giovedì 1 ottobre 2020

LA VITA DEL VATE ATTRAVERSO IL SUO CARTEGGIO

 

Di carteggi, biglietti, diari, epistolari e corrispondenze  Gabriele D'Annunzio (1863-1938) ne ebbe moltissime  tanto da essere definito un vero e proprio grafomane. Scriveva sempre e a tutti:  alle amanti  e questo   rappresenta  sicuramente  il filone  più cospicuo, ai familiari, agli amici, agli editori, ai compagni di vecchie avventure ma anche alla cuoca, all'autista. Diversi sono stati i biografi che si sono occupati  della sua  vita articolata e complessa . Tra questi Tom Antongini suo  amico e confidente  per 30 anni,  che nel suo libro biografia ‘La vita segreta di G. d’Annunzio’ così descrive le abitudini epistolari del poeta: “Riceveva ogni giorno, dall'età di 25 anni, dalle 10 alle 60 lettere, dai  20 ai 30 telegrammi, una decina di pacchi postali, 20 cartoline, 15 giornali, 12 libri con dedica e manoscritti in esame che il Poeta aveva l’abitudine di sparpagliare  nei cosiddetti “vassoi infernali” delle camere del Vittoriale il cui contenuto finiva molto spesso mescolato ad altra vecchia  corrispondenza e la maggior parte finiva al macero. Ogni giorno similmente redigeva una vasta quantità di messaggi prediligendo la comunicazione telegrafica. L’ingente dimensione dell’epistolario dannunziano è comprovato dal notevole quantitativo di lettere custodite  presso il  Vittoriale, la Biblioteca Nazionale e molte collezioni private.

 I carteggi, che gli studiosi hanno portato alla luce, sono divisi nei cosiddetti  Fondi.  Tra questi  il più cospicuo  è il Fondo Gentili, che fu venduto dallo stesso poeta al collezionista Francesco Gentili,  costituito da 2000 tra lettere  e stesure preparatorie di opere. Si rifanno a questo fondo le ricostruzioni di molti  importanti epistolari  tra cui la corrispondenza tra D’Annunzio e gli editori Treves e Mondadori   e  il carteggio con Pasquale Masciantonio (450 lettere e 49 telegrammi)  suo confidente e amico, che lo accompagnò nel suo viaggio in Grecia  e  ricoprì il ruolo di organizzatore culturale del circolo di Casoli frequentato dagli artisti del Cenacolo michettiano. Sempre di questo fondo fanno parte anche i carteggi con Luisa Casati Stampa, F.P. Michetti,  Mussolini, Maria Gravina ed Eleonora Duse.

 

                                                                I FILONI

Le lettere del poeta sono comunque state raggruppate dai bibliografi in alcuni grandi filoni: l’Epistolario Familiare documenta le relazioni del vate con la famiglia d’origine e con i propri discendenti. In esso emerge la frequente corrispondenza con la madre Luisa De Benedictis verso la quale nutrì una profonda devozione, un rapporto di “amorosi sensi”. Lo testimoniano tra l’altro una commossa pagina che le scrisse adolescente dal  Cicognini: 

"Mia cara mamma domani è il tuo onomastico ed io vorrei, vorrei ricoprirti il volto di baci…sei il mio angelo e vorrei piuttosto morire prima di farti spargere una lacrima di dolore”. 

Ma  anche molto più tardi,  nel 1911 durante il suo esilio ad Arcachon così le scrive: 

"Il tuo figliuolo è triste ed irrequieto ma non si dimentica mai di te se bene i tuoi silenzi talvolta sieno lunghi. Tutte le crudeltà della vita  non valgono ad indurire il centro del mio cuore dove è la suprema delle tenerezze, la tenerezza per te, cara mamma”. 

Per quanto riguarda la corrispondenza con il  padre Francesco Paolo l’iniziale senso di riconoscenza del giovane collegiale, assecondato nelle sue ambizioni  letterarie, muta nel tempo in un ostile rimprovero per i debiti da lui contratti  fino all'interruzione totale dei rapporti. Anche con il fratello Antonio ebbe una relazione guastata dalle richieste pecuniarie conseguenti al disastro finanziario che lo costrinse a riparare in America.  Vi fu invece uno scambio di missive affettuose nei confronti delle sorelle predilette, Anna, Elvira. Con i figli nati dal matrimonio con Maria Harduin ebbe un rapporto  superficiale per la poca frequentazione. I disagi economici  l’incompatibiltà dei caratteri  complicarono la relazione  col primogenito Mario,  il carteggio con  l’ultimo nato  Veniero  è  pressoché  inesistente, ebbe invece un  più frequente e affettuoso legame con  Gabriellino. D’Annunzio riservò esclusivamente il suo amore paterno alla figlia prediletta Renata frutto della relazione con Maria Gravina, e il  carteggio al riguardo testimonia che l’attaccamento fu reciproco e duraturo.

Attiguo al filone familiare, per il tono confidenziale è quello con gli amici più intimi: tra questi Francesco Paolo Michetti che sicuramente rappresenta una delle più interessanti relazioni amicali e intellettuali del poeta. Sul piano creativo lo scambio tra i due artisti incomincia nel 1880 con l’introduzione di D’Annunzio nel Cenacolo di Francavilla presso il convento michettiano dove si riunivano gli intellettuali abruzzesi: Francesco Paolo Tosti, lo scultore Costantino Barbella, il musicista e poeta Paolo De Cecco, Vittorio Pepe e altri frequentatori più occasionali quali Edoardo Scarfoglio, Matilde Serao, Gennaro Finamore, Antonio De Nino (studiosi della cultura e del folklore d’Abruzzo). Nelle Cento e cento pagine del Libro segreto, D’Annunzio così ricorda con commozione l’amico  Francesco Paolo scomparso sottolineando il profondo affetto che li legava: 

“In una canicola maligna io ero stato costretto dagli eventi a ritirarmi in terra d’Abruzzi, a rifugiarmi nella casa ospitale di un amico che solo in tutti i miei anni potei chiamare mei  dimidium animi”.

Suo grande amico fu anche l’architetto Giancarlo Maroni che trasformò Villa Thode nel Vittoriale, come si evince dall'epistolario costituito da 1146 lettere del Fondo Gian Carlo Maroni che rappresenta un importante testimonianza dell’ultimo periodo di esistenza dannunziana che va dagli anni ‘20 fino al 1938 anno della sua morte. Maroni era cultore di studi esoterici e in questo momento critico di declino   nella vita del poeta, diventa riferimento spirituale e fonte letteraria per il  suo misticismo e lo supporta nella ripresa intellettuale e spirituale e  nell'elaborazione della sua ultima opera: Il libro segreto.

Altro nucleo significativo dei carteggi del Vate è quello  che  il poeta dedica alla sua terra: L’Abruzzo. D’Annunzio con la sua sensibilità  di poeta  ebbe una misteriosa fusione con l’Abruzzo e la  sua gente. Ovunque si trovasse l’incontro di un abruzzese gli faceva riaffluire dal profondo il ricordo della terra lontana.  In una sua missiva così scrive:  

“La mia angoscia porta tutta la sua gente e tutte le sue età [...]. Eravamo su per il Veliki all'assalto i fanti mordevano l’azzurro.....ed ecco odo alla mia sinistra un accento d’Abruzzo, un suono di terra natale. Chiamo, grido, interrogo.  M’è risposto, m’è dato il rude e fiero “tu” paesano e romano. “E tu chi sì? “I so  D’Annunzie”. “Tu si D’Annunzie! Gabriele”! Lo stupore spalancava la bocca del piccolo fante. “E chi sti’ fa’ ècche? Vattene! Vattene! Si i’ me more, n’n è niente; ma si tu te muore, chi  t’arrefà?”.

Della sua Pescara così scrive:

 “Le mura di Pescara  l’arco di mattone, la chiesa screpolata, la piazza coi suoi alberi patiti, l’angolo della mia casa negletta. E’ la piccola patria. E’ sensibile  qua e là  come la mia pelle. Si ghiaccia in me, si scalda in me. Quel che è vecchio mi tocca, quel che è nuovo mi  repugna”.

In un’altra lettera al sindaco di Teramo esprime ancora  il suo amore alla città di Muzio Muzi e di Melchiorre Delfico “dove la ruina del teatro d’Interamnia testimonia romanamente l’antica grandezza”.  Ne  “Il Trionfo della morte” così descrive Ortona a lui cara perché aveva dato i natali alla madre. “Ortona biancheggiava come un’ignea città asiatica su un colle della Palestina, intagliata nell’azzurro, tutta in linee parallele, senza minareti".

Chieti è per il Vate “l’ardua città che contempla la montagna incrollabile e riceve il soffio mutevole del mare”. Anche le leggende della sua gente vengono rievocate nei suoi scritti. Così descrive la valle che si apre alle spalle di Fara San Martino:

 “profonda cento metri, lunga cinquanta e larga due circa e che fu scavata da San Martino il quale per comodo degli abitanti di Fara, si ficcò in mezzo alla montagna; e, urtando coi gomiti di qua e di là, aperse il varco”.  

Le Gole del Sagittario da Anversa a Villalago sono di certo tra i volti più orribili ed emozionanti d’Abruzzo.; ne "La Fiaccola sotto il maggio" così descrive quei luoghi: 

"E’ bello il Sagittario, sai?  Si rompe e schiuma, giù per i macigni; mugghia, trascina tronchi, tetti di capanne, zancole, anche le pecore e gli agnelli che ha rapinato alla montagna. E’ bello sai?”

 Il filone cosiddetto artistico comprende il carteggio testimoniante le frequentazioni con le numerose celebrità dell'élite intellettuale e artistica del tempo. Le relazioni epistolari che scaturiscono da tali rapporti offrono significative informazioni sulla letteratura dannunziana a cavallo tra Ottocento e Novecento. Gli interlocutori tutte personalità di rilievo nel panorama culturale coevo, vanno dai cultori delle arti plastico- figurative, quali Costantino Barbella, Adolfo De Carolis, Tommaso Cascella ai musicisti e gli scenografi che collaborarono alla produzione drammaturgica e letteraria del poeta  quali  Ildebrando Pizzetti, Pietro Mascagni che gli musicò La Parisina, Claude Debussy che gli musicò Le Martyre de Saint Sebastien. Ebbe  numerosi carteggi con scrittori, filosofi, intellettuali tra questi vanno ricordati Paolo De Cecco, Enrico Nencioni, Giovanni Verga, Luigi Pirandello, Arrigo Boito, Luigi Capuana, Giovanni Pascoli  e con gli autori francesi  Maurice Barres e Paul Valery.

Un altro consistente nucleo epistolare riguarda l’argomento bellico e diplomatico del poeta che coinvolge le più autorevoli personalità politiche e militari dell’epoca, ma anche i legionari dell’impresa fiumana e i commilitoni della Grande Guerra. Sul piano storico tuttavia la più importante corrispondenza dannunziana di  carattere diplomatico è quella con Benito Mussolini integralmente pubblicata da Emilio  Mariano e Renzo de Felice nel 1971 che raccoglie 578 lettere relative al periodo 1919 !938  provenienti dagli archivi Generale e Personale del  Vittoriale e dai  fondi della  Segreteria particolare del Duce. Il carteggio illustra l’inizio della complicata relazione fra il poeta e Mussolini  iniziata dalla collaborazione dannunziana col Popolo d’Italia e le mosse del duce per arginare la fama di D’Annunzio ed evidenzia il disallineamento di Mussolini rispetto all'impresa fiumana e quello del Vate rispetto al neonato movimento fascista.           

Ma il filone più cospicuo e significativo è costituito dall’Epistolario  amoroso.

I carteggi di carattere amoroso costituiscono un capitolo unico dell’epistolario dannunziano per la grande importanza che rivestono sia sul piano biografico che letterario infatti contengono veri e propri brani di letteratura dove le abilità stilistiche dell’autore sono impiegate per evocare atmosfere sensuali finalizzate a trascinare l’amata nel vortice della passione. Il carteggio dal D’Annunzio amatore era  infatti considerato strumento di seduzione per irretire la “preda” nella fase del corteggiamento e continuare ad alimentarne l’eccitazione durante la relazione. Solo nella fase finale declinante della relazione l’eccitazione verbale si  spegne lasciando spazio ad un D’Annunzio laconico e privo di argomenti. I carteggi di tal genere iniziano dagli anni ‘Cicognini’ in cui l’adolescente idealista e sognatore scrive a Giselda  Zucconi  (figlia di un docente del Cicognini) trasfigurata in Lalla nei versi  del  suo secondo  libro Canto Novo.  


A Roma incontra  Maria Hardouin la futura moglie ed è  passione irrefrenabile fatta di infiammate lettere, e folli regali che lo porta a soli venti anni a una fuga d’amore e al conseguente matrimonio riparatore. Un rapporto che gli diede tre figli ma che fu  complicato e doloroso per Maria, vissuto tra laceranti sospetti e continui tradimenti. Come documenta un carteggio del fondo Gentili. Un rapporto che solo verso l’età adulta si distenderà in un civile e sereno dialogo e abiterà  per un certo periodo in un dependance del Vittoriale.


Ma il 2 aprile 1887  incontra Elvira Leoni chiamata dal poeta BarbarellaInizia così la storia più lunga e forse più coinvolgente della vita del poeta lo testimonia un vasto carteggio di oltre 1000 lettere durante gli anni 1887-1892. Bella e provocante, dotata di particolare sensibilità artistica, Barbara sarà la protagonista e la musa indiscussa per il Vate che trasfigurerà quella storia d’amore e di passione, nelle  pagine del Trionfo della morte.   Gli incontri  si consumano fra Roma e San Vito, dove gli amanti vivono una storia avventurosa e palpitante. Così scrive al suo Gabriele Barbara:

“Ho qui tra le mie mani i lenzuoli bianchi dove ho dormito l’ultima volta abbracciata a te. Sono turbata dalla passione, dal desiderio, oh! Se tu fossi uno spirito e potessi volare in questa sera tutta azzurra e tiepida che mi accora!".

E così a lei Gabriele: 

“Le tue lettere hanno il tuo profumo, sempre, il profumo che mi turba così stranamente in fondo all'anima e ai sensi. Le ho lette non so quante volte; e son rimasto triste, assai triste, come prima, anzi di più”. 

Gabriele e Barbara vissero il momento più intenso della loro passione nell'estate del 1899 nell’ L’Eremo dannunziano chiamato anche Eremo delle Portelle dal nome dell’ incantevole zona collinare di San Vito Chietino con vista sulla Costa dei Trabocchi. La casa fu scelta e consigliata dall'amico  pittore Francesco Paolo  Michetti per la particolare bellezza del luogo. Dal 1996 la salma di Barbarella dal 1996  è stata tumulata,  per iniziativa dell’Associazione dell’Eremo dannunziano, e del Notaio De Rosa,  nel giardino antistante la casa dove Gabriele e Barbara vissero il momento più intenso della loro passione.

 La fine del periodo romano e della relazione con Barbara segnano una nuova fase del D’annunzio uomo e autore, si trasferisce a Napoli dove inizia una convivenza con Maria Gravina che soggiornò con D’Annunzio dal 1894 al 1897 al Villino Mammarella a Francavilla al Mare con la figlioletta Renata  nata dall'unione il 9 gennaio 1893. Chiamata affettuosamente Cicciuzza, rimase sempre molto legata al poeta. Ne è testimonianza una lettera che le scrisse dalla  Capponcina  a  Settignano.

“Cara figlioletta, non  ti dimentico mai. Il tuo ritratto è presso il mio capezzale quando dormo, è su la mia tavola quando lavoro”.

Anche Renata fu molto vicina al padre nel periodo della sua convalescenza a Venezia dopo l’incidente all'occhio del 1916 e fu lei che trascrisse e riordinò i manoscritti del Notturno redatti dal poeta che nel testo la  chiama Sirenetta.


Nel 1903 D’annunzio incontra Luisa Casati Stampa che il poeta chiamava Core come la divinità degli Inferi rapita da Plutone. Il loro rapporto se pur sporadico durò un decennio. La relazione ricca di eventi trasgressivi ed originali a causa dell’eccentricità della donna collezionista di animali esotici e suppellettili  bizzarre viene raccontata nel Libro Segreto e di carteggi di D’Annunzio: Lettere a Core.In una  di esse  così le scrive: 

”Ti giuro, stigia Coré, che scrivo la verità semplice. Iersera la tua presenza divenne implacabile,…Eri tu, averna Coré,...Ora,  letèa Coré, da alcuni giorni tu abiti divinamente la mia immaginazione”.



Un altro carteggio testimonia la storia d’amore con Alessandra di Rudinì, vedova con due figli, statuaria, irrequieta, trasgressiva. La relazione, libera ed esaltante, ebbe il suo apice  nell'estate del 1906 quando fu ospite  nella villa in Versilia di Marianna Ginori Lisci insieme al poeta e ai suoi figli. Gabriele, che la definisce un’amazzone, così descrive quei giorni felici:

“Galoppando sui colli di Firenze fra levrieri e cavalli, nel profumo dell’aria, tra la vita vibrante dei campi alla corsa e alla gioia». 

Alessandra finirà la sua vita, ormai sfiorita nella bellezza e logorata nel corpo per l’uso della morfina e per i tanti interventi chirurgici, nel chiuso del convento delle Carmelitane col nome di suor Maria di Gesù.



Ma la relazione probabilmente più importante del poeta sia sul piano sentimentale che artistico  è senza dubbio quella con Eleonora Duse. Gli archivi del  Vittoriale conservano circa millecinquecento lettere inviate da Eleonora Duse a Gabriele D’Annunzio nell'epoca del loro amore e del loro sodalizio artistico. Il carteggio,  inedito fino a qualche anno fa, al di là dal complesso legame sentimentale, offre un’occasione unica per ripercorrere,  alcuni importanti  momenti evolutivi del teatro italiano tra Otto e Novecento.

Nel momento in cui si innamorano, la Duse, ha 36 anni ed è già nel fiore della sua carriera; D'Annunzio ha cinque anni in meno di lei e non perderà mai occasione per farle pesare questa differenza d'età.
Nel 1892 c'è il primo contatto epistolare. La Duse ha appena letto "L'Innocente" e rimasta affascinata, chiede all'autore di lavorare per lei, di preparare un'opera che lei possa portare in scena. Nel settembre 1894, a Venezia, il primo incontro fatale: Eleonora rimane incantata ed è da questo momento che si prefigge è fare conoscere al mondo intero l'opera teatrale del suo amato, che per lei scriverà quattro tragedie. 
Ma il Vate  continua ad affollare la propria alcova di sempre nuove conquiste. Grande è la sofferenza della Duse che continua a recitare, a guadagnare e ad indebitarsi per poter portare in scena le fallimentari opere teatrali dell'amato. Secondo D'Annunzio la colpa dell'insuccesso è di Eleonora, alla quale preferisce la diva Sarah Bernhardt, più celebre e quindi più adatta alle sue divoranti ambizioni.  E' infatti alla Bernhardt che il poeta ha già deciso di affidare "La città morta". Tradita come donna e come attrice, la Duse decide di troncare la relazione, ma continua ad amare D'Annunzio. E il Vate continua implacabilmente a farle del male. Famoso è l'affronto del romanzo autobiografico “Fuoco” dove il poeta mette a nudo la loro storia d'amore, pubblica la loro intimità, divulga i segreti d'alcova.  Ma la Duse, coerente  con il suo folle amore così scrive:

"La mia sofferenza, qualunque essa sia, non conta quando si tratta di dare un altro capolavoro alla letteratura italiana, E poi, ho 41 anni e amo."      

Ma l'offesa più imperdonabile rimane quella che le fece  togliendole il ruolo di protagonista nell'opera "La figlia di Iorio" , scritta su misura per lei, quando ormai l'attrice sta per portarla in scena, sa già la parte a memoria e ha persino già pronto il costume. D'Annunzio manderà un fattorino a ritirare il costume di scena, inviando alla Duse un biglietto: 

"Il teatro è un mostro che divora i suoi figli: devi lasciarti divorare."  

Di fronte all'evidenza del tradimento, nel 1904 Eleonora gli scrive:

"Non ti difendere, figlio, perché io non ti accuso. Non parlarmi dell'impero della ragione, della tua vita carnale, della tua sete, di vita gioiosa. Sono sazia di queste parole! Da anni ti ascolto dirle. Parto di qui domani. A questa mia non c'è risposta." 

In effetti non vi fu mai risposta a quell'addio. Solamente molti anni più tardi D'Annunzio nel 1923  pochi mesi prima della sua morte le scrive :

"Io ti amo meglio di prima… Ti bacio le mani tanto che te le consumo.”

La morte della Divina, a Pittsburgh il lunedì di Pasqua del 1924, suscita in Italia una commozione enorme.
D'Annunzio si appella a Mussolini affinché lo Stato provveda a far tornare in patria quella che il Vate  chiama  "la salma adorabile". Devastato dal rimorso, scrive: 
"E' morta quella che non meritai."
Al  Vittoriale, nella stanza chiamata l'officina, vi è  una statua raffigurante il volto di Eleonora Duse che il Vate soprannominò musa velata poiché abitualmente teneva la statua coperta da un velo per non provare dolore nel rivedere quell'immagine che la mostrava giovane e bella .




Un vasto carteggio di circa 100 lettere e biglietti e telegrammi, riguarda la corrispondenza tra il Vate e Luisa Baccara (Venezia 1891-1985) che fu l'ultima compagna del poeta nell'esilio dorato del Vittoriale, donna  elegantissima e  musicista di talento, aveva deciso di lasciare le scene, per esibirsi al pianoforte, in esclusiva, per il suo amato Gabriele. Dal carteggio emerge la figura di una donna affascinante, appassionata, che aveva seguito D'Annunzio fin dall'impresa di Fiume (dopo l'amore tempestoso del Vate con Eleonora Duse) e lo accompagnò fino alla morte vivendo con lui al Vittoriale. Fu una relazione mentale e carnale, il loro rapporto fu forte ma  per molti aspetti particolare: infatti molto spesso fu  proprio Luisa Baccara chiamata dal Vate con lo pseudonimo «Smikra»  a fare da tramite tra il poeta e le sue numerose amanti. In una di queste missive così le scriveva Gabriele firmandosi Ariel, il 17 febbraio 1920: 

«Buongiorno! Sono rimasto con la delusione di stanotte, e con la maschera misteriosa. Il tuo corpo nudo sotto la seta mi bruciava più che mai. E la carezza terribile mi estenuò ma non mi placò. Attendo la notte prossima, che sarà lunga e breve. Cerco i profumi per la pelle "conciata dal demonio."

Ma il carteggio dannunziano è sempre in itinere in quanto ricchissimo e vengono alla luce sempre nuovi carteggi privati.

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli. 

e-mail: mancinellielisabetta@gmail.com

I documenti sono tratti dall'Archivio di Stato di Pescara e Chieti.

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