mercoledì 28 agosto 2019

L'ANGOLO DELLA MITOLOGIA

DEMETRA  O  CERERE ANTICA  DEA  DELLE  MESSI 
Demetra figlia di Cronos e di Rhea Cibele,  sorella di Giove che i romani identificarono con la loro Cerere, era la dea dell'agricoltura, una delle divinità maggiori e più venerate. Demetra, protettrice dei campi e delle messi, in greco "la madre Terra", veniva venerata come madre benigna e affettuosa. Aveva un carattere semplice, una  morale ineccepibile, ed era austera nei costumi.                                                 
Riceveva grandi onori dagli antichi,  poiché  aveva concesso grandi  benefici agli uomini che un tempo erano selvaggi, abitavano nelle selve, vivevano della carne delle belve e ignoravano le leggi e la coltivazione dei campi. La Dea cambiò le loro abitudini; facendo conoscere con saggia cura la coltivazione dei campi e delle piante. In tale modo gli uomini raccolsero utili frutti e abbondanti messi e  situarono stabili dimore nei villaggi e nelle città.
Demetra veniva raffigurata come una matrona severa e maestosa, ma anche bella ed affabile, con una corona di spighe in testa, una fiaccola in una mano e nell'altra un cesto di frutta. Le venivano sacrificati buoi, mucche e maiali, e le si offrivano frutta e miele. Le erano sacri i papaveri, gli alberi da frutta e le spighe.
A Roma il 12 aprile, si celebravano le feste in suo onore dette Cerealia.
Demetra o Cerere rappresenta l'energia materna per eccellenza, la vera nutrice e protettrice dei giovani Proteggeva tutti i prodotti agricoli, ma in particolar modo quelli ritenuti più importanti, le biade e i cereali. Il suo culto era molto diffuso in Tessaglia, nella Beozia, nell'Attica, a Corinto e in tutto il Peloponneso fino ad arrivare in Sicilia, che per la sua fertilità divenne la dimora preferita dalla dea.
Ebbe una figlia da Zeus: Persefone, per i romani Proserpina. Il mito del ratto della figlia Persefone
Persefone, unica figlia di Demetra, cresceva, giovinetta felice, insieme a sua madre e le altre dee, finché un giorno, Ade dio degli Inferi se ne innamorò e la rapì. Mentre stava raccogliendo dei gigli in un campo, improvvisamente la terra si aprì sotto i piedi della fanciulla, ed Ade la trascinò con sé nel suo mondo delle ombre e dei morti. Quando Demetra si accorse che la figlia era scomparsa, cominciò a cercarla ansiosamente, giorno e notte, per mari e per monti.                                                     
Ma nessuno fu in grado di aiutarla. Quando Elio, il Sole, le rivelò la verità, Demetra divenne talmente furiosa da abbandonare il suo posto ed i suoi doveri sull'Olimpo e andò a servizio da Celeo, re d’Eleusi. Mentre ella si trovava lì, la terra s’inaridì, le gemme appassirono, nessun albero fiorì o diede frutti, e l’Umanità soffrì la fame. Fu allora, che Zeus ordinò ad Ade di rimandare Persefone a casa, poiché Demetra aveva fatto in modo che dalla terra non nascesse più neanche un chicco di grano.     
Ade obbedì, ma prima di rinviare sua moglie sulla terra, fece in modo che ella ingoiasse un seme di melagrana; abbastanza da legarla al mondo sotterraneo per sempre. Quindi il dio degli Inferi stipulò un contratto con Demetra: per otto mesi l’anno, Persefone poteva vivere sulla terra con sua madre e, per gli altri quattro, sarebbe restata nell’Ade, con suo marito. Demetra fu d’accordo ed in breve, i campi si riempirono di grano, le piante rifiorirono, la terra divenne un tappeto di fiori, e gli alberi si riempirono di frutti. Fin d’allora, tutto è verde e fertile per otto mesi l’anno. Ma per i quattro mesi, durante i quali Demetra perde sua figlia, è come se la natura fosse morta.
Questa antica storia mitologica greca della grande dea Demetra è un’evidente metafora del volger delle stagioni, ma rappresenta anche un tenero archetipo del legame tra madre e figlia.


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Il ratto di Europa: un mito dall'eterno fascino.

Europa era una giovane e bella ragazza su cui Zeus pose il suo sguardo e quella passione divenne per sempre un mito.
Principessa, figlia del re di Tiro Agenore, amava vivere e giocare con le sue amiche in spiaggia e guardare il mare azzurro. Poi un giorno la vide il potente Zeus, il padre di tutti gli dei, “quello che ha la destra armata di fulmini a tre punte”. sposato con Era, ma pure un indomito fedifrago. Infatti si innamorò spesso: di Leda, Semele, ma anche di dee come Demetra, Maia. Per conquistarle non disdegnava qualsiasi tipo di trasformazione o di inganno, celebre, ad esempio, la metamorfosi in cigno per sedurre la bella Leda. Di queste passioni passeggere, talvolta si confida con Era, chiedendole anche dei consigli. Ma lei, non di rado, stanca delle continue infedeltà del marito. reagisce, non da divinità ma come la più gelosa delle mogli terrene.Una volta, come racconta Robert Graves nel suo: “I miti greci”, con l’aiuto di “Poseidone, Apollo e gli altri dell’Olimpo circondò Zeus all'improvviso, mentre dormiva e lo legò al letto con corde di cuoio, annodate cento volte, cosicché non si potesse più muovere”.

ZEUS E IL RAPIMENTO DI EUROPA.
Un giorno Europa con altre amiche, mentre gioca in spiaggia spensierata, ignara del destino che l’attende, viene rapita da Zeus, che di quella fanciulla si era invaghito. Per questo si trasforma, assumendo l’aspetto di un toro e, mescolato alle giovenche, si aggira aitante sulla tenera erba. Ovidio, nel secondo libro delle Metamorfosi, così lo descrive: “il suo colore è come quello della neve non calcata da passo pesante o sciolta dalle piogge dell’Austro; gonfio di muscoli è il suo collo, dalle spalle pende la giogaia; piccole corna, ma tali che potresti ritenerle fatte a mano, e più trasparenti d’una gemma pura”.
Ma il toro in cui si cela Zeus, non è aggressivo, Europa infatti, incuriosita da quell'insolito animale, gli si avvicina , rassicurata dalla mitezza dell’animale e non solo lo sfiora, ma gli porge dei fiori odorosi.
Si crea così l’idillio fra i due e. Zeus pregusta il piacere agognato “saltando gioioso sull'erba verde”. Gli iniziali timori di Europa ormai sono del tutto superati, tanto che la figlia del re, come racconta ancora Ovidio, “s’adagia persino sul suo dorso, senza sapere su chi siede. Allora il dio dalla terra asciutta della riva, “comincia a imprimere le sue mentite orme nelle prime onde e poi procede oltre e in mezzo alle acque del mare si porta via la sua preda”.
La fuga è repentina, Europa, terrorizzata si volge a guardare le amiche sulla riva, ormai lontana. Per non cadere, afferra con la mano destra un corno, mentre con la sinistra cinge la groppa, e il vento impetuoso le gonfia le belle vesti.
Il rapimento di Europa, che lo scrittore greco Luciano definisce dolce e amoroso spettacolo, si conclude a Cnosso, sull'isola di Creta.
Tanti artisti, tra cui Tiziano e Rembrandt, hanno eternato in dipinti straordinari il rapimento: .
Pseudo Apollodoro nella sua Biblioteca racconta che:
“Ella, dopo che Zeus giacque con lei, generò Minosse, Serpedonte e Radamanto”.
Ma Zeus, ben presto, lascia la povera Europa con i tre figli per tornare nell'Olimpo, non prima di trasformare il candido toro in una costellazione celeste. Ma, per cercare di rendere meno dura questa fuga, decide di fare omaggio alla ragazza di tre doni: Talos, un gigante di bronzo guardiano di Creta, un cane addestrato e un giavellotto dalla mira infallibile.
Europa poi conosce Asterione, re di Creta, che affascinato dalla bellezza della giovane la sposò e decise di adottare i tre figli “divini” per non perdere l’amata.Il mito del rapimento di Europa è il fondamento leggendario della migrazione da Oriente a Occidente, da Tiro a Creta, da una cultura a un’altra.
Nel 1610 Galileo, scrutando il cielo, scoprì quattro dei Sessantasette satelliti di Giove, il pianeta più grande del nostro sistema solare. Uno di questi, fu chiamato Europa.

Ricerca storiografica a cura di Elisabetta Mancinelli.
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La leggenda di Eco e Narciso

Nell'antica  Grecia, Cefiso, il dio delle acque, rapì la ninfa Liriope.             
Si amarono teneramente e dalla loro unione nacque un figlio che fu chiamato Narciso. Gli anni passarono e Narciso divenne un bellissimo ragazzo. Liriope volendo salvaguardare la bellezza del giovinetto; si recò  dall'astrologo Tiresia che, dopo aver consultato l'oracolo, le disse: “Narciso vivrà molto a lungo e la sua bellezza non si offuscherà ma non dovrà più vedere il suo volto. La profezia di Tiresia si avverò: Narciso restò per sempre adolescente, mantenendo  intatta la  sua bellezza che attraeva teneramente le ninfe che l'avvicinavano.
Ma lo splendido ragazzo sfuggiva il mondo e l'amore e preferiva trascorrere il tempo passeggiando da solo nelle foreste sul suo cavallo oppure andando a caccia di animali selvatici.
Un giorno, mentre cacciava, sentì rimbalzare tra le gole della montagna una voce che si esprimeva in canti e risate. Era  Eco, la più incantevole delle  ninfe della montagna che, al solo vederlo, s'innamorò perdutamente di lui. Ma Narciso era tanto  superbo della propria bellezza, che gli pareva cosa di troppo poco conto occuparsi di una semplice ninfa. Non così era per Eco che da quel giorno seguì il giovinetto ovunque andasse, accontentandosi di guardarlo da lontano. L'amore e il dolore la consumarono: a poco a poco il sangue le si sciolse nelle vene, il viso le divenne bianco come neve e, in breve, il corpo della splendida fanciulla divenne trasparente al punto che non proiettava più ombra sul suolo.
Affranta dal dolore si rinchiuse in una caverna profonda ai piedi della montagna, dove Narciso era solito andare a caccia. E lì con la sua bella voce armoniosa continuò a invocare per giorni e notti il  suo amato. Inutilmente perché Narciso, che pur udiva l'angoscioso richiamo, non venne mai.
Della ninfa rimasero solo le ossa e la voce. Le ossa presero la forma stessa della cava roccia ove il suo corpo era rannicchiato e la voce visse eterna nella montagna solitaria.
Da allora essa risponde accorata ai viandanti che chiamano. Ma è fioca e lontana e ripete perciò solo l'ultima sillaba delle loro parole: ha perduto la sua forza invocando Narciso l’insensibile cacciatore che non volle ascoltarla. Ma lui non ne fu affatto addolorato e continuò la sua vita appartata. Fu allora che intervennero gli dei per punire tanta ingratitudine.
Un giorno, mentre il superbo giovinetto si bagnava in un fiume, vide per la prima volta riflessa nell'acqua limpida l'immagine del suo viso. Se ne innamorò perdutamente e per questa ragione tornava di continuo sulle rive del fiume ad ammirare quella fredda figura.                               Ma ogni volta che tendeva la mano nel tentativo di afferrarla, la superficie dell'acqua s'increspava, ondeggiava e l'immagine spariva.
Una mattina, per vederla meglio, si sporse di più e di più finché perse l'equilibrio cadendo nelle acque, che si rinchiusero per sempre sopra di lui. Il suo corpo fu trasformato in un fiore di colore giallo dall'intenso profumo, che prese il nome di Narciso.


SIGNIFICATO SIMBOLICO E PSICOLOGICO
mito di Narciso, da cui deriva il termine narcisismo: adorazione morbosa di sé stessi,  si esprime nel culto e nella cura maniacale per il proprio corpo  che spinge a improntare a totale egoismo i rapporti con il mondo esternoporta con sé tanti simbolismi. Però i miti hanno un valore profondo, sono stati creati per parlare al nostro inconscio, per aiutarci a capire cosa veramente vogliamo, a che cosa temiamo, cosa non riusciamo ad affrontare e perché che ci  spinge a improntare a totale egoismo i rapporti con il mondo esterno. 
La leggenda di Narciso ed Eco racconta la storia di due opposti, Narciso incapace di guardare al di là di sé stesso ed Eco incapace di aver cura di sé stessa. 

                      
DUE DONNE A CONFRONTO
Penelope simbolo  di  "donna fedele" ed  Elena “donna fatale”


     PENELOPE: simbolo di donna fedele
L’esempio  più  celebre di virtù e fedeltà  femminile è rappresentato da Penelope, figlia di Icaro e Peribea, moglie di Ulisse che fece di lei la regina di Itaca. Ebbe un figlio Telemaco ancora bambino quando il padre partì per la guerra di Troia. Durante la ventennale assenza di Ulisse, Penelope seppe opporre una ferma e saggia resistenza alle insistenze dei Proci, i quali pretendevano che scegliesse uno di loro come marito e successore  al  trono rimasto vacante per la presunta morte di Ulisse. Per prendere tempo e farsi gioco dei Proci lei dichiarò che, prima di passare a nuove nozze, voleva tessere la famosa tela del lenzuolo funebre che avrebbe avvolto il suocero  Laerte, quando  fosse morto. 
Ma ogni notte Penelope disfaceva la parte  di tela  ordita durante il giorno. L’inganno durò fino a quando alcune delle sue ancelle infedeli rivelarono ai Proci la verità. La situazione cominciò a precipitare e divenne sempre più insostenibile:  i Proci cominciarono a spadroneggiare nella reggia dilapidando le ricchezze. Fortunatamente Ulisse tornò ad Itaca, fece strage degli  usurpatori aiutato dal figlio, dai  pochi servi rimasti fedeli  e dall'inseparabile dea Minerva.   Ma il prode eroe fece  difficoltà a farsi riconoscere dalla moglie a tale scopo  descrisse  minutamente il letto nuziale che egli stesso aveva costruito. Ulisse e Penelope si ricongiunsero  definitivamente, non prima che l’eroe sia stato messo alla prova dalla sua sposa fedele a cui le tante sofferenze avevano  acuito saggezza e scaltrezza.  Con Ulisse  Penelope visse poi  a lungo serena   l’amore coniugale, di cui la donna è custode, ha il suo trionfo. La figura appare a più riprese nelle pagine del poema  dell’Odissea, sempre nelle vesti di madre premurosa e di sposa fedele.



ELENA : Donna fatale
Elena è uno dei personaggi più noti della letteratura classica e ha ispirato un gran numero di racconti e leggende. In lei convergono la bellezza della donna fatale e la volubilità femminile. Seduttrice sensuale, era capace di fare innamorare di sé  gli uomini. Regina di Sparta e  di eccezionale bellezza, fu all'origine della guerra di Troia; la spedizione  dei  Greci venne infatti  effettuata per vendicare il torto subito da Menelao, re di Sparta e marito di Elena, che era stato tradito dalla donna  fuggita con il troiano Paride. Elena figlia della bellissima Leda e di Zeus, sorella dei due Dioscuri Castore e Polluce e di Clitennestra, nacque da un uovo deposto  dalla madre Leda dopo che Zeus, per congiungersi con la donna  assunse le sembianze di un cigno.
Già da giovane sarebbe stata rapita da Teseo e riportata poi a casa dai Dioscuri. Numerosi nobili greci aspirarono alla sua mano, alla fine la scelta cadde su Menelao, figlio del re di Micene. Dal loro matrimonio nacque Ermione. Durante la guerra di Troia, Elena aiutò i Greci; dopo la morte di  Paride che avvenne quando la guerra si avviava verso la conclusione, sposò il fratello di lui Deifobo, che abbandonò quando   si riconciliò col marito Menelao. Il  loro viaggio di ritorno a  Sparta durò ben sette anni, perché sospinti da venti  sfavorevoli.  A Sparta ella visse a fianco di Menelao per alcuni anni in pace e serenità.
I racconti relativi alla morte di Elena sono tuttavia divergenti. Secondo la profezia di Proteo, nell'Odissea, Menelao ed Elena erano stati destinati  a non conoscere la morte, bensì a venire accolti dagli dei Campi Elisi.
Secondo altre fonti non tutti, però, perdonarono le sue colpe: Polyxo, moglie di Tiepolemo, Re di Rodi, morto a Troia, non lo fece e, alla morte di Menalao, quando  Elena si trasferì proprio a Rodi, Polyxo  la catturò e la fece impiccare. Elena  fu  quindi  vittima di un diverso e più crudele   destino disposto dagli dei.



IL MITO DI CASTORE E POLLUCE

La mitologia classica descrive i due gemelli come inseparabili, guerrieri intrepidi e abili domatori  di cavalli.  Sia i Greci che i Romani  considerano i  Dioscuri i  protettori degli uomini da ogni pericolo e in ogni difficoltà, sulla terra e sul mare. Eroi spartani per eccellenza, Castore e Polluce vissero poco prima della guerra di Troia. Conosciuti come Dioscuri,  "figli di Zeus", erano gemelli figli di Leda, moglie del re di Sparta, ma erano gemelli particolari, nati da due uova che contenevano uno Polluce ed Elena e l'altro Castore e  Clitennestra. Si narra che  soltanto Polluce era immortale, essendo stato concepito quando Zeus aveva assunto le sembianze di un cigno per sedurre Leda.



Castore, come Elena e Clitennestra, era mortale, figlio di Tindaro, con il quale Leda, inconsapevole di essere stata fecondata da Giove, si era congiunta la stessa notte.
I  due inseparabili gemelli parteciparono a molte famose imprese, tra cui la spedizione contro Atene, quando Teseo rapì Elena da Sparta, la spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d'Oro e la lunga lotta con i figli di Afareo: Idas e  Linceo  insieme ai quali avevano rubato un grosso  gregge in Arcadia.
Questa ultima avventura si concluse male perchè al momento della spartizione del bottino Idas si prese la maggior parte del gregge portandoselo nella sua terra, a Messene.  Castore e Polluce andarono a loro volta a Messene per recuperare il gregge. ma nello scontro Castore venne ferito mortalmente dalla lancia di Idas, Polluce uccise Linceo e, quando Idas gli ruppe una roccia in testa, Zeus suo padre, intervenne incenerendolo con un fulmine. 
Sostenendo  Castore  morente, per non essere divisi, Polluce implorò Zeus di far morire anche lui oppure di dare l'immortalità anche al fratello.
Zeus esaudì  in parte la preghiera di Polluce: decise di ricongiungerli permettendo loro di stare insieme, metà del tempo agli Inferi e metà con gli dei sul monte Olimpo.
Secondo un'altra leggenda Zeus concesse loro di vivere e morire un giorno per ciascuno trasformati nella costellazione dei Gemelli. Infatti, nella costellazione dei Gemelli, una delle stelle principali si nasconde sotto l’orizzonte quando appare l’altra, ricordando permanentemente  il destino che unisce i due fratelli.

Ricerca storiografica a cura di Elisabetta Mancinelli  
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