giovedì 13 dicembre 2018

I Taccuini di Gabriele D'Annunzio


L'esistenza di appunti scritti in diverse occasioni da Gabriele D'Annunzio era già nota agli inizi del Novecento, in quanto il poeta stesso ne parlò più volte.
Si tratta di veri e propri quadernetti che il Vate usava portarsi nelle tasche ovunque andasse per poter annotare, in ogni momento, qualsiasi pensiero gli passasse per la mente, molto importanti per la genesi delle sue opere , rivestono un ruolo fondamentale  nel poeta abruzzese più che in altri autori.
Scopo principale del poeta nel fissare queste annotazioni era quello di "fermare sulla carta" i pensieri e le immagini, i luoghi che riteneva degni di essere ricordati e che potevano costituire materiale prezioso per una successiva elaborazione letteraria.
Anche se frammentari, questi testi offrono un ritratto spirituale del poeta e approfondimenti critici del suo lavoro letterario.
Una delle caratteristiche principali dei Taccuini è la notevole presenza di descrizioni: un mezzo per indagare la realtà.
Dei luoghi amava riferire con minuzia tutti i particolari, ciò non gli impediva tuttavia la loro trasfigurazione da spazi reali a luoghi mitizzati.


Questi appunti hanno diverse chiavi di lettura: una fedele cronaca delle vicende della vita dell'uomo con registrazioni di viaggi, notizie private e familiari, impegni mondani, promemoria, spese quotidiane relative al ménage domestico, ma anche un diario dell'anima: emozioni, amori, entusiasmi, inquietudini, delusioni.


La stessa vita creativa di D'Annunzio è ricostruibile attraverso i documenti di ispirazione poetica, le tracce delle trame che saranno alla base dei suoi romanzi, i nomi registrati dei protagonisti, i discorsi di natura politica.
L’opera presenta un carattere unitario: costituito da frammenti di sensazioni, da annotazioni immediate chiamate "faville di pensiero", il tutto registrato da D’Annunzio con una sconcertante puntualità dal 1881 al 1925.
Due sono i tipi dei taccuini quelli scritti di getto , anche se non nel momento stesso dell’avvenimento,al tavolino sul filo della memoria e quelli invece, rielaborati, frutto di un ripensamento I Taccuini rintracciati sono circa centodiciotto: centootto rinvenuti negli Archivi del Vittoriale degli Italiani nel cassetto dello scrittoio del poeta, sette in Archivi privati; a questi si aggiungono tre già pubblicati.
Alcuni di questi quadernetti andarono dispersi mentre altri furono donati dal poeta a persone amiche.


Nell'anno del centocinquantesimo anniversario della nascita di Gabriele D'Annunzio è stato pubblicato un taccuino inedito, fino ad oggi conservato nella Biblioteca Cantonale di Coira in Svizzera che aveva ricevuto in dono da un amico del poeta.
Il quadernetto d'appunti a righe, come spesso ha fatto in altri taccuini, venne scritto dal poeta all'età di 16 anni quando era convittore nel liceo Cicognini di Prato, che frequentò dal 1876 al 1881.
Si tratta di una raccolta di proverbi e modi di dire toscani. Il testo segue un disegno preciso, spiegato in «Le faville del maglio. Il compagno dagli occhi senza cigli»:
Il desiderio del poeta di studiare la lingua italiana per affrancarsi dal dialetto abruzzese:
«La providenza di mio padre che mi vietava la barbara terra d'Abruzzi finché non fossi intoscanito incorruttibilmente».
Tante sono le sensazioni che il poeta annota durante i viaggi che compie a Parigi, Londra in Grecia, in Germania, in Svizzera e soprattutto in Italia. Un momento particolarmente suggestivo è quando descrive ciò che prova passeggiando tra i trulli di Alberobello cittadina inimitabile per la caratteristica presenza dei  trulli, (dal greco trullo : “cupola”) durante un viaggio in Puglia che avvenne negli ultimi giorni di settembre del 1917 al tempo del volo per il bombardamento delle Bocche di Cattaro del 4 ottobre.


Egli entrò nel trullo col numero civico 7, situato nella piazza a lui intitolata e così descrive lo stupore per lo straordinario paesaggio della Murgia, avvolto dalle strane costruzioni coniche :” all’improvviso nella valle d’Itria ecco spuntare case di fiaba… attendamenti di pietra nel terreno ondulato,.. innumerevoli coni bruni contrassegnati dall’emblema fenicio..” Vorrei stendermi per terra  in un "trullo" dalla volta d'oro e lì sognar”.
Un Taccuino molto intenso in quanto pregno di amore i luoghi delle sue origini, venne scritto del 1905 in occasione di un ritorno nella sua terra che così recita: “ M’è caro che il primo saluto in questa terra d’Abruzzi che con tanta abbondanza d’amore accoglie il suo figliolo fedele tornante da un travagliato esilio alla bontà del grembo natale, m’è caro che il primo saluto, e forse il più profondo, mi venga dai miei prossimi, da coloro che nacquero sul mio bel fiume, che respirano i venti di quel mare ove si temprò la mia adolescenza ansiosa.


Ancora una volta, con una gioia che mi par nuova, per voi m’è dato riconoscere i legami sacri che congiungono la mia anima all’anima della mia gente…Quanto per me fu lieto l’arrivo nella città dove mi sembra esser rinato e consacrato da un battesimo ideale tanto per me è doloroso questo commiato ..Moltiplicate le forze all’opera prossima per la quale io chiedo il vostro augurio.
O miei concittadini, affinchè sia degna della vostra aspettativa fidente.
Voi mi avete dato un meraviglioso viatico per il cammino che mi resta da compiere. Ovunque in ogni luogo e in ogni tempo, da presso e da lontano, tutto il mio cuore con tutta la mia fede sarà con voi e per voi. A rivederci!”

                                         Brani dai Taccuini dannunziani


1  1.   La Pescara:  il fiume Pescara a Popoli  (alla sorgente)  da Taccuini  8 Settembre 1881
L’acqua corrente tra i pioppeti  dilaga, acqueta le ire, poi seguita  il viaggio tra i cespugli di celidonia  gialla e d’ortiche. Si specchian   i pioppeti nell’acqua.  Il rivo ha freschissimi murmuri , scende un bove grigio a bere. A fronte di queste ombre fatate s’ergono d’intorno le roccie aridissime , bruciate dal sole, prendendo stupendi riflessi dorati e d’argento. Ciuffi di menta odorosa sulle rive. Un coro lontano: è il meriggio.  E il rivo passa con murmuri freschi  suadendo         i sonni  pagani. Sopra , l’azzurro tenero limpidissimo.
La Pescara dappresso è un nembo di spume… dilaga precipitando da piccole roccie muscose.                                      I pioppi d’intorno come giganti verdi sognanti al murmure soave. Volan le cavolaie candide di tra le  foglie, s’alzano alti gruppi di ortiche coi fiori roseo -violetti. Mancan  le Najadi ne’ voli azzurri.      Che splendidi sogni!    Che freschezza lucente di fogliami.  Che lembo di spume meraviglioso.                       Dà le vertigini! Lanciarsi là e sparire! Le roccie traforate dall’acqua si ergono. Sale polvere acquosa a rinfrescare il viso. Valanghe  valanghe  di spuma….
Io disteso  sul tappeto morbido d’erba sotto una cupola di  pioppi fra cui giuoca il sole meravigliosamente. Le foglie dei salici nel sole sembrano d’argento. L’acqua smeraldina passa presso. Che follia, che gioia, che ebbrezza di verde! Ondeggiano l’ erbe alte con un bisbiglio alto. Solitudine verde, ove canta il vento .. che agita in ampia tempesta  l’erbe.  Che onda! …  E verde e verde e verde..!

2. Il Pescara  alla foce   da Taccuini  Ottobre  1882
“ Il fiume che passa entro una barca rossa alla foce, dall’altra parte la riva … passa la barca veloce con rumore, un gabbiano biancastro aleggia sull’acqua.  Stan su la riva i lini sparsi, in fondo alla foce la linea verde del mare sparsa di punte rosse e gialle che sono paranze lontane. Sole di ottobre calma, scirocco.  Una gran barca s’affatica ad entrare, un nuvolo di gabbiani bianchi turbina nell’aria si tuffa nell’acqua.    Il fiume è delirante di sole e vengono vele; una innanzi rossa arancione accesa al sole, un fuoco di colori che sbatte sull’acqua azzurrina  del fiume; placide barche, una gialla e rossa, un’altra rossa a zone nere, sembrano di velluto …                      E’ un incendio di sole , viene uno sciame di vele , cadono ammainate, è una febbre, ho la febbre del colore, l’acqua s’incendia di foco rossissimo … Che sinfonia , che gridi, che tuoni di colore!                       Tra il verde caldo autunnale delle rive. C’è il rosso bruno; le vele si afflosciano e si chiudono come ali  stanche, ondeggiano, si  aggrinzano …”
3. Anversa degli Abruzzi  ( da Taccuini  Ottobre  1896):
“ Anversa.  Avanzi di un castello . Chiesa con un rosone del XVI  sec. e una porta con due figure , una delle quali con una gran barba  che la copre tutta d’un manto. E’ vestita d’una pelle di pecora. Il rosone è gotico. Su la porta San Girolamo portante una casa nelle mani e un leone ai piedi.                Nella chiesa una croce processionale d’argento ornata di rilievi. Andavamo per le terre nell’estate ardente. Di tratto in tratto trovavamo nelle chiese le belle croci d’argento dagli orafi  sulmontini  che  ci rinfrescavano … Il Sagittario , il fiume spumoso, si dilata in un luogo ricco di trote, chiamato  Acquazzeta. L’acqua è gelida e cristallina su un fondo di innumerevoli erbe molli”

4.   Silvi (TE)  da  Altri Taccuini  (1910):
"Una strada corre lungo il mare , parallela alla spiaggia, limitata da qualche pioppo.
Un  fiume di ghiaia , largo, si confonde coi campi è come una via di migrazione, come un tratturo... 
Una  torre quadrangolare di vedetta, merlata sul mare ...
Il mare su una spiaggia tanto sottile che sembra debba avanzarsi scorrendo su tutto il paese, fino             al  piè dei poggi. Le file di paranze con un solo albero  e le antenne posate sul bordo, le reti tese sulla cima dell'albero a poppa e a prua. Nella sabbia le  piccole  viti nerastre, sermenti secchi                e torti :  Silvi”


5.  Discorso  ai  Pescaresi  da Taccuini  (1905)
 “ M’è caro che il primo saluto in questa terra d’Abruzzi che  con tanta  abondanza d’amore accoglie il  suo figliolo fedele tornante da un travagliato esilio alla bontà del grembo natale ,                  m’è caro che il primo saluto e forse il più profondo, mi venga dai miei prossimi, da coloro che nacquero sul mio bel fiume , che respirano i venti di quel mare ove si temprò la mia adolescenza ansiosa. Ancora una volta , con una gioia che mi par nuova, per  voi  m’è dato riconoscere  i  legami sacri che congiungono  la  mia  anima  all’anima della mia gente... Quanto per me fu lieto l’arrivo nella città dove mi sembra esser rinato e consacrato da un battesimo ideale tanto per me è doloroso questo commiato… Moltiplicate le forze all’opera prossima per la quale io chiedo il vostro augurio . o  miei  concittadini, affinché sia  degna  della  vostra  aspettativa  fidente.
Voi mi avete dato un meraviglioso viatico per il cammino che mi resta da compiere. Ovunque in ogni luogo e in ogni tempo, da presso e da lontano, tutto il mio cuore con tutta la mia  fede sarà con voi e per voi.  A rivederci!”

6. Visita ad Alberobello e ai Trulli:  da  Taccuini (1917)
“..all’improvviso nella valle d’Itria  ecco  spuntare  case  di  fiaba .. innumerevoli  coni  bruni…
  vorrei stendermi per terra  in un "trullo" dalla volta d'oro e lì sognar”..

 “Partiamo per Brindisi in automobile. Lunga strada abbagliante, per una campagna di sete.           Grossi borghi imbiancati. Gli olivi.
Tra Alberobello e Locorotondo i paesaggi strani sparsi di trulli. Una specie di attendamento lapideo. I padiglioni conici di pietra, col fiore in cima. I trulli bruni e bianchi. I gruppi di coni. Penso ad una abitazione fatta di sette trulli con l’interno dorato, con le pareti di lapislazzuli, con i pavimenti coperti di tappeti arabi. Ad Alberobello la festa di Cosimo e Damiano, la festa dei Santi Medici. Carri pieni di pellegrini, processioni,  musiche … paese remoto come sogno, e come un’antica età. La via bianca tra muri e secco. Gli ulivi consorti, sui grossi ceppi, simili a quelli della baia d’Itea, di Delfo, di Egina; ulivi ellenic i,l’erba arsiccia nell’ombra, color di velluto fulvo.
Le pecore nere, le pecore dei sacrifizi  alle divinità di sotterra, che fuggono tra ombra e ombra. Qualche capro nero, dall’occhio giallo. Qualche stuolo di contadini seminudi, simili a certi gruppi di terracotta beotica, simili a certe figure dei vasi campani.    Nella stanchezza mi addormento …
Mi sveglio e vedo un paese di sogno, come se dormissi tuttavia. L’attendamento di pietra nel terreno ondulato. Gli innumerevoli  coni  bruni  contrassegnati dall’emblema fenicio.
Lunghe nuvole rosee in cielo d’acquamarina … Le città bianche che s’innazzurrano nella sera.
La luna pallidissima nel cielo limpido.”

7.  Venezia : San Marco e  notte lunare   da  Altri Taccuini (1896):
San Marco
“… al mattino, le cupole hanno uno splendore , riposato, tranquillo.  Dalle vetrate, a oriente, entra qualche riflesso di sole chiaro. Nel coro i preti salmodiavano  in coro… Appoggiato al pilastro egli sente alle spalle il gelo del marmo polito. A sinistra , sotto l’arco profondo, sul campo d’oro, il colossale albero popolato di apostoli.  Le venature dei marmi, il verde chiazzato di bianco, il rosso bianco e nero, il bianco con vene d’un cupo oro …  Accanto le colonne di granito opache , con le basi fendute,  solcate … I sedili  logorati  e  lucidi. Nel vano delle finestre la luce e l’inferriata si rispecchiano perfettamente.     Nel coro i canonici negli stalli, ammantati di paonazzo, cantavano …
NOTTE LUNARE  “La bocca del  Canalazzo  presso la Salute,  è piena di barche illuminate, cariche di musici e di canto Le gondole seguono, piene di donne che ascoltano i suoni.   Il cielo è purissimo, palpitante di stelle; l’acqua è immobile. I lumi della Riva vi si riflettono. I navigli ancorati interrompono lo specchio con le loro masse. I due angeli d’oro, di San Marco e di San Giorgio, toccano le stelle”

8 – Brescia :  Museo Civico  da  Altri Taccuini  (1909):
“Il Museo Civico a Brescia.  La piazzetta deserta. Il cancello. Nella  piazza di San Zeno con i delfini attorti. A sinistra, contro la casa del custode un melograno in fiore, che copre tutta la muraglia. Una fontanella geme  in una vasca fatta di un capitello vuoto.  Capitelli corrosi ammonticchiati vecchie pietre. Dinanzi è la scalinata di pietra nei cui interstizi cresce l’erba. Tronchi di colonne scanalate, grigiastre, biancastre. Di qua e là dalla scala fiori di giaggioli delicati e qualche rosaio. Cippi, frammenti di architravi- Un oleandro fiorito. Si entra in un grande sala dalle pareti  coperte di iscrizioni. Le vetrine funebri  piene di bronzi e di vetri. Nella stanza chiara, dove il sole entra, ingombra di are, di anfore, di bassi rilievi è la Vittoria di bronzo. Tiene il piede destro a terra, il sinistro alzato, forse poggiato su un occipite del vinto? Le due braccia fanno un gesto incomprensibile. Ha il diadema d’argento. Nell’interno della Vittoria fu trovata la statuetta dorata dello schiavo con le braccia legate dietro le reni. La Vittoria era sul carro , teneva forse le redini e una corona . La testa  piccola  come quella d’Isabella.  La capellatura ondeggiata costretta dal diadema d’argento. L’ala sinistra è rotta. Il peplo cade sul dorso del piede. Un gruppo di pieghe rilevato le attraversa il corpo all’altezza del pube. I busti di bronzo dorato su le mezze colonne di marmo nero. L’orecchio piccolissimo con la parte superiore celata dai capelli. L’omero possente e rotondo. Il seno sinistro più saliente, sotto il peplo, dalla parte del braccio alzato. Una patina verde con macchie rossastre e biancastre. La patina fa verde, tutto verde, l’occhio sinistro. La parte inferiore del volto è nerastra,  il collo è forte.  Nella prima sala iscrizioni sacre e onorarie ed  epitaffi.  Sul pavimento un mosaico.”
9. Genova : da  ALTRI TACCUINI  (1915)
“Genova, la città che assale il cielo con la sovrapposizione titanica dei suoi palagi di pietra e sembra avere in sé la volontà di ascensione che  dalle sue vecchie fondamenta la solleva su per le giovani alture come per veder più alto e più lontano, Genova che  dantescamente  dei remi fece ala a sé per traversare i secoli  con un battito assiduo di potenza migratrice come Corinto e Atene, la più feconda delle stirpi italiche, quella  che ebbe in retaggio lo spirito di Ulisse tirreno per tentare e aprire tutte le vie, per popolare i lidi più remoti, per fornire uomini e navi a tutti i principi, per dare capitani a tutte le armate, per portare nell’Atlantico le costumanze del Mediterraneo...                  Grazie dell’accoglienza  generosa.. Che il primo saluto mi venga da cittadini genovesi è caro al mio cuore come non so dire. Ciascuno di voi comprende come in quest’ora la mia commozione non sia esprimibile …. I cinque  troppo lunghi anni di triste assenza sono aboliti dietro di me.                              Non vivo , non voglio vivere se non la vita nuova, non voglio respirare se non la primavera d’Italia… Viva sempre l’Italia!. Evviva la sua sorella latina che mi fu tanto ospitale.  Viva anche la Francia!”

10. Venezia: La casa rossa - Il giardino Eden da Taccuini
 Il giardino Eden.” Lunghe pergole a’ cui lati sorgono nella luce verde a traverso la trasparenza dei pampini, lunghe file di puri gigli. In un prato molti alberi di marasche carichi di frutti vermigli. La pioggia crepita dolcemente. Un  grande  roseto, una massa di rosai. Oleandri, masse  di garofani, tutto in copia prodigiosa a mucchi. I melograni fioriti di fiori violentemente rossi, quei fiori in cui sono già i frutti. Siepi di papaveri. Caduti i petali rimangono le bacche, le capsule coronate. Al confine v’è una siepe di acacie che limita. Di là la laguna con le isole ... ”
11. Venezia  : Partenza per Buccari: da Taccuini   (1918)
Leggo lo scherno che ho chiuso nelle tre bottiglie. Scoppio di entusiasmo . Tutti giurano sulla parola di giuramento che io pronunzio. Viva l’Italia!.. Quando  vediamo torreggiare  la  prua dell’Animoso, rimontiamo a bordo dei Mas . Uscimmo per il passo del Lido. I siluri sono abbassati  Non  fa freddo . Il vento , in corsa è moderato. Benessere”.
12.  I Primi morti della Squadriglia Navale: da Taccuini (1918)
“ Compagni non vuol quel pianto né rimpianto chi ha la ventura  di cadere nella battaglia  non vuol essere vanamente  lacrimato ma vendicato potentemente. L’altra sera , la sera del solstizio , quando ci fu annunziato l’olocausto di Francesco Baracca mentre i nostri uomini caricavano di bombe i nostri apparecchi, io dissi che gli antichi nostri avevan ragione di celebrare la morte degli eroi con giuochi funebri. E per celebrare degnamente la morte dell’eroe , partimmo … finchè                     la notte non fu consunta. Due di questi nostri compagni abbattuti erano con noi, erano con me , volenterosi, ardenti .Di tratto in tratto volgendomi dalla prua, vedevo tra l’una e l’altra ala i loro giovani volti  intentissimi  dove le raffiche del vento notturno sembravano eccitare il coraggio come l’ardore nella face … La terra sta per prenderli. Sono i nostri primi morti. La nostra giovane Squadriglia ha il loro i suoi primi  morti….. Lo strazio delle loro carni è sparso su l’erba
13. Volo su Vienna :  9 agosto 1918  da  Altri Taccuini - I messaggi:  Il primo
:Viennesi! imparate a conoscere gli Italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà.Noi non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d'odio e d'illusioni. Viennesi!Voi avete fama d'essere intelligenti. Ma perché vi siete messa l'uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo si è volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela. E' il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria è come il pane  dell'Ucraina: si muore aspettandolo .Popolo di Vienna, pensa ai tuoi casi. Svegliati! Viva la libertà! Viva l'Italia
Il  secondo:  "In questo mattino d'agosto, mentre si compie il quarto anno della vostra convulsione disperata e luminosamente comincia l'anno della nostra piena potenza, l'ala tricolore vi apparisce all'improvviso, come l'indizio del destino che si volge. Il destino si volge. Si volge verso di noi con una certezza di ferro.     E' passata per sempre l'ora di quella Germania che vi trascina, vi umilia e vi infetta…

14. FIUME : discorso  ai legionari da Taccuini (1920)
Legionari ,soldati di terra e di mare, compagni d’arme e d’anima, ieri in quel grande anfiteatro tra la roccia e il Golfo … ancora una volta celebrai la primavera coi miei fanti.
Ancora una volta fui soldato tra i soldati, compagno tra i compagni, fedele tra i fedeli. Marciai con voi, mangiai il rancio con voi …  Il vostro passo è mio . Il vostro fiato è mio …
Non ci sono più soldati vittoriosi, poiché non c’è più la vittoria. Ma solo il soldato di Fiume è vittorioso…  ed è non soltanto la coscienza della nazione: è la giovinezza creatrice della nazione. C’è solo un esercito italiano: quello di Fiume … Questa è la realtà immutabile … la spada italiana del Piave e del Grappa, caduta nel fango, noi l’abbiamo raccattata, l’abbiamo impugnata e la teniamo sollevata e pronta … Se l’Italia vile ci rinnega e ci abbandona, noi soli salveremo il suo onore e  la sua gloria”.

15. D'Annunzio e la musica    da Altri Taccuini n.38 :
  "Dove la musica parla tutto il resto è silenzio. Ogni altra parola è inopportuna perchè  interrompe quell'armonia segreta che nasce in ognuno di noi, se abbiamo ricevuto con raccoglimento la rivelazione dell'arte divina. Sempre la musica, la più tenue e la vasta, rapisce e solleva il nostro sogno profondo, il nostro desiderio e il nostro dolore, la nostra speranza e la nostra aspettazione.. La musica è sempre un linguaggio che risponde al nostro intimo linguaggio, ha sempre una risposta per ciascuna domanda".
16. Le  Piavole  ( Le bambole):   Viaggio  nel  Veneto  nei  pressi del fiume  Timavo da Taccuini  (1918):
“Piccole donne dalle gambe nude come per guadare il Lete , vesti  succinte color fragola.                              Grandi maniche bianche, col capo coperto da un cappello come il papavero di Proserpina.                          Lo scialletto nero dalla lunga frangia, dalle calze nere, dagli alti tacchi, con visini modellati dalla febbre, pallidi strani. Una danzatrice con la gonnella rosea, cinta di fiori irreali, rose azzurre.                      I piedi fasciati come da coturno,i capelli gialli, le  Duchesse  posate su la campana della gonna sparsa di fiori, i boccoli biondi , i grandi cappelli di convolvolo, i seni gemelli, le collane di perle , i boccoli d’un bianco roseo e violaceo. I colori, un grigio azzurro, un giallo, un bianco, il raso, il velo il velluto. I pierrò bianchi coi bottoni neri, malinconici e sensuali, i nasini le bocchine , le maschere irregolari , la passione e l’ironia..”

17. Gardone - Il  Vittoriale  2 Febbraio  la Candelora da Taccuini  (1925) :
... “Nel Cenacolo solitario una mano fraterna ha posto su la mensa le primizie. Le  prime  viole,i primi narcisi … Queste fresche  e  infantili  primizie mi fanno disdegnare le opere d’arte raffinatissime che ornano la mia tavola. Le viole sono le prime… le accosto alle narici … hanno un odore intenso … In un vasetto d’argento tre narcisi … un odore acuto, più di quello delle violette. Ed ecco nel suo vaso di coccio , nella sua terra, il giacinto …
Su le pareti , intorno i segni del mio eroismo, le reliquie  dei  miei  eroi,i brandelli di camicie insanguinate, brandelli di grigioverde,i nastri azzurri inzuppati di sangue. Le medaglie che brillano dietro il vetro del reliquiarii. E, come mosso da una primavera occulta, il  sangue eroico, il  fraterno  sangue, comincia a fluire, comincia a gorgogliare …
I  vetri di Murano : le forme giunte a perfezione dopo prove e riprove  e generazioni e  generazioni  di vetrai  e consunzione di fuochi.  Di  attimo in attimo s’immalinconisce il pensiero nella caducità del fiore , nell’agonia  del  fior reciso.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli 
email: mancinellielisabetta@gmail.com

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