RICORDI FRANCAVILLESI di Gabriele d’ Annunzio
Nell’autunno 1880 Gabriele d’Annunzio entra nel Cenacolo come si evince dagli “Idilli Selvaggi” dedicati a Tosti, Michetti, Barbella e De Cecco. Il poeta così descriveva il momento dell’ingresso nel Convento Michetti all’amico Nencioni: “Giunsi a casa ai primi di luglio dal ‘Cicognini’ un po’ sciupato… trovai nel Michetti un amico amoroso che mi rialzò, mi distrasse, mi comunicò un po’ della sua fede e del suo foco sacro”.
Gli artisti lavorarono insieme per circa 10 anni in sintonia
e armonia cercando di realizzare una compenetrazione di espressioni artistiche
e creare una simbiosi spirituale.
Il Cenacolo michettiano fu uno straordinario fenomeno raro nella storia dell’arte italiana animato dal sogno di una grande immensa “Arte
fatta di tutte le arti” sulle ali di un sogno wagneriano.
Così Francavilla e con essa l'Abruzzo balzò, in quest'ultimo scorcio di fine
Ottocento e nei primi anni del Novecento, alla ribalta nazionale.
Gabriele d’Annunzio nei Ricordi francavillesi pubblicati a
Roma nel giornale “Fanfulla della Domenica” il 7 gennaio 1883 con il
sottotitolo “Frammento autobiografico”
così racconta dei giorni nel Cenacolo:
“Oh bei giorni ottobrali di Francavilla, quando il culto
dell’arte ci univa! Quella povera casa solitaria, in mezzo alla immensità dei
litorali, era il nostro tempio: per le stanze un grande alito di salsedine
spirava, ci ventava in faccia l’odore degli scogli, ci infiltrava nel sangue
un’aspra freschezza di salute… Oh bei giorni di Francavilla!
Che sciupio felice di giovinezza, di forze, di amore, di sangue, di vino! Che felice copia d’ingegno sparsa nelle tele, nella creta, nelle strofe, nelle canzoni!
Paolo Tosti allora cantava: una scaturigine vergine di melodia gli surgeva dal cuore pullulando e zampillando naturalmente. Tra i suoi accordi i ritornelli delle cantilene languivano come in eco, nella sua romanza infondevano come una tristezza indefinibile di nostalgia. Per la casa le onde fresche del suono talvolta si spargevano all’improvviso propagando un fremito: noi stavamo in ascolto, levato il capo dal lavoro….
Così la vita era in fiore… Prodigavo colori e odori e fulgori con una pazza ingenuità di fanciullo. Di tratto in tratto la faccia olivastra e sonnacchiosa di Paolo De Cecco si chinava su le mie carte e un fine sorriso animava quegli occhi….
Era il terzo Paolo, una figura d’arabo ubriaco di sogni di tabacco e di amori…. e dalle corde metalliche del mandolino suscitava la dolce tristezza umana delle note di Schubert. Accanto a me Costantino Barbella plasmava la divina creta, canticchiando. Ai tocchi fini della stecca e del pollice le forme feminee balzavano fuora con una viva freschezza di gioventù, con una movenza balda di vita. In torno nella nitidezza del bronzo, arridevano i suoi idilli maggiaioli. Si viveva così obliosamente. La sera, mentre il plenilunio ottobrale saliva alla marina, i nostri cori risuonavano nella tranquillità degli oliveti, sotto l’incerto biancicare argentino dei rami. Erano le canzoni della patria. Dalle lontananze altri cori giungevano sul vento: nelle aie le villane cantavano, scartocciando le pannocchie di granturco, alla faccia lunare.”
Che sciupio felice di giovinezza, di forze, di amore, di sangue, di vino! Che felice copia d’ingegno sparsa nelle tele, nella creta, nelle strofe, nelle canzoni!
Paolo Tosti allora cantava: una scaturigine vergine di melodia gli surgeva dal cuore pullulando e zampillando naturalmente. Tra i suoi accordi i ritornelli delle cantilene languivano come in eco, nella sua romanza infondevano come una tristezza indefinibile di nostalgia. Per la casa le onde fresche del suono talvolta si spargevano all’improvviso propagando un fremito: noi stavamo in ascolto, levato il capo dal lavoro….
Così la vita era in fiore… Prodigavo colori e odori e fulgori con una pazza ingenuità di fanciullo. Di tratto in tratto la faccia olivastra e sonnacchiosa di Paolo De Cecco si chinava su le mie carte e un fine sorriso animava quegli occhi….
Era il terzo Paolo, una figura d’arabo ubriaco di sogni di tabacco e di amori…. e dalle corde metalliche del mandolino suscitava la dolce tristezza umana delle note di Schubert. Accanto a me Costantino Barbella plasmava la divina creta, canticchiando. Ai tocchi fini della stecca e del pollice le forme feminee balzavano fuora con una viva freschezza di gioventù, con una movenza balda di vita. In torno nella nitidezza del bronzo, arridevano i suoi idilli maggiaioli. Si viveva così obliosamente. La sera, mentre il plenilunio ottobrale saliva alla marina, i nostri cori risuonavano nella tranquillità degli oliveti, sotto l’incerto biancicare argentino dei rami. Erano le canzoni della patria. Dalle lontananze altri cori giungevano sul vento: nelle aie le villane cantavano, scartocciando le pannocchie di granturco, alla faccia lunare.”
Ricerca storiografica a cura di Elisabetta Mancinelli
email: mancinellielisabetta@gmail.com
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Articolo Giornalistico " I ricordi francavillesi " che Gabriele d'Annunzio pubblicò sul giornale "Fanfulla della domenica"a Roma
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