mercoledì 2 febbraio 2022

PESCARA E IL FIUME

"Pescara con  il suo mare e il fiume ha la magia di farti sentire bene con il mondo, senza che ciò ti richieda sforzo alcuno". Con queste parole il celebre giornalista e studioso dell'Italia, Tim Parks sintetizzò con un articolo sul Daily Telegraph l'essenza della pescaresità. Quella essenza che ha permesso a spiriti eletti come D'Annunzio e Flaiano di trasferire il senso della vita e della cultura nelle loro opere.


La Pescara, il gran fiume che dall’Appennino centrale scende al mare Adriatico, è stato per secoli il fulcro e l’ anima della città di Pescara. Il ruolo del corso d’acqua, sui due lati del quale era raccolto l’abitato, sembra essere stato duplice nella storia dei pescaresi. Se per un verso era considerato linea di divisione tra i due territori, accentuando le rivalità, i contrasti  le competizioni tra gli abitanti di Porta Nuova e di Centrale, per l’altro è stato anche un elemento di coesione e di unione fra le due realtà e un punto di aggregazione, sulla cui acqua, allora potabile, si svolgevano le occupazioni quotidiane come il lavaggio dei panni le attività lavorative, il mercato delle arance il rimessaggio delle barche da pesca, i giochi dei ragazzi e le feste: San Cetteo sulla sponda sud e Sant’Andrea su quella a nord che intorno al fiume riunivano per giorni tutta la popolazione. La Pescara ha avuto dunque un’ enorme importanza  nella tradizione e nella storia sociale della città e il forte legame di essa con il suo fiume prosegue nella storia moderna. Secondo una recente teoria, il toponimo potrebbe derivare più che dalla pescosità della zona, da "pescos" (in greco antico “pephcòs”) termine che indica il pino marittimo assai diffuso lungo il litorale e la valle del fiume e da “Pescasis” ("coperto di pini marittimi"). Nei documenti storici e nella tradizione orale perdurata a lungo la Pescara viene declinato prevalentemente al femminile: fatto questo assai particolare e comune a pochi corsi d’acqua italiani, una quindicina, che con il nostro  condividono anche un altro aspetto: tutti sono caratterizzati, nel tratto finale, da una elevata sedimentazione, quindi da un alto tasso di sostanze organiche in grado di innescare, almeno in passato, ricche catene alimentari, culminanti in una grande abbondanza di pesci ma anche di uccelli.  Un  fiume “femmina” dunque e “madre” perché  era a ragione percepito come una madre, che nutre e protegge. Infatti durante i bombardamenti dell’ultima guerra, che distrussero la città, molti Pescaresi vollero rifugiarsi tra la folta vegetazione delle sue rive.

 

                                        I CARATTERI GEOGRAFICI

 

Il fiume Pescara propriamente detto, ha origine dalle sorgenti di Capo Pescara, poco a monte dell’abitato di Popoli e, dopo un percorso di circa 68 Km fluviali sfocia nel porto canale della città omonima. L´Aterno- Pescara  è il fiume più lungo d’Abruzzo e il maggiore per estensione di bacino fra quelli che sfociano nell'Adriatico a sud del Reno, precedendo anche l'Ofanto. Scorre per 152 Km attraversando l’Abruzzo da ovest verso est. La sua sorgente (detta Fonte Ciarelli) si trova sui Monti della Laga, a nord- est della frazione di Aringo, vicino Montereale, attraversa le valli Amiternina e Subequana e le selvagge Gole di San Venanzio giungendo all'altezza di Raiano nella Valle Peligna o conca di Sulmona. Qui vi si immette il suo principale tributario di destra, il Sagittario, proveniente dal Lago di Scanno e il fiume muta per qualche chilometro la denominazione in Aterno-Sagittario.  Più avanti, presso Popoli, il corso dell'Aterno-Sagittario si unisce a quello, proveniente da sinistra, del Pescara, brevissimo fiume sorgivo assai ricco di acque, che gli reca un tributo minimo assoluto di magra di 7 metri cubi al secondo. Da questo punto in poi il fiume viene spesso chiamato Aterno-Pescara o anche solo Pescara. Notevolmente ingrossato, raccoglie altri affluenti di una certa importanza (in particolare il Tirino), incrementando ancora il suo volume d'acqua, prima di arrivare al Mare Adriatico presso l'omonima città di Pescara .

                                                          LA STORIA                                       

Cerniera geografica tra l’Abruzzo interno e l’Abruzzo marittimo, la valle del fiume Pescara, insieme a quella dell’Aterno, ha svolto un ruolo determinante di raccordo tra l’interno della penisola e il mar Adriatico, diventando un’arteria di collegamento cruciale, crocevia di popoli, culture e commerci. La valle è stata percorsa e abitata fin da tempi antichissimi, come rivelano le tracce di insediamenti dell’età del Bronzo (1800-1500 a.C.) trovati nei pressi di Torre de’ Passeri e Tocco da Casauria, resti di capanne e villaggi di genti che vivevano ai bordi del fiume. In epoca storica queste terre erano abitate dagli Italici, con cui Roma sarebbe entrata in conflitto dal IV al I secolo a.C. I Marruccini occupavano la sponda destra del fiume, i Vestini la sponda sinistra, mentre i Piceni  si insediarono lungo il litorale tra i fiumi Pescara e Tronto. Il territorio dell’attuale Popoli, crocevia tra i fiumi Aterno, Sagittario e Pescara, era invece dominio dei Peligni, che avevano in Corfinio la propria roccaforte, divenuta capitale della Lega Italica nel grande scontro con Roma nel I secolo a.C. Nel 210 a.C. Annibale, sceso con un potente esercito da Forca Caruso ( Forca di Penne),  si accampò a Corfinium  dove pose il comando delle armate. Costruì poi un vero e proprio porto fluviale a Pagus (Popoli) qui allestì capannoni, rimesse e un deposito di armi e vettovaglie che venivano trasportate a valle con barconi a fondo piatto che, spinti dalla corrente  sulla sponda destra del fiume, raggiungevano in circa otto ore il Forte di Ostia Aternum creato dallo stesso Annibale per la conquista dell’Occidente. Esso si estendeva da Porta Romana  (attualmente sottopassaggio sulla Tiburtina) fino all’attuale via Bardet.  A circa 100 metri dalla foce del Pescara il generale cartaginese fece costruire un ponte in mattoni a sei archi, ardita opera per l’ingegneria di quei tempi. Collegò poi, mediante la via consolare Tiburtina Valeria, che quasi in linea retta tagliava lo Stivale in due per 260 km, Ostia Aternum ad Ostia Romana alla foce del Tevere creato per la conquista dell’Occidente.  La città diventa quindi un importante scalo commerciale verso e dai paesi illirici e balcanici, e la valle del Pescara diventa l’asse di collegamento tra la capitale dell’Impero e i suoi territori medio- adriatici. Il toponimo Piscaria, attestato per la prima volta nell’Historia Langobardorum di Paolo Diacono, designò dapprima il solo fiume e, dal XII secolo, anche la città adriatica. La prima traccia del nome attuale compare nel 1035 quando nel Chronicon casauriense si annota che “Gualtiero del fu Rainaldo s’impegnava contrattualmente col monastero per 300 moggi di terreno iuxta fluvium Pischarie…”. Da quel momento tutti i documenti storici riportano il nome Pischarie, riferito molto probabilmente alla pescosità delle sue acque, e come tale è indicato nelle mappe cinquecentesche, talvolta con l’aggiunta di Aternum olim. 

Nel lungo periodo di abbandono e di spopolamento seguito alla caduta dell’Impero Romano, questo territorio cadde nell’oblio come del resto successe in quasi tutta Italia. Nei primi secoli dell’Alto Medioevo, che segnarono la lenta ripresa sociale ed economica, gran parte della viabilità e della razionale organizzazione romana del territorio erano ormai scomparsi tra gli impaludamenti del fiume Pescara che, come tutti i corsi d’acqua nell’Occidente Cristiano in quell’epoca, straripa, dilaga, spadroneggia sul territorio, si riprende le terre coltivate, sommerge le strade e tiene in pugno uomini e città. Lungo le sue rive e tra le golene formate dalle esondazioni cresceva una vasta foresta fluviale, talmente intricata da aver suscitato tra gli sparuti abitanti di allora paure e superstizioni di cui resta ancora il ricordo in certi toponimi, come quello di Dragonara. In epoca medievale le dragonare indicavano infatti le paludi e le anse fluviali abbandonate dal fiume, talmente terrifiche ed impenetrabili da essere ritenute la dimora dei draghi. In quest’epoca, dunque, è il fiume a dominare il territorio, condizionando profondamente la localizzazione e la tipologia dei centri abitati che pian piano risorgono nella valle tra l’XI e il XIII secolo. Gli insediamenti non si sviluppano più lungo il Pescara, ma si arroccano sui fianchi della valle. Il ripopolamento interessa successivamente  anche le foci: nel 1145 il porto viene restaurato dal re normanno Ruggero d’Altavilla e torna ad essere uno scalo importante. Gli unici insediamenti stabili nel fondovalle erano i piccoli centri nati come strutture militari di avvistamento, come Torre de’ Passeri ed i grandi centri monastici, come le abbazie di S. Clemente a Casauria e di S. Maria d’Arabona. Come in molte altre zone d’Italia e d’Europa, furono infatti i monaci i primi ad affrontare, da veri pionieri, il caos di quei secoli e ad avviare una nuova organizzazione del territorio, strappando terra alle paludi e restituendola all’agricoltura, diventando centri di aggregazione sociale e punti di sosta e di riferimento per i viandanti, ma esercitando anche una grande influenza politica. Il Trecento vede il pieno rifiorire delle vie di comunicazione, dei commerci e degli scambi culturali, in cui la valle del Pescara e la valle dell’Aterno si riappropriano dell’antico ruolo di assi di collegamento. Uno dei grandi itinerari commerciali e culturali dell’Italia trecentesca, la “Via degli Abruzzi”, arteria angioina dell’oro e della lana, proprio attraverso la valle dell’Aterno raccordava Napoli con l’Umbria e la Toscana, mentre attraverso la diramazione adriatica, costituita dalla valle del Pescara, raggiungeva le Marche e l’Italia settentrionale. All’incrocio di queste importantissime arterie si trovava Popoli, che a questa posizione strategica deve la fama di fiorente centro di commerci che detenne fino al XIX secolo.

                                      LE FESTE  LUNGO IL FIUME

San Cetteo sulla sponda sud e Sant’Andrea su quella a nord erano le principali feste che, intorno al fiume, riunivano per giorni tutta la popolazione. Già nella metà del 1800  durante queste ricorrenze patronali   lungo il corso della Pescara oltre alla processione, i fuochi d’artificio, le bande musicali, si svolgevano gare di canotti e cuccagne e all'imbrunire, venivano messi a galleggiare migliaia  di lumini che arrivavano fino al mare aperto, ed il fiume era illuminato per ore e ore.  I lumini venivano messi nel fiume da un barcone all'altezza di Sambuceto ed erano fatti con uno stoppino infilato in un pezzo di sughero avvolto da carta colorata. Sotto il ponte si mettevano le barche che vendevano le arance e i pellegrini che venivano a Pescara per le feste si fermavano vicino al ponte per comprarle. Passavano anche "li picurare" che venivano accolti con allegria e i pescatori gli davano  sardelle, sale, pizze di ''randigna'' e anche qualche pesce, loro li ricambiavano con il formaggio e la ricotta. Lungo il fiume si svolsero  anche  imponenti manifestazioni non a carattere religioso come “Le Cinque Giornate di Pescara” che, dal 19 al 23 agosto del 1922,  allietarono la città. Sfilarono lungo la Pescara 30 paranze abbellite da festoni e rami fioriti dipinti di rosso e d’azzurro con la collaborazione di Basilio Cascella e Ermindo Campana pubblicò un articolo sul Corriere della Sera, con suggestive fotografie della sfilata delle paranze e dei costumi di Caramanico e di altri paesi sul fiume al tramonto. Anche la Settimana Abruzzese, dal 19 al 23 agosto del 1923, patrocinata da Acerbo, fu una festa popolare che si svolse prevalentemente lungo il fiume anche se non mancò l’aspetto propagandistico del fascismo che si servì di questo evento per l’ostentazione del proprio successo. Giunsero le paranze da Giulianova, Silvi Marina, Ortona, e Vasto che, oltre a quelle di Pescara, sfilarono costeggiando da nord fino alla foce sulla sinistra dove la manifestazione si concluse con imponenti fuochi d’artificio lungo il fiume.

                                      GABRIELE D'ANNUNZIO E IL FIUME


Gabriele D’Annunzio, vide la luce in una “Una città provinciale tutta raccolta intorno alla sua chiesa, fra l’antica fortezza spagnola e il ponte cavalcante il bel fiume… la Maiella innevata, sacra e materna, il litorale sabbioso con i pini smilzi e contorti, i tramonti di luglio pieni di nuvole scarlatte e dorate sul fiume”,  ma anche in una città divisa proprio dal Pescara: a nord Castellamare Adriatico che era parte della provincia di Teramo e a sud Pescara che era provincia di Chieti. Il poeta soffre per il campanilismo che divide i due centri e per il conflitto tra le due progenie i cui rapporti erano da sempre caratterizzati da antagonismo e gelosia. Così descrive queste ostilità nella Novella  ‘La guerra del ponte’ . 

"....Un'antica discordia dura tra Pescara e Castellammare Adriatico, tra i due comuni che il bel fiume divide. Le parti nemiche si esercitano assiduamente in offese e rappresaglie, l'una osteggiando con tutte le forze il fiorire dell'altra. E poichè oggi e' prima fonte di prosperità la mercatura, e poichè Pescara ha molta dovizia di industrie, i Castellamaresi da tempo mirano a trasferire i mercanti su la loro riva con ogni sorte di astuzia e di allettamenti." Per la riunificazione degli abitanti delle due sponde e per la nascita della nuova provincia ci furono moltissime trattative, volte a stabilire soprattutto la denominazione della nuova comunità. Quando il poeta apprese la notizia della riunione, nel 1927, delle due città in un solo comune, Pescara appunto, esclamò: “Il fiume non divide i due territori come non divide Roma il Tevere e Firenze l’Arno…. Sono contentissimo della grande notizia e sono certissimo che la mia vecchia Pescara ringiovanirà, diventerà sempre più poderosa e ardimentosa degna del privilegio”.

Il poeta, dopo lunghe peregrinazioni e una vita cosmopolita e vagabonda, torna nella sua terra perchè la sente come una “corazza, un pezzo d’armatura”, capace di difenderlo e di proteggerlo dalle intemperie della vita”. Quindi, prescindendo dai luoghi in cui visse e spese la gran parte della sua vita, il poeta rimase sempre indissolubilmente legato  e alla sua città natale e al suo fiume.  Anche il titolo che dà alle sue “Novelle della Pescara” è significativo: come il fiume, prima di arrivare al mare, attraversa paesi e contrade, popolate da genti antiche, così il poeta viaggerà idealmente raccogliendo “novelle” delle sue genti per poi narrarcele. simboli della poetica dannunziana sono quelli  decadenti: “il mare, la terra, l’acqua in un vortice di ristoro tra ventilazione salina e refrigerio fluviale…” (da Le Novelle della Pescara, “La Vergine Orsola”). "L’acqua era il fiume Pescara, arteria navigabile naturale legata alle emozioni e contemplazioni del "gran pescarese", connaturato alla terra natia, da cui partivano visioni e promesse di “sponde lontane”. Nella visione poetica, così come nel cuore dei cittadini, il suo nome era “territorio (acqua e terra), riconoscenza, designazione di suolo vitale, via aperta per l’Adriatico”. E’ qui che traspare il legame profondo tra le genti e il fiume, il suo mondo antico, l’epos, le tradizioni religiose. La giovinezza di Gabriele fu costellata di scorribande lungo il suo fiume e molteplici e splendide sono le immagini che il poeta ci offre di questo elemento essenziale del suo paesaggio natio. Il suo fiume assume il simbolo di “dolce remigare nell’arcano, malia, stupore…”, che gli procurano  un’ esaltazione poetica e umana  come  si evince dai  versi che così omaggiano la Pescara:

“Gli alberi s’inchinavano in attitudini pacifiche alla contemplazione delle acque. Quasi un respiro lento e solenne emanava dal sonno del fiume sotto la luna…”. (da Le Novelle della Pescara).

Ed è quasi tenero quando sussurra:

“...nella scorsa notte quanti pensieri, quanti ricordi, quanti sogni, quanti rimpianti; che avean tutto il sapore dolciastro o salmastro della Pescara alla sua foce...”.(da una lettera ad Acerbo).

E ancora: "Rientran lente da le liete pésche sette vele latine, e portan seco delle ondate fresche di fragranze marine." (da “Primo Vere”,Vespro d’Agosto) e dalle Novelle della Pescara: “Il fiume è pieno di riflessi; a schiera le sette vele stanche vengono innanzi insieme con la sera: son gialle, rosse, e bianche…”Scendono: l'acque tranquille de 'l fiume scorron verdi tra 'l verde, e le nuvole sparse de 'l vespro vi treman entro in vaghi riflessi di minio e di giallo; da l'altra riva un uomo sta immobil pescando con l'amo.  E m'apparve il bel fiume ove nato fui di stirpe sabella, Aterno di rossa corrente cui cavalca il ponte construtto di carene di travi d'ormeggi, spalmato di pece, in vista al monte nevoso che ha forma d'ubero pieno. E la tomba m'apparve sul poggio chiomante di pini, ove il padre riposa le sue grandi ossa ond'io m'ebbi tempra sì dura”.                                

E da “La vergine Anna” (“Novelle della Pescara”), "...Nella primavera del 1856, un giorno, mentre sul greto della Pescara ella sbatteva i panni lavati, vide una torma di barche passare la foce e navigar lentamente…le due rive si rispecchiavano in fondo abbracciandosi; alcuni ramoscelli verdi e alcune ceste di giunchi natavano nel mezzo della corrente, come simboli pacifici, verso il mare; e le barche…avanzavano così nel bel fiume santificato dalla leggenda di San Cetteo liberatore. I ricordi del paese natale si svegliarono nell'animo della donna con un tumulto improvviso…”.

                                                           LE  PIENE

Mediamente durante tutto l’anno il Pescara versa nel mare 54 mc di acqua al secondo cioè più di 4.500.000 di mc al giorno. Tale portata media annua è nettamente superiore a quella di tutti i corsi d’acqua abruzzesi. Questa caratteristica deriva dal fatto che nel fiume, nel suo tratto terminale, confluiscono da tutto il bacino idrografico sia le piogge  (autunno-primavera), sia le acque dello scioglimento delle nevi (fine primavera-estate), sia il tributo delle cospicue sorgenti (tutto l’anno). In occasione delle precipitazioni piovose particolarmente intense, in prossimità della foce, a Pescara, quindi si riversano grandi quantità d’acqua che, sommate al normale e costante flusso fluviale, aumentano improvvisamente e pericolosamente anche se per pochi giorni, il livello delle acque nell’alveo. Alla fine del  1800, presso la foce del fiume, si susseguivano in ordine sparso le case dei marinai di creta e di canne dove si accendeva il fuoco con i rifiuti del mare. Sulla destra del fiume, uscendo da porta Ortona, si giungeva ad una depressione fangosa “il lago salso della Palata” (La Vergine Orsola da Le Novelle della Pescara): il braccio destro del Pescara da tempo abbandonato dalla corrente dove era facile contrarre “la febbre palustre”. Anche l’altra sponda era depressa rispetto al livello circostante così tutta la zona risultava acquitrinosa e andava soggetta a piene disastrose a memoria dei vecchi di Pescara. Lo stesso D’Annunzio ne “La guerra del ponte” vi allude accennando all’esistenza di cucine pubbliche che entravano in funzione nelle vicinanze di Porta Nuova nei periodi di inondazione in un luogo dove precedentemente vi era un teatro all’aperto.                                                 

Romeo Tommolini, una figura tipica di pescarese dannunziano, tra le varie memorie pubblicate su quotidiani ha lasciato una efficace descrizione delle alluvioni del 1887 e del 1888 di cui fu testimone da bambino. “Si unirono in piena il fiume Pescara e il fiume Saline: dall’alto della terrazza di Silvi sembrava tutto un mare. La nostra vallata da Sambuceto fino alla Pineta era inondata, in certi punti l’acqua arrivava a circa due metri di altezza. I poveri contadini si rifugiavano sui tetti per salvare le famiglie e gli animali piccoli pecore maiali e polli mentre i buoi, cavalli e asini parte vennero a rifugiarsi nei portoni ampi dei palazzi parte si salvarono a nuoto e andarono ai piedi di San Donato e parte morirono travolti dalla violenza della corrente. La furia delle acque fece cadere 32 case coloniche e morirono diversi contadini. In via Delle Caserme i soldati con battelli stendevano agli inquilini del primo piano rancio, pane, acqua…Si andava continuamente ad osservare il terribile spettacolo della piena sul ponte di ferro della ferrovia dello Stato…tutte le barche, compreso il ponte in legno, vennero trasportate dalla corrente come stecchini parte si affondava al fiume e parte alla foce. La corrente trasportava dai paesi interni animali morti e masserizie”. (da "Il Messaggero"). Altre imponenti inondazioni si sono verificate il 10 novembre 1934 con una portata d’acqua di 982 mc al secondo e il 10 aprile del 1992 quando la portata, in seguito a due giorni di piogge molto forti, raggiunse quasi 1200 mc al secondo. E non sono questi due casi isolati.


Ricostruzione storiografica a cura di Elisabetta Mancinelli

email: mancinellielisabetta@gmail.com

I documenti e le immagini sono tratti da: “Pescara da vicus a urbs” di Lucia Gorgoni Lanzetta; da “Racconti della memoria di una Pescara dannunziana” di  Federico Valeriani; da “Era Pescara” della Sovrintendenza Archivistica per l’Abruzzo” e dall’Archivio di Stato di Pescara. 

Le foto sono tratte dall’Archivio fotografico di Tonino Tucci che ne autorizza la pubblicazione.  

Indirizzo:Via Veneto 10 Montesilvano; tel. 085 834879  

email: tuccifotografia@libero.it

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