Sin dall’1800, da documenti ufficiali, quali gli archivi della Polizia di Chieti e i programmi di festeggiamenti organizzati dal Comune di Pescara, si hanno notizie di feste, festicciole, inaugurazioni molto frequenti nella vita della città. Una delle prime testimonianze ci proviene dalle memorie postume del tenente francese Remy d’Hauteroche che fu a Pescara per qualche tempo nel 1806 con l’esercito conquistatore. Egli attesta che, nel febbraio del
Il tenente d’Hauteroche riferisce con altrettanto stupore, sempre nelle sue memorie, anche di un altro svago particolare dei pescaresi una varietà del gioco della ruzzola: una gara di lancio di un disco per mezzo di uno spago attorcigliato intorno allo stesso alla maniera degli antichi romani. Ma la cosa che lo colpiva maggiormente era che il disco era una pizza di durissimo formaggio tanto duro da non poter essere mangiato, ma solo grattugiato, il quale diveniva di proprietà di chi lo avesse lanciato più lontano. Questo gioco veniva praticato più che a Pescara a Castellammare, come risulta anche da un articolo del Regolamento di Polizia Urbana del
Altre testimonianze ci pervengono dall'archivio di polizia di Chieti e
precisamente dalle richieste di autorizzazione
ai festeggiamenti che dovevano essere concessi dal Sindaco purché i
divertimenti non turbassero l’ordine pubblico. Si apprende da questa fonte che il
13 e il 14 giugno 1818 la città fu allietata da fuochi di artificio, da 1500
colpi di mortaio, da un’intera banda musicale, dal lancio di due palloni
aerostatici, da una corsa di cavalli barberi, dalla illuminazione e da quello che le carte definiscono “uno steccato di
tori” che era proprio il combattimento già citato tra un toro e vari cani.
Sempre dall'Archivio di Polizia provengono le testimonianze dei
festeggiamenti che il 12 novembre 1826 furono organizzati dalla congregazione del SS. Sacramento in onore della Madonna del Patrocinio. Anche in questa
occasione vi furono: fuochi di
artificio, corse di cavalli, regate di battelli sul fiume, lancio di palloni
aerostatici, illuminazione e bande musicali oltre le cerimonie religiose e la
processione.
Per la festa di San Cetteo del 1828 si ha notizia che il sindaco chiese l’autorizzazione per
rappresentazioni sacre relative al martirio di San Valerio, S. Pietro Martire,
S Giorgio, S.Agnese, S. Dorotea, S. Bonifacio e S. Sebastiano che si svolsero
su due palchi posti in mezzo alla piazza grande nel momento in cui vi giungeva
la processione con la statua del protettore.
Queste rappresentazioni consistevano in pantomime interpretate da persone
del luogo vestite con abiti adatti alle stesse.
Anche per il 1842, e precisamente
il 12 e il 13 novembre, abbiamo notizia di una festa in cui
Nel 1843 risultano promossi festeggiamenti in
onore della Madonna del Fuoco e della
Madonna del Carmine con processioni,
lancio di mortaretti, banda musicale e altri divertimenti. Per il 1844 dalle
fonti risulta che la festa in onore di San Cetteo fu
molto più ricca del solito in
quanto, oltre alla processione, banda musicale, spari, fuochi di artificio e
globi aerostatici, vennero organizzate gare di canotti e cuccagne sul fiume.
La banda musicale non mancava mai di allietare le feste a Pescara tanto
che, nell'aprile del 1847, l’organizzatore e maestro Biase De Francesco chiese
un sussidio di 200 ducati al sovrano per averne una propria. Essa fu istituita e, anche se ebbe difficoltà
per le spese di mantenimento, non si sciolse
e, come risulta dalle carte
dell’ufficio di polizia alla quale si doveva chiedere
l’autorizzazione per esibirsi fuori Pescara,
era attiva nell'estate del 1958,
quando suonò a Casoli di Atri e
Montesilvano.
Pescara, alla metà del 1800, secondo un articolo del giornalista
napoletano Cesare Malpica, essendo una fortezza regia, era rallegrata spesso
anche da riviste militari, spari e
fanfare in occasione delle feste di corte quali: nascite, compleanni, e
onomastici di sovrani, principi e principesse. Il giornalista, presente a
Pescara il 4 ottobre 1843, giorno dell’onomastico del principe ereditario
Francesco, descrive una magnifica scena
dell’evento tra squilli di trombe, fanfare e suono di campane che dettero vita
alla città. Mentre le donne si affacciavano timidamente alle finestre gli uomini
facevano ala sulla via a ufficiali e soldati
che,con le splendide uniformi gialle e verdi, le spalline e le gorgiere
d’oro, presentavano uno spettacolo magnifico.
La festa celebrata il 30 maggio 1851 per l’onomastico del re Ferdinando,
secondo la relazione dell’Intendente, fu molto ricca anche di manifestazioni
tipiche delle feste religiose. Essa durò tre giorni con esibizioni di bande
musicali, cuccagne, corse di battelli sul fiume, lancio di globi aerostatici,
fuochi di artificio spari a salve a cui si aggiunsero gli spari di gioia della
truppa di guarnigione schierata a far bella mostra di sé nella piazza. Nella
relazione viene ricordato che vennero distribuiti ai poveri danari e molto
pane: donazioni che del resto erano elargite sempre in simili occasioni sia dal
Comune sia col concorso di offerte
volontarie.
“Nei tanti lunghi giorni senza feste di santi, onomastici e compleanni dinastici da solennizzare la silente Pescara offriva solo taverne e caffè ai più e il circolo degli ufficiali ai pochi. Non per questo mancava il buon umore e la voglia di ridere e di far ridere, voglia che metteva in allarme i responsabile dell’ordine pubblico”. (Luigi Lopez)
Due grandi manifestazioni rimangono negli annali della storia della
nostra città: le Cinque giornate di Pescara del 1922 e
Le Cinque giornate, che si
svolsero dal 19 al 23 agosto, ebbero come gerente responsabile Zopito Valentino
che chiuse l’evento con un deficit di 91.000 lire, in quanto risultarono
insufficienti i contributi procuratigli dal suo compaesano di Loreto Aprutino
Giacomo Acerbo, tanto che egli dovette emigrare alla ricerca di fondi tra le
comunità italiane d’America.
Si celebrarono, con maggiore consistenza a Pescara ma anche a
Castellammare, con gare di canzoni,
esibizioni varie e con l’intervento di 150 fanciulle, 40 musicanti, 20 paranze e 40 carri. Ogni carro era abbellito da festoni e rami
fioriti, e dipinto di rosso e di azzurro
con la collaborazione di pittori illustri tra cui Basilio Cascella e
figli. Era tirato da una coppia di
bianchi giovenchi e recava belle
giovinette nei costumi sfolgoranti di ori e broccati che cantavano accompagnate
da strumenti popolari organetti, cornamuse, ocarine, mandole.
Ermindo Campana, in un articolo sul Corriere della sera, pubblicò un articolo
corredato da fotografie della sfilata
delle paranze, dei costumi di Caramanico e di altri paesi, del fiume Pescara al
tramonto e di qualcuno dei carri. Il giornalista ci offre una particolare descrizione della
manifestazione menzionando tra l’altro la rievocazione delle antiche danze
popolari: la cappuccinella, la lavandaia, e il salterello a tre, ballate dal
gruppo di Vasto che mandò in visibilio il pubblico che gremiva la sala. “La lavandaia, precisa il Campana,
era tutto un ricamo di arguzie e di gentili allegorie, canto e pantomima e
tutta una serie di prove che la donna esigeva dall'uomo prima di concedersi a
lui per la danza”.
Ricorda anche la presenza di ragazze e di giovani venuti a
rappresentare il proprio paese da ogni angolo dell’Abruzzo, alloggiati in
numero superiore alle normali disponibilità a Pescara e a Castellammare, che risuonavano dovunque e continuamente di ritornelli al chiuso e all'aperto, nei
caffè e negli stabilimenti balneari e conclude “Mai come in quei cinque giorni rifulse così bella al sole la
mole eterna della Maiella e del Gran Sasso”.
La Settimana Abruzzese si svolse dal 19 al 23 agosto dell’anno successivo ed ebbe come patrocinatore Giacomo Acerbo, allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che, non solo procurò cospicui sussidi dal governo e dalle Confederazioni di Industria e Commercio, ma convinse il duce a intervenire per passare in rassegna le otto legioni abruzzesi. Comunque, a parte l’aspetto sicuramente propagandistico del fascismo che si servì di questo evento per l’ostentazione del proprio successo e la creazione dei consensi alla propria ideologia, fu una vera festa popolare di tutti gli abruzzesi, una rassegna della loro operosità e della loro cultura. Mussolini giunse alla stazione ferroviaria e, scortato, raggiunse Piazza I Maggio e dal Padiglione Marino (o Kursaal) annesso al Teatro Pomponi, parlò alla folla dichiarando che “l’Abruzzo era il cuore pulsante della Patria e che fervida era la passione, altissima la fede”. Nel pomeriggio fu accolto nel Circolo Aternino decorato a festa e poi si recò a visitare la casa di Gabriele D’annunzio a pochi passi dal Circolo. Tornò quindi a Castellammare per assistere alla sfilata dei carri e la sera fu al Kursaal per la serata di gala. Il corteo dei carri era composto da oltre 100 elementi di cui: 5 di Pescara, 5 di Castellammare, 5 di Sulmona adorna di confetti e 6 di Orsogna con 80 giovani nei costumi della Maggiolata Abruzzese e altri provenivano dal Molise, dal Chietino e dall'Abruzzo interno. Essi erano adorni di festoni, di papaveri, di alloro o di edera e covoni di grano e carichi di fiorenti ragazze nei costumi tradizionali (quelli di Villa Badessa in costume albanese) tutti trapuntati d’oro. Partiti da Largo Pomponi, percorsero Corso Umberto, Corso Vittorio, il ponte di ferro e arrivarono a via Conte di Ruvo dove seguì la rassegna degli ori e dei costumi. Vi fu anche la caratteristica sfilata delle paranze giunte da Giulianova, Silvi Marina, Pescara, Ortona e Vasto che si svolse costeggiando da nord e si concluse sul fiume. Aggiunse allegria alla settimana festaiola l’esibizione di bande musicali, ogni giornata fu chiusa da fuochi d’artificio tutti alla foce del fiume sulla sinistra. Si disputarono anche gare sportive di vario genere: una motociclistica, una automobilistica, un torneo di calcio, incontri di pugilato di scherma, di pallacanestro, tiro alla fune e ciclismo. Non mancò la tombola di 50000 lire.
Queste alcune delle manifestazioni che animarono, tra il 1800 e il primo trentennio del 1900, la nostra città dalla vocazione sicuramente vivace e festaiola. Circa un secolo dopo, il grande Ennio Flaiano così scriveva della sua città: “Ciò che mi ha sempre colpito nella Pescara di allora era il buonumore delle persone, la loro gaiezza, il loro spirito. Tra i dati positivi della mia eredità abruzzese metto anche la tolleranza ,la pietà cristiana, la benevolenza dell'umore ,la semplicità e la franchezza nelle amicizie”
Ricostruzione storiografica a cura di Elisabetta Mancinelli.
e-mail : manicinellielisabetta@gmail.com
I documenti e le immagini sono tratti da: Pescara di Luigi Lopez; Archivio di Stato di Chieti; Archivio di Stato di Pescara; Pescara forma, identità e memoria della città fra XIX e XX secolo di Paolo Avarello, Carlo Pozzi e Antonello Alici e Pescara a colori della Fondazione Caripe Carsa Edizioni.
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