"Pescara
con il suo mare e il fiume ha la magia
di farti sentire bene con il mondo, senza che ciò ti richieda sforzo alcuno". Con
queste parole il celebre giornalista e studioso dell'Italia, Tim Parks
sintetizzò con un articolo sul Daily Telegraph l'essenza della pescaresità. Quella essenza che ha permesso a
spiriti eletti come D'Annunzio e Flaiano di trasferire il senso della vita e
della cultura nelle loro opere.
La Pescara, il gran
fiume che dall’Appennino centrale scende al mare Adriatico, è stato per secoli il
fulcro e l’ anima della città di Pescara. Il ruolo del corso d’acqua, sui due lati del quale era raccolto
l’abitato, sembra essere stato duplice nella storia dei pescaresi. Se per un verso era considerato linea di divisione
tra i due territori, accentuando le rivalità, i contrasti le competizioni tra gli abitanti di Porta
Nuova e di Centrale, per l’altro è stato anche un elemento di coesione e di
unione fra le due realtà e un punto di aggregazione, sulla cui acqua, allora potabile, si svolgevano le occupazioni
quotidiane come il lavaggio dei panni le attività lavorative, il mercato delle arance il rimessaggio delle barche da pesca, i giochi
dei ragazzi e le feste: San Cetteo sulla sponda sud e Sant’Andrea su quella a nord che intorno al fiume riunivano per giorni tutta la
popolazione. La Pescara ha avuto dunque
un’ enorme importanza nella tradizione
e nella storia sociale della città e il forte legame
di essa con il suo fiume prosegue nella storia moderna. Secondo una recente
teoria, il toponimo potrebbe derivare più che dalla pescosità della zona, da
"pescos" (in greco antico “pephcòs”) termine che indica il pino marittimo assai
diffuso lungo il litorale e la valle del fiume e da “Pescasis” ("coperto
di pini marittimi"). Nei documenti storici e
nella tradizione orale perdurata a lungo la Pescara viene declinato prevalentemente al
femminile: fatto questo assai
particolare e comune a pochi corsi d’acqua italiani, una quindicina, che con il
nostro condividono anche un altro
aspetto: tutti sono caratterizzati, nel tratto finale, da una elevata
sedimentazione, quindi da un alto tasso di sostanze organiche in grado di
innescare, almeno in passato, ricche catene alimentari, culminanti in una
grande abbondanza di pesci ma anche di uccelli.
Un fiume “femmina” dunque e
“madre” perché era a ragione percepito
come una madre, che nutre e protegge. Infatti durante i bombardamenti
dell’ultima guerra, che distrussero la città, molti Pescaresi vollero
rifugiarsi tra la folta vegetazione delle sue rive.
I CARATTERI GEOGRAFICI
Il fiume
Pescara propriamente detto, ha origine dalle sorgenti di Capo Pescara, poco a
monte dell’abitato di Popoli e, dopo un percorso di circa 68 Km fluviali sfocia nel
porto canale della città omonima. L´Aterno-
Pescara è il fiume più lungo d’Abruzzo e
il maggiore per estensione di bacino fra quelli che sfociano nell'Adriatico a
sud del Reno, precedendo anche l'Ofanto. Scorre per 152 Km attraversando
l’Abruzzo da ovest verso est. La sua sorgente (detta Fonte Ciarelli) si trova
sui Monti della Laga, a nord- est della frazione di Aringo, vicino Montereale,
attraversa le valli Amiternina e Subequana e le selvagge Gole di San Venanzio
giungendo all'altezza di Raiano nella Valle Peligna o conca di Sulmona. Qui vi
si immette il suo principale tributario di destra, il Sagittario, proveniente
dal Lago di Scanno e il fiume muta per qualche chilometro la denominazione in
Aterno-Sagittario. Più avanti, presso
Popoli, il corso dell'Aterno-Sagittario si unisce a quello, proveniente da
sinistra, del Pescara, brevissimo fiume sorgivo assai ricco di acque, che gli
reca un tributo minimo assoluto di magra di 7 metri cubi al
secondo. Da questo punto in poi il fiume viene spesso chiamato Aterno-Pescara o
anche solo Pescara. Notevolmente ingrossato, raccoglie altri affluenti di una
certa importanza (in particolare il Tirino), incrementando ancora il suo volume
d'acqua, prima di arrivare al Mare Adriatico presso l'omonima città di Pescara
.
LA STORIA
Cerniera
geografica tra l’Abruzzo interno e l’Abruzzo marittimo, la valle del fiume
Pescara, insieme a quella dell’Aterno, ha svolto un ruolo determinante di
raccordo tra l’interno della penisola e il mar Adriatico, diventando un’arteria
di collegamento cruciale, crocevia di popoli, culture e commerci. La valle è
stata percorsa e abitata fin da tempi antichissimi, come rivelano le tracce di
insediamenti dell’età del Bronzo (1800-1500 a.C.) trovati nei pressi di Torre de’
Passeri e Tocco da Casauria, resti di capanne e villaggi di genti che vivevano
ai bordi del fiume. In epoca storica queste terre erano abitate
dagli Italici, con cui Roma sarebbe entrata in conflitto dal IV al I secolo
a.C. I Marruccini occupavano la sponda destra del fiume, i Vestini la sponda
sinistra, mentre i Piceni si insediarono
lungo il litorale tra i fiumi Pescara e Tronto. Il territorio dell’attuale Popoli, crocevia
tra i fiumi Aterno, Sagittario e Pescara, era invece dominio dei Peligni, che
avevano in Corfinio la propria roccaforte, divenuta capitale della Lega Italica
nel grande scontro con Roma nel I secolo a.C. Nel 210 a.C. Annibale, sceso con
un potente esercito da Forca Caruso ( Forca di Penne), si accampò a Corfinium dove pose il comando delle armate. Costruì
poi un vero e proprio porto fluviale a Pagus (Popoli) qui allestì capannoni,
rimesse e un deposito di armi e vettovaglie che venivano trasportate a valle
con barconi a fondo piatto che, spinti dalla corrente sulla sponda destra del fiume, raggiungevano
in circa otto ore il Forte di Ostia Aternum creato dallo stesso Annibale per la
conquista dell’Occidente. Esso si estendeva da Porta Romana (attualmente sottopassaggio sulla Tiburtina)
fino all’attuale via Bardet. A circa 100 metri dalla foce del
Pescara il generale cartaginese fece costruire un ponte in mattoni a sei archi,
ardita opera per l’ingegneria di quei tempi. Collegò poi, mediante la via
consolare Tiburtina Valeria, che quasi
in linea retta tagliava lo Stivale in due per 260 km, Ostia Aternum ad Ostia Romana alla foce del Tevere creato
per la conquista dell’Occidente. La città diventa quindi un importante scalo
commerciale verso e dai paesi illirici e balcanici, e la valle del Pescara
diventa l’asse di collegamento tra la capitale dell’Impero e i suoi territori
medio- adriatici. Il toponimo
Piscaria, attestato per la prima volta nell’Historia Langobardorum di Paolo
Diacono, designò dapprima il solo fiume e, dal XII secolo, anche la città
adriatica. La prima traccia del nome attuale compare nel
1035 quando nel Chronicon casauriense si
annota che “Gualtiero del fu Rainaldo
s’impegnava contrattualmente col monastero per 300 moggi di terreno iuxta
fluvium Pischarie…”. Da quel momento tutti i documenti storici riportano il
nome Pischarie, riferito molto probabilmente alla pescosità delle sue acque, e
come tale è indicato nelle mappe cinquecentesche, talvolta con l’aggiunta di Aternum
olim.
Nel lungo
periodo di abbandono e di spopolamento seguito alla caduta dell’Impero Romano,
questo territorio cadde nell’oblio come del resto successe in quasi tutta
Italia. Nei primi
secoli dell’Alto Medioevo, che segnarono la lenta ripresa sociale ed economica,
gran parte della viabilità e della razionale organizzazione romana del
territorio erano ormai scomparsi tra gli impaludamenti del fiume Pescara che,
come tutti i corsi d’acqua nell’Occidente Cristiano in quell’epoca, straripa,
dilaga, spadroneggia sul territorio, si riprende le terre coltivate, sommerge
le strade e tiene in pugno uomini e città. Lungo le sue rive e tra le golene
formate dalle esondazioni cresceva una vasta foresta fluviale, talmente
intricata da aver suscitato tra gli sparuti abitanti di allora paure e
superstizioni di cui resta ancora il ricordo in certi toponimi, come quello di
Dragonara. In epoca medievale le dragonare indicavano infatti le paludi e le
anse fluviali abbandonate dal fiume, talmente terrifiche ed impenetrabili da
essere ritenute la dimora dei draghi. In quest’epoca, dunque, è il fiume a
dominare il territorio, condizionando profondamente la localizzazione e la
tipologia dei centri abitati che pian piano risorgono nella valle tra l’XI e il
XIII secolo. Gli
insediamenti non si sviluppano più lungo il Pescara, ma si arroccano sui
fianchi della valle. Il ripopolamento interessa successivamente anche le foci: nel 1145 il porto viene
restaurato dal re normanno Ruggero d’Altavilla e torna ad essere uno scalo
importante. Gli unici
insediamenti stabili nel fondovalle erano i piccoli centri nati come strutture
militari di avvistamento, come Torre de’ Passeri ed i grandi centri monastici,
come le abbazie di S. Clemente a Casauria e di S. Maria d’Arabona. Come in
molte altre zone d’Italia e d’Europa, furono infatti i monaci i primi ad
affrontare, da veri pionieri, il caos di quei secoli e ad avviare una nuova
organizzazione del territorio, strappando terra alle paludi e restituendola
all’agricoltura, diventando centri di aggregazione sociale e punti di sosta e
di riferimento per i viandanti, ma esercitando anche una grande influenza
politica. Il Trecento
vede il pieno rifiorire delle vie di comunicazione, dei commerci e degli scambi
culturali, in cui la valle del Pescara e la valle dell’Aterno si riappropriano
dell’antico ruolo di assi di collegamento. Uno dei
grandi itinerari commerciali e culturali
dell’Italia trecentesca, la “Via degli Abruzzi”, arteria angioina dell’oro e
della lana, proprio attraverso la valle dell’Aterno raccordava Napoli con
l’Umbria e la Toscana,
mentre attraverso la diramazione adriatica, costituita dalla valle del Pescara,
raggiungeva le Marche e l’Italia settentrionale. All’incrocio
di queste importantissime arterie si trovava Popoli, che a questa posizione
strategica deve la fama di fiorente centro di commerci che detenne fino al XIX
secolo.
LE FESTE
LUNGO IL FIUME
San Cetteo sulla sponda sud e Sant’Andrea su quella a nord erano le
principali feste che, intorno al fiume,
riunivano per giorni tutta la popolazione. Già nella
metà del 1800 durante queste ricorrenze
patronali lungo il corso della Pescara
oltre alla processione, i fuochi d’artificio, le bande musicali, si svolgevano gare di canotti e cuccagne e
all'imbrunire, venivano messi a galleggiare migliaia di lumini che arrivavano fino al mare aperto,
ed il fiume era illuminato per ore e ore. I lumini venivano messi nel fiume da un
barcone all'altezza di Sambuceto ed erano fatti con uno stoppino infilato in un
pezzo di sughero avvolto da carta colorata.
Sotto
il ponte si mettevano le barche che vendevano le arance e i pellegrini che venivano a Pescara per le feste si fermavano vicino al ponte per comprarle. Passavano anche "li picurare" che venivano accolti con allegria e i pescatori gli davano
sardelle, sale, pizze di ''randigna'' e anche qualche pesce, loro li ricambiavano con il formaggio e la ricotta. Lungo
il fiume si svolsero anche imponenti manifestazioni non a carattere
religioso come “Le Cinque Giornate di Pescara” che, dal 19 al 23 agosto del 1922, allietarono la città. Sfilarono lungo la Pescara
30 paranze abbellite da festoni e rami fioriti dipinti di rosso e d’azzurro con
la collaborazione di Basilio Cascella e Ermindo Campana pubblicò un articolo
sul Corriere della Sera, con suggestive
fotografie della sfilata delle paranze e dei costumi di Caramanico e di altri
paesi sul fiume al tramonto. Anche la Settimana Abruzzese, dal 19 al 23
agosto del 1923, patrocinata da
Acerbo, fu una festa popolare che si
svolse prevalentemente lungo il fiume anche se non mancò l’aspetto
propagandistico del fascismo che si servì di questo evento per l’ostentazione del proprio successo. Giunsero le paranze da Giulianova, Silvi
Marina, Ortona, e Vasto che, oltre a quelle di Pescara, sfilarono costeggiando
da nord fino alla foce sulla sinistra
dove la manifestazione si concluse con imponenti fuochi d’artificio lungo il
fiume. GABRIELE D'ANNUNZIO E IL FIUME
Gabriele D’Annunzio, vide la luce in una “Una città provinciale tutta raccolta intorno
alla sua chiesa, fra l’antica fortezza spagnola e
il ponte cavalcante il bel fiume… la
Maiella innevata, sacra e materna, il litorale sabbioso con i
pini smilzi e contorti, i tramonti di luglio pieni di nuvole scarlatte e dorate
sul fiume”, ma
anche in una città divisa proprio
dal Pescara: a nord Castellamare Adriatico che era parte della provincia di
Teramo e a sud Pescara che era provincia di Chieti. Il poeta
soffre per il campanilismo che divide i due centri e
per il conflitto tra le due progenie i cui rapporti erano da sempre
caratterizzati da antagonismo e gelosia. Così
descrive queste ostilità nella Novella ‘La
guerra del ponte’ .
"....Un'antica discordia
dura tra Pescara e Castellammare Adriatico, tra i due comuni che il bel fiume
divide. Le parti nemiche si esercitano
assiduamente in offese e rappresaglie, l'una osteggiando con tutte le forze il
fiorire dell'altra. E poichè oggi e' prima fonte di prosperità la mercatura,
e poichè Pescara ha molta dovizia di industrie, i Castellamaresi da tempo
mirano a trasferire i mercanti su la loro riva con ogni sorte di astuzia e di
allettamenti." Per la riunificazione
degli abitanti delle due sponde e per la nascita della nuova provincia ci
furono moltissime trattative, volte a stabilire soprattutto la denominazione
della nuova comunità. Quando il poeta apprese la notizia della
riunione, nel 1927, delle due città in un solo comune, Pescara appunto, esclamò: “Il fiume non divide i due territori come non divide Roma il Tevere e Firenze
l’Arno…. Sono contentissimo della grande notizia e sono certissimo che la mia
vecchia Pescara ringiovanirà, diventerà sempre più poderosa e ardimentosa degna
del privilegio”.
Il poeta,
dopo lunghe peregrinazioni e una vita cosmopolita e vagabonda, torna nella sua terra perchè la sente come una “corazza, un
pezzo d’armatura”, capace di difenderlo e di proteggerlo dalle intemperie della vita”. Quindi, prescindendo dai luoghi in cui visse e
spese la gran parte della sua vita, il poeta rimase sempre indissolubilmente
legato e alla sua città natale e al suo
fiume. Anche il titolo che dà alle sue “Novelle della Pescara” è significativo: come il fiume, prima di
arrivare al mare, attraversa paesi e contrade, popolate da genti antiche, così
il poeta viaggerà idealmente raccogliendo “novelle” delle sue genti per poi
narrarcele.
I simboli
della poetica dannunziana sono quelli
decadenti: “il mare, la terra, l’acqua in un vortice di ristoro tra
ventilazione salina e refrigerio fluviale…” (da Le Novelle della Pescara, “La Vergine Orsola”). "L’acqua era il
fiume Pescara, arteria navigabile naturale legata alle emozioni e
contemplazioni del "gran pescarese", connaturato alla terra natia, da cui
partivano visioni e promesse di “sponde lontane”. Nella visione poetica, così
come nel cuore dei cittadini, il suo nome era “territorio (acqua e terra),
riconoscenza, designazione di suolo vitale, via aperta per l’Adriatico”. E’ qui
che traspare il legame profondo tra le genti e il fiume, il suo mondo antico,
l’epos, le tradizioni religiose. La
giovinezza di Gabriele fu costellata di scorribande lungo il suo fiume e molteplici e splendide sono le immagini che il poeta ci
offre di questo elemento essenziale del suo paesaggio natio. Il suo
fiume assume il simbolo di “dolce remigare nell’arcano, malia, stupore…”, che gli
procurano un’ esaltazione poetica e
umana come si evince dai
versi che così omaggiano la
Pescara:
“Gli
alberi s’inchinavano in attitudini pacifiche alla contemplazione delle acque.
Quasi un respiro lento e solenne emanava dal sonno del fiume sotto la luna…”.
(da Le Novelle della Pescara).
Ed
è quasi tenero quando sussurra:“...nella scorsa notte quanti pensieri, quanti
ricordi, quanti sogni, quanti rimpianti; che avean tutto il sapore dolciastro o
salmastro della Pescara alla sua foce...”.(da una lettera ad Acerbo).
E ancora: "Rientran lente da le
liete pésche sette vele latine, e portan seco delle ondate fresche di fragranze
marine." (da “Primo Vere”,Vespro d’Agosto) e dalle Novelle della Pescara: “Il fiume è pieno di
riflessi; a schiera le sette vele stanche vengono innanzi insieme con la sera:
son gialle, rosse, e bianche…”; “Scendono:
l'acque tranquille de 'l fiume scorron verdi
tra 'l verde, e le nuvole sparse de 'l vespro vi treman entro in vaghi riflessi
di minio e di giallo; da l'altra riva un uomo sta immobil pescando con l'amo. E m'apparve il bel fiume ove nato fui di
stirpe sabella, Aterno di rossa corrente cui cavalca il ponte construtto di carene
di travi d'ormeggi, spalmato di pece, in vista al monte nevoso che ha forma
d'ubero pieno. E la tomba m'apparve sul poggio chiomante di pini, ove il padre
riposa le sue grandi ossa ond'io m'ebbi tempra sì dura”.
E da “La vergine Anna” (“Novelle della
Pescara”), "...Nella primavera del 1856, un giorno, mentre sul greto della
Pescara ella sbatteva i panni lavati, vide una torma di barche passare la foce
e navigar lentamente…le due rive si
rispecchiavano in fondo abbracciandosi; alcuni ramoscelli verdi e alcune ceste
di giunchi natavano nel mezzo della corrente, come simboli pacifici, verso il
mare; e le barche…avanzavano così nel bel fiume santificato dalla leggenda di
San Cetteo liberatore. I ricordi del paese natale si svegliarono nell'animo
della donna con un tumulto improvviso…”.
LE PIENE
Mediamente durante tutto
l’anno il Pescara versa nel mare 54 mc di acqua al secondo cioè più di
4.500.000 di mc al giorno. Tale portata media annua è nettamente superiore a
quella di tutti i corsi d’acqua abruzzesi.
Questa caratteristica deriva dal fatto che nel fiume, nel suo tratto terminale, confluiscono da tutto il bacino idrografico
sia le piogge (autunno-primavera), sia
le acque dello scioglimento delle nevi (fine primavera-estate), sia il tributo
delle cospicue sorgenti (tutto l’anno). In occasione delle precipitazioni
piovose particolarmente intense, in prossimità della foce, a Pescara, quindi
si riversano grandi quantità d’acqua che, sommate al normale e costante flusso
fluviale, aumentano improvvisamente e pericolosamente anche se per pochi giorni, il livello delle acque nell’alveo. Alla fine del 1800, presso la foce del fiume, si
susseguivano in ordine sparso le case dei marinai di creta e di canne dove si
accendeva il fuoco con i rifiuti del mare. Sulla destra del fiume, uscendo da
porta Ortona, si giungeva ad una depressione fangosa “il lago salso della
Palata” (La Vergine
Orsola da Le Novelle della Pescara): il braccio destro del
Pescara da tempo abbandonato dalla corrente dove era facile contrarre “la
febbre palustre”. Anche
l’altra sponda era depressa rispetto al livello circostante così tutta la zona
risultava acquitrinosa e andava soggetta a piene disastrose a memoria dei
vecchi di Pescara. Lo stesso D’Annunzio ne “La
guerra del ponte” vi allude accennando all’esistenza di cucine pubbliche che
entravano in funzione nelle vicinanze di Porta Nuova nei periodi di inondazione in un luogo dove precedentemente
vi era un teatro all’aperto.
Romeo Tommolini, una figura tipica di
pescarese dannunziano, tra le varie
memorie pubblicate su quotidiani ha lasciato una efficace descrizione delle
alluvioni del 1887 e del 1888 di cui fu testimone da bambino. “Si unirono in piena il fiume Pescara e il
fiume Saline: dall’alto della terrazza di Silvi sembrava tutto un mare. La
nostra vallata da Sambuceto fino alla Pineta era inondata, in certi punti
l’acqua arrivava a circa due metri di altezza. I poveri contadini si
rifugiavano sui tetti per salvare le famiglie e gli animali piccoli pecore
maiali e polli mentre i buoi, cavalli e asini parte vennero a rifugiarsi nei
portoni ampi dei palazzi parte si salvarono a nuoto e andarono ai piedi di San
Donato e parte morirono travolti dalla violenza della corrente. La furia delle
acque fece cadere 32 case coloniche e morirono diversi contadini. In via Delle
Caserme i soldati con battelli stendevano agli inquilini del primo piano rancio, pane, acqua…Si andava continuamente ad osservare il terribile spettacolo
della piena sul ponte di ferro della ferrovia dello Stato…tutte le barche,
compreso il ponte in legno, vennero trasportate dalla corrente come stecchini
parte si affondava al fiume e parte alla foce. La corrente trasportava dai
paesi interni animali morti e masserizie”. (da "Il Messaggero").
Altre imponenti inondazioni si sono verificate il 10 novembre 1934 con una portata d’acqua di 982 mc al secondo e il 10 aprile
del 1992 quando la portata, in seguito
a due giorni di piogge molto forti, raggiunse quasi 1200 mc al secondo. E non sono questi due casi isolati.
Ricostruzione
storiografica a cura di Elisabetta Mancinelli
email: mancinellielisabetta@gmail.com
I documenti e le immagini sono tratti da: “Pescara da
vicus a urbs” di Lucia Gorgoni Lanzetta; da “Racconti della memoria di una
Pescara dannunziana” di Federico Valeriani; da “Era Pescara” della Sovrintendenza
Archivistica per l’Abruzzo” e dall’Archivio di Stato di Pescara.
Le foto sono
tratte dall’Archivio fotografico di Tonino Tucci che ne autorizza la pubblicazione.
Indirizzo:Via Veneto 10 Montesilvano; tel. 085
834879
email: tuccifotografia@libero.it
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