maestro”, la marineria di Silvi si sposta a Pescara, il Prof. Bassani si stabilisce a Silvi dove accorrono centinaia di “bagnanti” nel suo storico stabilimento “Cerrano Sub” vicino alla torre di Cerrano.
L’attento itinerario di Martocchia intende corroborare la tesi che vede in Silvi una città amabile, socialmente attraente, con qualità e caratteristiche che giustificano pienamente un grande e rinnovato orgoglio, anche attraverso l'influenza di Pescara, soprattutto nell'epoca de "La dolce vita" degli anni '70-'80, quando migliaia di pescaresi andavano ad affollare le discoteche di Silvi.
Il saggio ,dalla agevole lettura, tratta anche dell'evoluzione storico-sociale e delle mutazioni antropologiche del territorio silvarolo che ha l’aspetto di un’aristocratica signora a cui il tempo e la decadenza non hanno portato via i tratti genetici della bellezza e quelli eleganti della personalità.
L’opera va a sommarsi a una bibliografia dedicata al suggestivo paese: la “Cronaca e diario del Castello di Silvi” (1932) di Giuseppe de Torres , “Silvi bel suol d'amore” (1992) di Edoardo Famelici e “Silvi, storia folclore turismo” (1970) di Lamberto De Carolis.
La storia ha lasciato tracce dentro e fuori il paese in cui rimangono i connotati di una “bella epoca” dall'arrocco antico di Silvi Paese alle verdi colline fino alle ville superstiti in prossimità del litorale a Silvi Marina, memorie inconfutabili seppur confuse col disordine di una modernità e di una contemporaneità che non sono state e non sono generose con quel «sito incantato» a cui rimanda il libro di Paolo Martocchia.

In mezzo c'è un periodo intenso che ha segnato splendore e decadenza di quella «perla dell'Adriatico» dove le famiglie nobili atriane sfoggiavano le proprie residenze estive, costituendo un tessuto urbano e sociale signorile che si ritrovava al Club Marina, dove la gastronomia si affinava tra i sapori del pescato e dell'agro circostante, dove la fabbrica Saila cresceva facendo conoscere la liquirizia locale in tutto il mondo, dove i turisti italiani e stranieri affollavano l'estate, tra nuovi alberghi e spiagge attrezzate, regate veliche al Circolo Nautico, notti al Kursaal prima e alla Silvanella poi, e dove Mogol trovava ispirazione e scriveva capolavori per Lucio Battisti a Silvi, dove il paroliere passava le vacanze da ragazzo, è ispirata “La canzone del sole” .
“Forse nulla di nuovo o inedito, dice l’autore, senza pretesa di completezza nell’affrontare la storia di un paese che andrebbe rivisitato nella sua interezza in quanto la memoria storica aiuta la formazione di un’identità culturale e la condivisione di valori umani da tramandare ai posteri e soprattutto ci aiuta ad affrontare i nuovi problemi dell’umanità.





Recensione a cura di Elisabetta Mancinelli
e-mail: mancinellielisabetta@gmail.com



martedì 19 novembre 2024

Intervista a Tonino Tucci, l'eclettico fotografo della vita pescarese degli anni '70 e '80.

 


BIOGRAFIA 

Tonino Tucci nasce a Pescara il 1 giugno 1938. 

Sin dall’età di dodici anni maneggia le prime macchine fotografiche, ne viene incuriosito e ne subisce il fascino. Inizia a praticare quest’ arte a sedici anni, man mano acquisisce nozioni ed esperienze e sviluppa le sue innate potenzialità. Anche durante il servizio militare gli viene assegnato il compito di fotografo della Compagnia e svolge con amore ed interesse sempre crescenti questa attività. Tornato a Pescara rileva uno studio fotografico in via Galilei dove, da subito, mette in mostra il suo talento, con servizi fotografici di alto livello. Viene poi chiamato da “ll Messaggero” di Roma che gli affida l’incarico di fotoreporter per le pagine di Pescara e Provincia. Collabora con la redazione de “Il Tempo” e viene poi assunto come fotografo da “ll Resto del Carlino”. Fotografo eclettico riesce a dare il massimo nei servizi fotografici riguardanti teatro, concerti, jazz e cultura in generale ma anche nello sport e nella moda. Partecipa al concorso fotografico per il 50° anniversario del Comune di Pescara e vince il 1° Premio. Nell’anno 1974 Lucio Fumo, responsabile del Festival Jazz di Pescara, gli affida il compito di fotografo della manifestazione. Le sue immagini appaiono su tutte le riviste specializzate anche americane. 

Viene nominato fotografo ufficiale della Pescara Calcio negli anni delle tre promozioni in serie A. Fotografo della mondanità pescarese negli anni ’70 e ’80 è testimone di questi anni insieme alla sua inseparabile macchina fotografica, fermando immagini di storie belle e meno belle della vita di Pescara e dei pescaresi e conoscendo personaggi del cinema, teatro e sport dell’epoca. Riceve diversi riconoscimenti tra cui il secondo premio per il concorso sulla “Porta del Mare”. E’ il fotografo ufficiale del Primo Giro ciclistico d’Abruzzo a tappe e fotografo di scena nel film “La sposina” girato a Pescara. La sua curiosità e creatività lo portano ad affacciarsi anche al mondo del teatro e, dopo aver frequentato un corso di dizione e recitazione con Antonio Calenda, nel 1980 entra a far parte della compagnia “Giovani oggi” di Pescara. Trasferitosi a Spoltore nel 1985 il suo entusiasmo coinvolge i giovani del paese con i quali organizza spettacoli teatrali a cui partecipa sia come attore che come regista. La sua passione per la fotografia lo spinge ad insegnare quest’arte ai bambini della Scuola Elementare del paese, affascinato dal gran desiderio di trasmettere alle giovani generazioni le proprie conoscenze.

Espone il suo ricco patrimonio fotografico in diverse mostre personali. Da una sua idea nasce il 1° Concorso fotografico “L’aratro d’oro” a Cavaticchi di Spoltore. Attualmente si dedica a letture di brevi racconti e poesie, con la predilezione per i versi di D’Annunzio che lo affascinano per la loro musicalità. Contemporaneamente il suo animo romantico e poetico ed il suo occhio fotografico sempre attento, lo portano a catturare immagini del mare e delle campagne del nostro Abruzzo, riscoprendo la dolcezza delle nostre colline dalle forme sinuose ricche di vibranti sfumature cromatiche e la particolare bellezza delle coste chietine disseminate di trabocchi da Ortona a Punta Aderci di Vasto.



INTERVISTA AL FOTOGRAFO.

Quando un raggio di sole, da un cielo coperto, cade su un vicolo squallido, 
è indifferente che cosa tocca: il coccio di una bottiglia per terra, 
il manifesto lacerato sul muro, o il lino biondo della testa di un bambino. 
Esso porta luce, porta incanto, trasforma e trasfigura.

Hermann Hesse


Come si è avvicinato alla fotografia? 

Naturalmente, sin dall’età di dodici anni ho cominciato a maneggiare le prime macchine fotografiche perché ne ero incuriosito, poi per personale attitudine e inclinazione verso questa arte, a sedici anni ne ho iniziato lo studio, acquisendo nozioni ed esperienze e sviluppando le mie potenzialità.


La fotografia per lei che cos'è?

Non solo è un modo di fermare la realtà che ci circonda ma è una forma d’arte che mi permette di esprimere la mia interiorità: le mie sensazioni, emozioni, suggestioni e vibrazioni dell’anima.


A proposito di colori lei preferisce il bianco e nero o il colore?

Ho sempre distinto il bianco e nero dal colore. Sono due modi differenti e diversi di fotografare: dipende dal soggetto, dagli elementi che si desiderano raffigurare. Il bianco e il nero è il mezzo tecnicamente più impegnativo e artistico e si adatta ai volti, ai mezzo busti e agli ambienti e crea un gioco di luci che meglio esalta le caratteristiche somatiche e le immagini. Il colore invece fa parte dell’esistenza in quanto noi vediamo a colori e rispecchia la vita reale.


Ha dei modelli, dei maestri?

Non ho modelli di riferimento, non ho mai imitato fotografi importanti, ma ho attinto da questi nozioni e tecniche per creare immagini confacenti alle mie esigenze personali di raffigurazione di soggetti e paesaggi.

E lei si sente un maestro?

Non mi sento un grande maestro ma semplicemente un insegnante che è affascinato dal desiderio di trasmettere le sue esperienze e le sue tecniche ai giovani.


Lei è stato fotoreporter per importanti giornali. Queste esperienze hanno influenzato il suo approccio all’attività più strettamente artistica?

Sì, avendo lavorato per Il Messaggero, Il Resto del Carlino e Il Tempo ho avuto esperienze formative basilari per la mia formazione professionale che hanno sicuramente determinato e sviluppato il mio senso artistico.

L’occhio con il quale fotografa i diversi luoghi cambia in funzione del soggetto, oppure i suoi scatti riflettono tutti una sua personale poetica?

L’occhio con il quale riprendo le immagini, i paesaggi, cambiano a seconda della luce, del soggetto e della situazione. Lavorando solo in esterni, non in uno studio, la fonte di luce è una sola e non sempre disponibile. Bisogna sapere in anticipo quando ci sarà, di conseguenza occorre recarsi sul luogo delle scene da fotografare per valutare se è quella adatta alla realizzazione delle immagini. In queste situazioni diventa esaltante cogliere l’attimo. È proprio in tali circostanze che si manifesta quel non so che di magico che ci consente di trasfigurare piuttosto che riprendere semplicemente una porzione di territorio. Ed è così che si può catturare l'anima dell'ambiente che ci circonda, che non è altro che il riflesso della nostra anima.


Quali sono i suoi soggetti preferiti?

Il mare e la campagna della mia terra. Questa scelta deriva da un’esigenza del mio carattere, dal mio modo di essere, non è una ricerca ma è insito nel mio animo. Il mare con il suo rumorio, il colore che cambia a seconda della luce, le sue caratteristiche mutevoli: selvaggio, forte, allegro, tranquillo, burbero, arrabbiato, rispecchia la mia indole. Mi affascina, soprattutto d’inverno, quando le onde impetuose si infrangono sulle rocce con i suoi zampilli schiumosi che bagnano la vegetazione selvatica sull’arenile. Adoro anche la campagna d’Abruzzo, dalle stupende immagini come le calde sfumature dei tramonti, i tagli dei terreni appena arati intramezzati dalla vegetazione e da tutte le sue componenti: alberi, fiori, farfalle…Anch’essa come il mare è parte di me, mi appartiene perché delicata, riposante, poetica: in questi elementi mi sento fotografo ma anche poeta.



Perché è così speciale la fotografia di paesaggio e, soprattutto, cosa è realmente la fotografia di paesaggio?

Per me è assolutamente speciale perché fa sì che io mi immerga nella natura dove il mio occhio e la mia macchina fotografica possono spaziare per coglierne i vari elementi: pianure, colline, alberi, fiumi, laghi, mare con i loro colori. Ma preferisco fermare le immagini in primavera e in autunno quando i contorni non sono tenui e sfumati ma ricchi di vibranti tonalità cromatiche.

La sua arte è in continua evoluzione? Quali sono attualmente le sue fonti di ispirazione?

Attualmente , dopo tanti anni dedicati alla fotografia di paesaggio, ho scoperto un modo nuovo di espressione fotografica lo “still-life” , che mi permette di ritrarre oggetti inanimati: frutta, ortaggi fiori, piccole composizioni a distanza ravvicinata. Sollecitato dalla mia fantasia cerco di cogliere la direzione del fascio di luce per convogliarlo sull’oggetto; questa mia personale lettura mi sta rivelando un mondo affascinante e fantastico a cui mi sto dedicando con grande emozione e che cerco di far conoscere a quanti sono appassionati alla fotografia.






























Intervista a cura di Elisabetta Mancinelli

email: mancinellielisabetta@gmail.com


Recapito:



lunedì 28 ottobre 2024

L'Abruzzo da scoprire: Rocca San Giovanni e la sua stupenda costa sui travocchi.


Rocca San Giovanni, è un borgo medievale situato su uno sperone roccioso tra la foce del fiume Sangro e quella del torrente Feltrino in provincia di Chieti. Dall'alto dei suoi 155 metri sul livello del mare domina la terra circostante ricca di torrenti , rigogliosa di vegetazione e di colture di agrumi, cereali e vigneti.

Il Borgo di Rocca San Giovanni è stato certificato come uno dei "BORGHI PIU' BELLI D'ITALIA".

Si tratta di un prestigioso attestato dell'A.N.C.I. che conferma il patrimonio architettonico e storico di questo villaggio, che ha conservato, nei secoli, una ricchezza di reperti e testimonianze delle origini.

 

LA STORIA

La storia e le origini di questo centro sono strettamente legate alla vita dell’Abbazia di San Giovanni in Venere. Il primo documento storico in cui viene menzionato l’abitato è un diploma del 1 marzo del 1047 dell’ imperatore Enrico III indirizzato appunto al monastero di San Giovanni in Venere.

L’antico borgo fu fondato nell’ XI sec. da Oderisio I abate di San Giovanni in Venere che fece edificare il castello e pensò di raggruppare le popolazioni sparse per i casolari campestri in una cinta di mura con lo scopo di dare rifugio, in caso di incursioni , sia agli abitanti che ai monaci intorno a Rocca. Inoltre l’abate inizia la costruzione di monumenti e chiese tra cui la Parrocchiale di San Matteo.

Nel 1195 Rocca San Giovanni passò all’Abate Oderisio II, considerato uno dei migliori nel governo del Monastero, tanto che per i suoi meriti insigni fu nominato Cardinale. Agli inizi del 1200 ingrandisce l’abitato, espande le mura rendendole più possenti, fa costruire tre torri quadrangolari e completa la parrocchiale di San Matteo.
Tra il 1346 e il 1381 l’abbazia di San Giovanni in Venere e la Rocca, in lotta con Lanciano, vivono momenti difficili, che si concludono con l’incendio del borgo.
Poi nel 1456, un forte terremoto rade al suolo buona parte delle abitazioni e della cinta muraria. Nel 1530 i pirati turchi compiono incursioni nel paese facendo prigionieri dei giovani, allora Rocca si munisce di torri di avvistamento per prevenirne le loro scorribande. Ma un altro forte terremoto nel 1627 porta morte e distruzione. La cinta muraria viene poi ricostruita ad opera dei Benedettini che si prodigano molto nel loro restauro. ll borgo partecipa ai moti carbonari, ai quali seguono anni di dura repressione.

Giustino Croce, nato a Rocca nel 1838, fu un patriota che si impegnò con grande coraggio alla diffusione degli ideali di un’Italia unita presso le classi meno agiatee nel 1860guida l’insurrezione popolare e strappa il vessillo borbonico. Gli eventi post-unitari furono notevolmente influenzati dalla presenza della famiglia di Giustino Croce e di suo figlio Ettore, infatti a Rocca San Giovanni si costituì un forte contingente di volontari della guardia nazionale che diedero un notevole contributo alla lotta al brigantaggioe si fece promotore per la costruzione del Palazzo municipale di Piazza degli Eroi e per l’apertura della prima scuola elementare in provincia di Chieti indirizzata ai ragazzi analfabeti delle campagne. Morì a Rocca a 55 anni.

Nel mese di aprile del 2011 è stato a lui intitolato il Palazzo Civico su cui è stata apposta una targa in suo onore. Rocca fu pesantemente coinvolta dagli eventi bellici dell’inverno 1943, che portarono alla distruzione di molte case e dell’antica torre a sud del paese, mentre la Chiesa, il campanile e il camposanto furono danneggiati gravemente dagli attacchi aerei. La diffusione del fascismo, dopo il 1922, fu ostacolata dal deputato comunista Ettore Croce figlio di Giustino.

Rocca fu pesantemente coinvolta dagli eventi bellici e liberata da un contingente di truppe canadesi il 3 dicembre 1943, dopo la sanguinosa battaglia del fiume Sangro. Il dopoguerra venne contraddistinto dalla presenza, quale amministratore pubblico dal 1956 al 1976 del dott. Francesco D’Agostino, medico e fondatore della Cantina Sociale “Frentana” . 


IL CENTRO STORICO

Il cuore il “salotto” del paese l’elemento che lo caratterizza e che colpisce il visitatore è l’elegante Piazza degli Eroi considerata la più bella della provincia con il complesso parrocchiale di San Matteo Apostolo, l’attigua torre campanaria e il Palazzo municipale.

La creazione di una piazza centrale grandiosa ed armonica fu concepita nel 1862 demolendo le antiche abitazioni e progettando un Palazzo municipale che doveva superare in altezza la Chiesa parrocchiale per indicare la superiorità del potere civile su quello religioso.

La arredano il complesso parrocchiale di San Matteo con l’attigua Torre campanaria del XIII secolo a pietra viva dalla forma slanciata, unica superstite delle tre antiche torri quadrangolari raffigurate anche sullo stemma del paese e il Palazzo Municipale del XIX secolo di ispirazione classica, sede di un’interessante raccolta di opere d’arte. Discendendo lungo il corso attraverso piccoli pittoreschi vicoli, che un tempo pulsavano di vita, si raggiunge una splendida terrazza panoramica dalla quale è possibile ammirare la valle sottostante 

LA CHIESA PARROCCHIALE

La Chiesa parrocchiale di San Matteo Apostolo, fatta edificare dall’abate Odorisio in stile romanico, è ancora dotata delle originarie arcate gotiche, la sua struttura attuale, risale al 1200.

L’interno si compone di tre navate divise da piloni che sorreggono cinque arcate a sesto acuto per lato e termina ad absidi semicircolari, come a San Giovanni in Venere. Le arcate sono a doppia ghiera, secondo l’uso del tempo; la zona presbiterale, è anch’essa di costruzione moderna, essendo sparita ogni traccia delle antiche absidi. All’interno sono conservati: una statua lignea della Madonna delle Grazie del secolo XIX, una tela Madonna col Bambino di scuola bizantina del XIV secolo e l’affresco dell’Ultima Cena di Amedeo Trivisonno. Per le sue caratteristiche interne la Chiesa di Rocca San Giovanni rimane unica nel suo genere nella zona frentana.

IL PALAZZO MUNICIPALE

La sua costruzione fu iniziata nel 1862 dopo l’unità d’Italia. Di ispirazione classica fu costruito per riaffermare la rinascita delle istituzioni civiche e possiede una caratteristica unica nella provincia di Chieti: è l’unico edificio comunale che e’ stato costruito per fungere effettivamente da Municipio.


Il palazzo è ad impianto quadrato ed in stile neomedievale lombardo. Al pianterreno è sito un porticato costituito da tre archi a tutto sesto, al primo piano tre aperture con arco sempre a tutto sesto, immettono al balcone con balaustra traforata. La parte centrale della facciata è leggermente avanzata rispetto al resto dell'edificio ed è realizzata in blocchi squadrati di arenaria. All'interno una imponente scalinata d’onore immette nell’ampia sala consiliare. Dal 2001 all'interno vi si svolge una mostra di arte contemporanea che raccoglie sculture, pitture ed incisioni poste sullo scalone interno principale e nella sala consiliare.  

LE MURA

Le mura a scarpa in ciottoli di pietra circondavano un tempo l’intero borgo medievale di Rocca San Giovanni e costituivano la cinta fortificata che offriva riparo alle popolazioni del circondario in caso di assedio.

Resti significativi delle imponenti mura della Rocca, culminanti con l’ancora ben conservato Torrione dei Filippini, sono posti lungo via abate Odorisio e testimoniano l’antica funzione del paese: una rocca a difesa dell’abbazia di San Giovanni in Venere.

Delle mura restano oggi solo alcuni avanzi nella parte orientale, che ricostruite nel 1628, sono state successivamente restaurate nel 1970 mentre le altre mura furono abbattute per dar modo al paese di estendersi e abbellirsi. 

IL MARE DI ROCCA SAN GIOVANNI

Rocca San Giovanni non solo è uno dei borghi più affascinanti della costa abruzzese, ma possiede un lido che per la limpidezza delle sue acque ha meritato più volte la Bandiera Blu d’Europa e anche quest'anno ha avuto le 4 vele di Legambiente. Il punteggio le è stato assegnato non solo in base alla qualità delle acque ma anche in base ad altri elementi come la valorizzazione del paesaggio e dei prodotti tipici, la qualità dell’aria e dell’ambiente.


L’aspetto più affascinante di Rocca San Giovanni è quello dei profumi che raggiungono ogni angolo del paese: ulivi, arance, nespole ma anche pini, ginestre e finocchio selvatico che dalle spiagge salgono su per i sentieri verso la collina.

Due sono i sentieri più caratteristici:

Il sentiero della Pineta in un km e mezzo di passeggiata conduce dalla Pineta al Fosso delle Farfalle, passando attraverso un ruscello, piccoli laghetti e una folta vegetazione.
Il Sentiero della Fonte segue il cammino che le donne percorrevano per andare alla Fonte a lavare e rifornirsi d’acqua.

Il lido di Rocca San Giovanni è caratterizzato inoltre da scorci suggestivi sul litorale con sinuose insenature e piccole candide spiagge ciottolose tra cespugli di ginestre e fazzoletti di terra coltivati. La più grande è quella in località la “Foce”: un piccolo gioiello costiero raggiungibile svoltando al chilometro 484-IV della Statale 16 che corre rettilineo per oltre 600 metri e si stende tra l'antico borgo di Vallevò e Punta Torre, dove sorge l'omonimo Trabocco ancora utilizzato per la pesca di novellame e cefali.

Vallevò è uno degli angoli più pittoreschi della costa abruzzese è un lembo di terra stretto fra un mare limpidissimo e morbide colline che si raccoglie in una manciata di case basse affacciate sugli orti, alcuni Trabocchi, e un porto domestico popolato da piccole barche e numerose trattorie che preparano ottime pietanze con il pescato locale. L’entroterra di Vallevò, al pari della costa, offre notevoli motivi di interesse: la morfologia del suolo è infatti caratterizzata dalla presenza di avvallamenti, i cosiddetti Fossi, disposti perpendicolarmente alla costa e solcati da torrenti che ospitano, tra la vegetazione, delle grotte naturali, che furono, durante la guerra, sicuri nascondigli per partigiani e sfollati. Il fosso più interessante nella zona di Vallevò è certamente quello delle Farfalle che segna il confine comunale tra i territori di San Vito e Rocca San Giovanni. Al suo interno, in cui scorrono acque perenni alimentate da piccole sorgenti, è racchiuso uno scrigno inaspettato di bellezze e valori naturali di grande interesse. L’alta e costante umidità permette lo sviluppo di una vegetazione rigogliosa tipica delle più ampie vallate fluviali, ricca di specie arboree e arbustive come pioppi, salici, olmi ma anche il più raro ontano nero e la farnia, una quercia dalle spiccate caratteristiche igrofile. Per quanto concerne il regno animale, invece, comuni sono i mustelidi, in particolare la faina e il tasso, e i piccoli roditori come il moscardino e il topo quercino. Particolare interesse riveste la presenza dell’ormai raro granchio di fiume, il Potamon fluviatile.

 


LIDO: Cavalluccio

Un’altra spiaggia del Comune di Rocca San Giovanni, tra le più belle della Costa dei Trabocchi è quella del Cavalluccio, a metà strada tra Vallevò e Fossacesia Marina; la baia è facilmente raggiungibile: dalla SS 16 seguendo le indicazioni per l’omonimo ristorante "Il Cavalluccio". La spiaggia, lunga circa trenta metri e larga quattro, per lo più sabbiosa, è caratterizzata da un Trabocco ancora in uso e da un grande faraglione chiamato lo scoglione. Sulla sinistra, raggiungibile a nuoto, una caratteristica rimessa per piccole imbarcazioni e tre lunghe scogliere. Alle spalle della baia, imponente, il promontorio sale in verticale verso il cielo offrendo al visitatore uno spettacolo indimenticabile.

EVENTI TRADIZIONI

Il 9 e 14 Agosto si celebrano la festa della natura, la giornata dell'emigrante e il festival della fisarmonica. Rocca San Giovanni è molto frequentata, soprattutto d'estate per i molti eventi musicali teatrali e religiosi che vi avvengono e per le bellissime e grandi spiagge che accolgono i turisti amanti del mare e quelli curiosi di conoscere l'arte della pesca per mezzo dei caratteristici trabocchi. 

I PRODOTTI

Denominata città del Vino, Rocca vanta due cantine La Frentana e la Cantina San Giacomo che producono vini Doc Montepulciano d’Abruzzo e Trebbiano d’Abruzzo. Se i vigneti si perdono a vista d’occhio, gli ulivi non sono da meno: dalle olive Gentile di Chieti si ricava l’olio Dop: Colline Teatine, un fruttato dai sentori erbacei e di colore verde oro. La Costa dei Trabocchi, regala inoltre una varietà tipica di arance.

PIATTO TIPICO

Acciughe o sardine, mollica di pane, aglio, prezzemolo e olio extravergine di oliva sono gli ingredienti per preparare la “palazzole”, piatto tipico della tradizione marinara locale. Il pane va sbriciolato, si tagliano prezzemolo e aglio, si dispone il pesce a strati alternando gli ingredienti e si inforna.

 

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli

email: mancinellielisabetta@gmail.com


venerdì 25 ottobre 2024

TORTORETO ALTA: un piccolo borgo d’arte.


La cittadina di Tortoreto in Abruzzo è ricca di storia ed arte. Il ritrovamento di resti di villaggi abitativi e di resti di sepolture dà prova del fatto che il territorio di Tortoreto era sicuramente abitato sin dal V millennio a.C. Le sue origini tuttavia risalgono all'epoca romana per un fenomeno di migrazione degli abitanti della costa verso la collina, per rifugiarsi dai pericoli delle aggressioni nasce la "Castrum Salini" di cui parla Plinio II il Vecchio. Salendo dal Lido verso Tortoreto Alta, ai piedi della collina, lungo la strada provinciale, nella zona denominata "muracche" sono venuti alla luce ruderi di una villa di età romana che certamente non è l'unica nella fascia collinare. All'epoca il mare arrivava a lambire la collina e dunque si trattava di una vera e propria villa con vista sul mare con il pavimento a mosaico ed una parte retrostante riservata alle attività agricole. Altre testimonianze di epoca romana sono state individuate nel territorio comunale in contrada Terrabianca : cisterne per la raccolta di acqua piovana e una necropoli e vari oggetti di uso quotidiano quali anfore, monete ed utensili.


IL CENTRO STORICO
Il nucleo storico di Tortoreto Alta, sorse nel periodo pre-medievale. Il luogo, secondo quanto afferma papa Gregorio in una lettera del 602, era ricco di boschi ed adatto alla nidificazione delle tortore, da qui il nome Turturitus (tortore). Situato a 227 mt. sul livello del mare conserva ancora la sua struttura di borgo medievale: una fortezza centrale circondata da alte mura di cinta su cui si alza una magnifica torre la Torre dell'Orologio. Il Torrione, le porte di accesso, le rue strette, il ponte con le caratteristiche volte, testimoniano l’esistenza del castello di Tortoreto. Il centro storico è suddiviso in tre parti: TERRAVECCHIA, TERRANOVA ed il BORGO.

Terravecchia rappresenta il nucleo più antico di Tortoreto, ricostruita, con ogni probabilità, sulle rovine di “Castrum Salini”, divenne un castello fortificato con il ponte levatoio (del quale rimangono le feritoie nella parte anteriore della Torre dell’Orologio), le mura, le torri, i cunicoli sotterranei ed i palazzi del feudatario, le chiese e le abitazioni dei nobili.

Terranova era il castello nuovo con poche porte di accesso, i torrioni agli angoli della città per la difesa e le rue strette per destinare maggiore spazio alle abitazioni.

Il Borgo si sviluppò fuori le mura del castello intorno al 1400, su un crinale e in senso perpendicolare rispetto alla costa: terminava con una terrazza naturale che si affacciava sul mare. Durante il MedioEvo, Tortoreto diviene feudo sotto i normanni; si succedono diversi feudatari fino a quando il territorio dalla fine del 1300, passa sotto il controllo dei duchi Acquaviva. Al termine del loro dominio , Tortoreto passa sotto il controllo del Regno di Napoli fino al 1860, anno dell’Unità d’Italia . Dopo il medioevo, la popolazione inverte il flusso migratorio poiché viene a mancare la necessità di fortificarsi. Si comincia pertanto a costruire nella zona pianeggiante della costa ed intorno al 1800 sorse il primo nucleo abitativo di Tortoreto Lido, lungo l’attuale via Carducci che da Tortoreto Alta porta al mare.

Un gioiello pittorico: La Cappella della Madonna della Misericordia.

Il piccolo borgo di Tortoreto alta, dall’aspetto medioevale, custodisce un autentico gioiello pittorico rinascimentale: la cappella della Madonna della Misericordia: un oratorio, a breve distanza dalla chiesa parrocchiale del paese dedicata a San Nicola di Bari. È il monumento più pregevole della cittadina. Esempio di pittura marchigiana del ’500 in Abruzzo, la cappella della Madonna della Misericordia fu forse eretta, secondo una tradizione locale, nella prima metà del XIV secolo dopo la terribile peste nera che decimò la popolazione europea nel 1348, menzionata anche dal Boccaccio nel Decamerone. Fu edificata come ringraziamento alla Madonna per aver liberato Tortoreto dalla tremenda epidemia, ma la storica Magnanimi la assegna ai primi decenni del XVI secolo: la sua ipotesi tutta rinascimentale sarebbe confermata dall’impianto geometrico della cappella più orientato verso un gusto cinquecentesco.

La cappella ebbe nei secoli un’importanza fondamentale non solo per i tortoretesi ma anche per i pellegrini e gli abitanti dei paesi vicini. Questo viene è documentato da un’altra pestilenza del 1527 e da quanto riferitoci da Vincenzo Bindi ( Monumenti storici e artistici degli Abruzzi, II, Napoli 1889) : “A Santa Maria della Misericordia ricorsero in tale congiuntura tristissima (peste del 1348) i fedeli, e Campli, Teramo, Bellante, Forcella alla celeste Diva innalzarono templi, con confraternite, ospedali ed opere di carità; e tra questi templi, il più cospicuo fu quello di Tortoreto, che manteneva a sue spese un Ospedale e stipendiava dieci cappellani”. Il vicino ospedale era gestito dalla confraternita di Santa Maria della Misericordia e probabilmente tale struttura assistenziale esisteva ancora agli inizi del XIX secolo.


La cappella, di modeste dimensioni, ha una forma rettangolare a navata unica absidata e la facciata, con mattoni a vista e tetto a capanna, presenta un grazioso ma semplice portale in travertino; l’abside invece, è poligonale e suddivisa in nove spicchi esterni. Appena varcata la soglia dell’oratorio si è invasi da un senso di bellezza e misticismo: tutto l’interno dell’edificio è ricoperto di meravigliosi affreschi cinquecenteschi con episodi della Vita e della Passione di Cristo e santi cari alla devozione popolare. Sull’attribuzione del ciclo si è dibattuto a lungo, proponendo il nome del marchigiano Martino Bonfini che li avrebbe eseguiti nel XVII secolo, ma la firma presente nel lunettone della controfacciata indica: “(jacobu)s bonfinus de patrignono (pinxit anno domini md)xxvi die vero mensis septembris”. La paternità degli affreschi è attribuita alla mano di Giacomo Bonfini da Patrignone di Montalto Marche (FM), nativo di Ascoli Piceno e antenato del già menzionato Martino.
La data tuttavia, lascia delle incertezze: non si comprende se indichi l’inizio o il termine dei lavori: l’anno comunque è quasi certamente il 1526.

Lungo le pareti laterali, a partire da sinistra, nella prima campata compare una lacunosa Orazione di Cristo nell’Orto degli Ulivi, seguita dall’episodio della Cattura di Cristo; nella doppia lunetta della controfacciata sono raffigurati Cristo davanti a Caifa e la Flagellazione, mentre in quella contigua troviamo l’Incoronazione di spine, un Ecce Homo e un piccolo riquadro con la Salita al Calvario. Il carattere drammatico degli episodi rappresentati e il colore, sobrio ma elegante, mette ben in risalto gli incarnati dei volti e delle mani dei personaggi sacri con naturalezza, armonia e fusione di tinte cromatiche. La disposizione delle figure è così voluta per accentuare il pathos e la carica emotiva nei confronti dei fedeli. Nella parete destra compaiono , una splendida Natività, molto vicina per caratteristiche e influssi pittorici alla pittura umbra, con particolare riferimento a Pinturicchio, una Santa Caterina d’Alessandria, riconoscibile dalla grande ruota dentata postale accanto (strumento del suo martirio) , e un San Rocco di Montpellier : la presenza di questo pellegrino francese del XIV secolo, all’interno della cappella, è strettamente connessa al culto della Madonna della Misericordia, che assieme al santo e a San Sebastiano è invocata come protettrice contro la peste e le epidemie. Nella parete sinistra troviamo ancora un San Rocco, una bellissima Madonna della Misericordia di gusto e stile raffinatissimo che si avvicina a quello tardogotico; ai suoi piedi sono rappresentati i confratelli incappucciati, soci del pio sodalizio a lei dedicato, un Sant’Antonio di Padova e un San Giobbe, patrono dei lebbrosi e simbolo della futura risurrezione dei corpi.

Nel grande spazio absidale, quasi come in un grande trittico, sono rappresentati i tre episodi conclusivi della Passione: l’Inchiodatura di Cristo alla croce, il Calvario con l’Addolorata, San Giovanni, le pie donne e San Francesco d’Assisi e la Deposizione. Il Calvario offre un presunto scorcio panoramico di Tortoreto Alta (come si presentava all’epoca del Bonfini), nel quale si riconoscono i campanili, le mura difensive e le porte della cittadina che si staglia sullo sfondo del retrostante mar Adriatico. I tre affreschi si presentano come scenografiche macchine teatrali: la staticità della Crocifissione si contrappone alle dinamiche e coinvolgenti scene laterali, che inducono chi guarda ad un raccoglimento mistico. In alto, nella calotta absidale, sei angeli recano i simboli della Passione e cartigli inneggianti al sacrificio di Cristo. Al centro della volta dai colori vivaci appare, all’interno di un’ampia mandorla, il Risorto attorniato da angeli e nuvole in movimento; nei pennacchi i quattro Evangelisti con i simboli, seduti sopra piccole nubi e la raffigurazione personificata della Bibbia.


I documenti e le immagini sono tratti dall’Archivio di stato e da “Tesori d’Abruzzo”.

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli

email:mancinellielisabetta@gmail.com