L'esistenza di appunti scritti in diverse occasioni da Gabriele D'Annunzio era già nota agli inizi del Novecento, in quanto il poeta stesso ne parlò più volte.
Si tratta di veri e propri quadernetti che il Vate usava portarsi nelle tasche ovunque andasse per poter annotare, in ogni momento, qualsiasi pensiero gli passasse per la mente, molto importanti per la genesi delle sue opere , rivestono un ruolo fondamentale nel poeta abruzzese più che in altri autori.
Scopo principale del poeta nel fissare queste annotazioni era quello di "fermare sulla carta" i pensieri e le immagini, i luoghi che riteneva degni di essere ricordati e che potevano costituire materiale prezioso per una successiva elaborazione letteraria.
Anche se frammentari, questi testi offrono un ritratto spirituale del poeta e approfondimenti critici del suo lavoro letterario.
Una delle caratteristiche principali dei Taccuini è la notevole presenza di descrizioni: un mezzo per indagare la realtà.
Dei luoghi amava riferire con minuzia tutti i particolari, ciò non gli impediva tuttavia la loro trasfigurazione da spazi reali a luoghi mitizzati.
Questi appunti hanno diverse chiavi di lettura: una fedele cronaca delle vicende della vita dell'uomo con registrazioni di viaggi, notizie private e familiari, impegni mondani, promemoria, spese quotidiane relative al ménage domestico, ma anche un diario dell'anima: emozioni, amori, entusiasmi, inquietudini, delusioni.
La stessa vita creativa di D'Annunzio è ricostruibile attraverso i documenti di ispirazione poetica, le tracce delle trame che saranno alla base dei suoi romanzi, i nomi registrati dei protagonisti, i discorsi di natura politica.
L’opera presenta un carattere unitario: costituito da frammenti di sensazioni, da annotazioni immediate chiamate "faville di pensiero", il tutto registrato da D’Annunzio con una sconcertante puntualità dal 1881 al 1925.
Due sono i tipi dei taccuini quelli scritti di getto , anche se non nel momento stesso dell’avvenimento,al tavolino sul filo della memoria e quelli invece, rielaborati, frutto di un ripensamento I Taccuini rintracciati sono circa centodiciotto: centootto rinvenuti negli Archivi del Vittoriale degli Italiani nel cassetto dello scrittoio del poeta, sette in Archivi privati; a questi si aggiungono tre già pubblicati.
Alcuni di questi quadernetti andarono dispersi mentre altri furono donati dal poeta a persone amiche.
Nell'anno del centocinquantesimo anniversario della nascita di Gabriele D'Annunzio è stato pubblicato un taccuino inedito, fino ad oggi conservato nella Biblioteca Cantonale di Coira in Svizzera che aveva ricevuto in dono da un amico del poeta.
Il quadernetto d'appunti a righe, come spesso ha fatto in altri taccuini, venne scritto dal poeta all'età di 16 anni quando era convittore nel liceo Cicognini di Prato, che frequentò dal 1876 al 1881.
Si tratta di una raccolta di proverbi e modi di dire toscani. Il testo segue un disegno preciso, spiegato in «Le faville del maglio. Il compagno dagli occhi senza cigli»:
Il desiderio del poeta di studiare la lingua italiana per affrancarsi dal dialetto abruzzese:
«La providenza di mio padre che mi vietava la barbara terra d'Abruzzi finché non fossi intoscanito incorruttibilmente».
Tante sono le sensazioni che il poeta annota durante i viaggi che compie a Parigi, Londra in Grecia, in Germania, in Svizzera e soprattutto in Italia. Un momento particolarmente suggestivo è quando descrive ciò che prova passeggiando tra i trulli di Alberobello cittadina inimitabile per la caratteristica presenza dei trulli, (dal greco trullo : “cupola”) durante un viaggio in Puglia che avvenne negli ultimi giorni di settembre del 1917 al tempo del volo per il bombardamento delle Bocche di Cattaro del 4 ottobre.
Egli entrò nel trullo col numero civico 7, situato nella piazza a lui intitolata e così descrive lo stupore per lo straordinario paesaggio della Murgia, avvolto dalle strane costruzioni coniche :” all’improvviso nella valle d’Itria ecco spuntare case di fiaba… attendamenti di pietra nel terreno ondulato,.. innumerevoli coni bruni contrassegnati dall’emblema fenicio..” Vorrei stendermi per terra in un "trullo" dalla volta d'oro e lì sognar”.
Un Taccuino molto intenso in quanto pregno di amore i luoghi delle sue origini, venne scritto del 1905 in occasione di un ritorno nella sua terra che così recita: “ M’è caro che il primo saluto in questa terra d’Abruzzi che con tanta abbondanza d’amore accoglie il suo figliolo fedele tornante da un travagliato esilio alla bontà del grembo natale, m’è caro che il primo saluto, e forse il più profondo, mi venga dai miei prossimi, da coloro che nacquero sul mio bel fiume, che respirano i venti di quel mare ove si temprò la mia adolescenza ansiosa.
Ancora una volta, con una gioia che mi par nuova, per voi m’è dato riconoscere i legami sacri che congiungono la mia anima all’anima della mia gente…Quanto per me fu lieto l’arrivo nella città dove mi sembra esser rinato e consacrato da un battesimo ideale tanto per me è doloroso questo commiato ..Moltiplicate le forze all’opera prossima per la quale io chiedo il vostro augurio.
O miei concittadini, affinchè sia degna della vostra aspettativa fidente.
Voi mi avete dato un meraviglioso viatico per il cammino che mi resta da compiere. Ovunque in ogni luogo e in ogni tempo, da presso e da lontano, tutto il mio cuore con tutta la mia fede sarà con voi e per voi. A rivederci!”
Brani dai Taccuini dannunziani
1 1. La Pescara: il fiume Pescara a Popoli (alla sorgente) da
Taccuini 8 Settembre 1881
“ L’acqua
corrente tra i pioppeti dilaga, acqueta
le ire, poi seguita il viaggio tra i
cespugli di celidonia gialla e d’ortiche.
Si specchian i pioppeti
nell’acqua. Il rivo ha freschissimi
murmuri , scende un bove grigio a bere. A fronte di queste ombre fatate
s’ergono d’intorno le roccie aridissime , bruciate dal sole, prendendo stupendi
riflessi dorati e d’argento. Ciuffi di menta odorosa sulle rive. Un coro
lontano: è il meriggio. E il rivo passa
con murmuri freschi suadendo i
sonni pagani. Sopra , l’azzurro tenero
limpidissimo.
La
Pescara dappresso è un nembo di spume… dilaga precipitando da piccole roccie
muscose.
I pioppi d’intorno come giganti verdi sognanti al murmure soave. Volan
le cavolaie candide di tra le foglie,
s’alzano alti gruppi di ortiche coi fiori roseo -violetti. Mancan le Najadi ne’ voli azzurri. Che splendidi sogni! Che freschezza lucente di fogliami. Che lembo di spume meraviglioso. Dà le vertigini!
Lanciarsi là e sparire! Le roccie traforate dall’acqua si ergono. Sale polvere
acquosa a rinfrescare il viso. Valanghe
valanghe di spuma….
Io
disteso sul tappeto morbido d’erba sotto
una cupola di pioppi fra cui giuoca il
sole meravigliosamente. Le foglie dei salici nel sole sembrano d’argento.
L’acqua smeraldina passa presso. Che follia, che gioia, che ebbrezza di verde!
Ondeggiano l’ erbe alte con un bisbiglio alto. Solitudine verde, ove canta il
vento .. che agita in ampia tempesta
l’erbe. Che
onda! … E verde e verde e verde..!
2. Il Pescara alla foce
da Taccuini Ottobre
1882
“
Il fiume che passa entro una barca rossa alla foce, dall’altra parte la riva …
passa la barca veloce con rumore, un gabbiano biancastro aleggia
sull’acqua. Stan su la riva i lini
sparsi, in fondo alla foce la linea verde del mare sparsa di punte rosse e
gialle che sono paranze lontane. Sole di ottobre calma, scirocco. Una gran barca s’affatica ad entrare, un
nuvolo di gabbiani bianchi turbina nell’aria si tuffa nell’acqua. Il fiume è delirante di sole e vengono
vele; una innanzi rossa arancione accesa al sole, un fuoco di colori che sbatte
sull’acqua azzurrina del fiume; placide
barche, una gialla e rossa, un’altra rossa a zone nere, sembrano di velluto … E’ un incendio di sole , viene uno sciame di
vele , cadono ammainate, è una febbre, ho la febbre del colore, l’acqua
s’incendia di foco rossissimo … Che sinfonia , che gridi, che tuoni di colore! Tra il verde caldo
autunnale delle rive. C’è il rosso bruno; le vele si afflosciano e si chiudono
come ali stanche, ondeggiano, si aggrinzano …”
3. Anversa degli Abruzzi
( da Taccuini
Ottobre 1896):
“
Anversa. Avanzi di un castello . Chiesa
con un rosone del XVI sec. e una porta
con due figure , una delle quali con una gran barba che la copre tutta d’un manto. E’ vestita
d’una pelle di pecora. Il rosone è gotico. Su la porta San Girolamo portante
una casa nelle mani e un leone ai piedi. Nella chiesa una croce
processionale d’argento ornata di rilievi. Andavamo per le terre nell’estate
ardente. Di tratto in tratto trovavamo nelle chiese le belle croci d’argento
dagli orafi sulmontini che ci
rinfrescavano … Il Sagittario , il fiume spumoso, si dilata in un luogo ricco
di trote, chiamato Acquazzeta. L’acqua è
gelida e cristallina su un fondo di innumerevoli erbe molli”
4. Silvi (TE) da Altri Taccuini (1910):
"Una
strada corre lungo il mare , parallela alla spiaggia, limitata da qualche
pioppo.
Un
fiume di ghiaia , largo, si
confonde coi campi è come una via di migrazione, come un tratturo...
Una
torre quadrangolare di vedetta, merlata
sul mare ...
Il
mare su una spiaggia tanto sottile che sembra debba avanzarsi scorrendo su
tutto il paese, fino al piè dei poggi. Le file di paranze con un solo
albero e le antenne posate sul bordo, le
reti tese sulla cima dell'albero a poppa e a prua. Nella sabbia le piccole
viti nerastre, sermenti secchi e torti : Silvi”
5. Discorso ai Pescaresi da Taccuini
(1905)
“ M’è
caro che il primo saluto in questa terra d’Abruzzi che con tanta abondanza d’amore accoglie il suo figliolo fedele tornante da un
travagliato esilio alla bontà del grembo natale , m’è caro che il primo saluto e forse il più
profondo, mi venga dai miei prossimi, da coloro che nacquero sul mio bel fiume
, che respirano i venti di quel mare ove si temprò la mia adolescenza ansiosa.
Ancora una volta , con una gioia che mi par nuova, per voi
m’è dato riconoscere i legami sacri che congiungono la
mia anima all’anima della mia gente... Quanto per me fu
lieto l’arrivo nella città dove mi sembra esser rinato e consacrato da un
battesimo ideale tanto per me è doloroso questo commiato… Moltiplicate le forze
all’opera prossima per la quale io chiedo il vostro augurio . o miei concittadini,
affinché sia degna della vostra aspettativa fidente.
Voi
mi avete dato un meraviglioso viatico per il cammino che mi resta da compiere.
Ovunque in ogni luogo e in ogni tempo, da presso e da lontano, tutto il mio
cuore con tutta la mia fede sarà con voi
e per voi. A rivederci!”
6. Visita ad Alberobello e ai
Trulli: da Taccuini
(1917)
“..all’improvviso nella valle d’Itria ecco spuntare case di
fiaba .. innumerevoli coni bruni…
vorrei stendermi
per terra in un "trullo" dalla volta d'oro e lì sognar”..
“Partiamo
per Brindisi in automobile. Lunga strada abbagliante, per una campagna di sete.
Grossi borghi imbiancati. Gli
olivi.
Tra
Alberobello e Locorotondo i paesaggi strani sparsi di trulli. Una specie di
attendamento lapideo. I padiglioni conici di pietra, col fiore in cima. I
trulli bruni e bianchi. I gruppi di coni. Penso ad una abitazione fatta di
sette trulli con l’interno dorato, con le pareti di lapislazzuli, con i
pavimenti coperti di tappeti arabi. Ad Alberobello la festa di Cosimo e
Damiano, la festa dei Santi Medici. Carri pieni di pellegrini,
processioni, musiche … paese remoto come
sogno, e come un’antica età. La via bianca tra muri e secco. Gli ulivi
consorti, sui grossi ceppi, simili a quelli della baia d’Itea, di Delfo, di
Egina; ulivi ellenic i,l’erba arsiccia nell’ombra, color di velluto fulvo.
Le
pecore nere, le pecore dei sacrifizi
alle divinità di sotterra, che fuggono tra ombra e ombra. Qualche capro
nero, dall’occhio giallo. Qualche stuolo di contadini seminudi, simili a certi
gruppi di terracotta beotica, simili a certe figure dei vasi campani. Nella stanchezza mi addormento …
Mi
sveglio e vedo un paese di sogno, come se dormissi tuttavia. L’attendamento di
pietra nel terreno ondulato. Gli innumerevoli coni bruni contrassegnati
dall’emblema fenicio.
Lunghe
nuvole rosee in cielo d’acquamarina … Le città bianche che s’innazzurrano nella
sera.
La
luna pallidissima nel cielo limpido.”
7. Venezia : San Marco e notte lunare
da
Altri
Taccuini (1896):
San Marco
“… al mattino, le
cupole hanno uno splendore , riposato, tranquillo. Dalle vetrate, a oriente, entra qualche
riflesso di sole chiaro. Nel coro i preti salmodiavano in coro… Appoggiato al pilastro egli sente
alle spalle il gelo del marmo polito. A sinistra , sotto l’arco profondo, sul
campo d’oro, il colossale albero popolato di apostoli. Le venature dei marmi, il verde chiazzato di
bianco, il rosso bianco e nero, il bianco con vene d’un cupo oro … Accanto le colonne di granito opache , con le
basi fendute, solcate … I sedili logorati
e lucidi. Nel vano delle finestre
la luce e l’inferriata si rispecchiano perfettamente. Nel coro i canonici negli stalli, ammantati
di paonazzo, cantavano …
NOTTE LUNARE “La bocca del Canalazzo presso la Salute, è piena di barche illuminate, cariche di
musici e di canto Le gondole seguono, piene di donne che ascoltano i
suoni. Il cielo è purissimo, palpitante
di stelle; l’acqua è immobile. I lumi della Riva vi si riflettono. I navigli
ancorati interrompono lo specchio con le loro masse. I due angeli d’oro, di San
Marco e di San Giorgio, toccano le stelle”
8 – Brescia : Museo
Civico da Altri
Taccuini (1909):
“Il
Museo Civico a Brescia. La piazzetta
deserta. Il cancello. Nella piazza di
San Zeno con i delfini attorti. A sinistra, contro la casa del custode un
melograno in fiore, che copre tutta la muraglia. Una fontanella geme in una vasca fatta di un capitello
vuoto. Capitelli corrosi ammonticchiati
vecchie pietre. Dinanzi è la scalinata di pietra nei cui interstizi cresce
l’erba. Tronchi di colonne scanalate, grigiastre, biancastre. Di qua e là dalla
scala fiori di giaggioli delicati e qualche rosaio. Cippi, frammenti di
architravi- Un oleandro fiorito. Si entra in un grande sala dalle pareti coperte di iscrizioni. Le vetrine
funebri piene di bronzi e di vetri.
Nella stanza chiara, dove il sole entra, ingombra di are, di anfore, di bassi
rilievi è la Vittoria di bronzo. Tiene il piede destro a terra, il sinistro
alzato, forse poggiato su un occipite del vinto? Le due braccia fanno un gesto
incomprensibile. Ha il diadema d’argento. Nell’interno della Vittoria fu
trovata la statuetta dorata dello schiavo con le braccia legate dietro le reni.
La Vittoria era sul carro , teneva forse le redini e una corona . La testa piccola
come quella d’Isabella. La
capellatura ondeggiata costretta dal diadema d’argento. L’ala sinistra è rotta.
Il peplo cade sul dorso del piede. Un gruppo di pieghe rilevato le attraversa
il corpo all’altezza del pube. I busti di bronzo dorato su le mezze colonne di
marmo nero. L’orecchio piccolissimo con la parte superiore celata dai capelli.
L’omero possente e rotondo. Il seno sinistro più saliente, sotto il peplo,
dalla parte del braccio alzato. Una patina verde con macchie rossastre e
biancastre. La patina fa verde, tutto verde, l’occhio sinistro. La parte
inferiore del volto è nerastra, il collo
è forte. Nella prima sala iscrizioni
sacre e onorarie ed epitaffi. Sul pavimento un mosaico.”
9. Genova
: da
ALTRI TACCUINI (1915)
“Genova,
la città che assale il cielo con la sovrapposizione titanica dei suoi palagi di
pietra e sembra avere in sé la volontà di ascensione che dalle sue vecchie fondamenta la solleva su
per le giovani alture come per veder più alto e più lontano, Genova che dantescamente
dei remi fece ala a sé per traversare i secoli con un battito assiduo di potenza migratrice
come Corinto e Atene, la più feconda delle stirpi italiche, quella che ebbe in retaggio lo spirito di Ulisse
tirreno per tentare e aprire tutte le vie, per popolare i lidi più remoti, per
fornire uomini e navi a tutti i principi, per dare capitani a tutte le armate,
per portare nell’Atlantico le costumanze del Mediterraneo... Grazie dell’accoglienza generosa.. Che il primo saluto mi venga da
cittadini genovesi è caro al mio cuore come non so dire. Ciascuno di voi
comprende come in quest’ora la mia commozione non sia esprimibile …. I
cinque troppo lunghi anni di triste
assenza sono aboliti dietro di me. Non vivo , non voglio vivere se non
la vita nuova, non voglio respirare se non la primavera d’Italia… Viva sempre
l’Italia!. Evviva la sua sorella latina che mi fu tanto ospitale. Viva anche la Francia!”
10.
Venezia: La casa rossa - Il giardino Eden da Taccuini
Il giardino Eden.” Lunghe pergole a’ cui lati
sorgono nella luce verde a traverso la trasparenza dei pampini, lunghe file di
puri gigli. In un prato molti alberi di marasche carichi di frutti vermigli. La
pioggia crepita dolcemente. Un grande roseto, una massa di rosai. Oleandri, masse di garofani, tutto in copia prodigiosa a
mucchi. I melograni fioriti di fiori violentemente rossi, quei fiori in cui
sono già i frutti. Siepi di papaveri. Caduti i petali rimangono le bacche, le
capsule coronate. Al confine v’è una siepe di acacie che limita. Di là la
laguna con le isole ... ”
11. Venezia : Partenza per Buccari: da Taccuini (1918)
“Leggo
lo scherno che ho chiuso nelle tre bottiglie. Scoppio di entusiasmo . Tutti
giurano sulla parola di giuramento che io pronunzio. Viva l’Italia!.. Quando vediamo torreggiare la prua
dell’Animoso, rimontiamo a bordo dei Mas . Uscimmo per il passo del Lido. I
siluri sono abbassati Non fa freddo . Il vento , in corsa è moderato.
Benessere”.
12. I Primi morti della
Squadriglia Navale:
da
Taccuini
(1918)
“
Compagni non vuol quel pianto né rimpianto chi ha la ventura di cadere nella battaglia non vuol essere vanamente lacrimato ma vendicato potentemente. L’altra
sera , la sera del solstizio , quando ci fu annunziato l’olocausto di Francesco
Baracca mentre i nostri uomini caricavano di bombe i nostri apparecchi, io
dissi che gli antichi nostri avevan ragione di celebrare la morte degli eroi
con giuochi funebri. E per celebrare degnamente la morte dell’eroe , partimmo …
finchè la notte non fu consunta. Due di questi nostri
compagni abbattuti erano con noi, erano con me , volenterosi, ardenti .Di
tratto in tratto volgendomi dalla prua, vedevo tra l’una e l’altra ala i loro
giovani volti intentissimi dove le raffiche del vento notturno sembravano
eccitare il coraggio come l’ardore nella face … La terra sta per prenderli.
Sono i nostri primi morti. La nostra giovane Squadriglia ha il loro i suoi
primi morti….. Lo strazio delle loro
carni è sparso su l’erba …
13. Volo su Vienna : 9 agosto 1918
da Altri Taccuini - I messaggi: Il primo
:Viennesi!
imparate a conoscere gli Italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare
bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori
della libertà.Noi non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi
facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro
cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre
d'odio e d'illusioni. Viennesi!Voi avete fama d'essere intelligenti. Ma perché
vi siete messa l'uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo si è
volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela. E' il vostro suicidio.
Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro
vittoria è come il pane dell'Ucraina: si
muore aspettandolo .Popolo di Vienna, pensa ai tuoi casi. Svegliati! Viva
la libertà! Viva l'Italia …
Il secondo: "In
questo mattino d'agosto, mentre si compie il quarto anno della vostra
convulsione disperata e luminosamente comincia l'anno della nostra piena
potenza, l'ala tricolore vi apparisce all'improvviso, come l'indizio del destino che si
volge. Il destino si volge. Si volge verso di noi con una certezza di ferro. E' passata per sempre l'ora di quella
Germania che vi trascina, vi umilia e vi infetta…
14. FIUME
: discorso ai legionari da Taccuini (1920)
“Legionari
,soldati di terra e di mare, compagni d’arme e d’anima, ieri in quel grande
anfiteatro tra la roccia e il Golfo … ancora una volta celebrai la primavera
coi miei fanti.
Ancora
una volta fui soldato tra i soldati, compagno tra i compagni, fedele tra i
fedeli. Marciai con voi, mangiai il rancio con voi … Il vostro passo è mio . Il vostro fiato è mio
…
Non
ci sono più soldati vittoriosi, poiché non c’è più la vittoria. Ma solo il
soldato di Fiume è vittorioso… ed è non
soltanto la coscienza della nazione: è la giovinezza creatrice della nazione. C’è
solo un esercito italiano: quello di Fiume … Questa è la realtà immutabile … la
spada italiana del Piave e del Grappa, caduta nel fango, noi l’abbiamo
raccattata, l’abbiamo impugnata e la teniamo sollevata e pronta … Se l’Italia
vile ci rinnega e ci abbandona, noi soli salveremo il suo onore e la sua gloria”.
15. D'Annunzio e la musica da Altri Taccuini n.38 :
"Dove la musica parla tutto il resto è
silenzio. Ogni altra parola è inopportuna perchè interrompe quell'armonia segreta che nasce in
ognuno di noi, se abbiamo ricevuto con raccoglimento la rivelazione dell'arte
divina. Sempre la musica, la più tenue e la vasta, rapisce e solleva il nostro
sogno profondo, il nostro desiderio e il nostro dolore, la nostra speranza e la
nostra aspettazione.. La musica è sempre un linguaggio che risponde al nostro
intimo linguaggio, ha sempre una risposta per ciascuna domanda".
16. Le Piavole ( Le bambole): Viaggio
nel Veneto nei
pressi del fiume Timavo da Taccuini (1918):
“Piccole donne dalle gambe nude come per guadare il
Lete , vesti succinte color fragola. Grandi maniche
bianche, col capo coperto da un cappello come il papavero di Proserpina. Lo scialletto nero dalla lunga frangia, dalle
calze nere, dagli alti tacchi, con visini modellati dalla febbre, pallidi
strani. Una danzatrice con la gonnella rosea, cinta di fiori irreali, rose
azzurre. I piedi fasciati come da coturno,i capelli
gialli, le Duchesse posate su la campana della gonna sparsa di
fiori, i boccoli biondi , i grandi cappelli di convolvolo, i seni gemelli, le
collane di perle , i boccoli d’un bianco roseo e violaceo. I colori, un grigio
azzurro, un giallo, un bianco, il raso, il velo il velluto. I pierrò bianchi
coi bottoni neri, malinconici e sensuali, i nasini le bocchine , le maschere
irregolari , la passione e l’ironia..”
17. Gardone - Il Vittoriale
2 Febbraio la Candelora da Taccuini (1925)
:
... “Nel Cenacolo solitario una mano fraterna ha
posto su la mensa le primizie. Le
prime viole,i primi narcisi … Queste
fresche e infantili
primizie mi fanno disdegnare le opere d’arte raffinatissime che ornano
la mia tavola. Le viole sono le prime… le accosto alle narici … hanno un odore
intenso … In un vasetto d’argento tre narcisi … un odore acuto, più di quello
delle violette. Ed ecco nel suo vaso di coccio , nella sua terra, il giacinto …
Su le pareti , intorno i segni del mio eroismo, le
reliquie dei miei
eroi,i brandelli di camicie insanguinate, brandelli di grigioverde,i
nastri azzurri inzuppati di sangue. Le medaglie che brillano dietro il vetro
del reliquiarii. E, come mosso da una primavera occulta, il sangue eroico, il fraterno
sangue, comincia a fluire, comincia a gorgogliare …
I vetri di
Murano : le forme giunte a perfezione dopo prove e riprove e generazioni e generazioni
di vetrai e consunzione di
fuochi. Di attimo in attimo s’immalinconisce il pensiero
nella caducità del fiore , nell’agonia
del fior reciso.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli
email: mancinellielisabetta@gmail.com
email: mancinellielisabetta@gmail.com
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