Nei documenti pontifici più antichi, anteriori al XIII secolo, si ha menzione, nella città chiamata ancora Aterno, di cinque chiese tutte appartenenti al vescovo di Chieti. S. Salvatore di cui si ha notizia che nel secolo IX fu donata a S.Benedetto e ai monaci di Montecassino dalla contessa Iselgarda insieme alla metà del porto: la sua posizione era sul fiume nella fortezza della città.
S. Nicola detta fuori le mura exterius proprio perché posta verso l'esterno della fortezza. S. Gerusalemme che sorgeva sul sagrato dell'attuale cattedrale dalla parte di via Gabriele D'Annunzio . S. Tommaso, ai piedi della città, presso la porta che guardava il mare e citata nella Passione di S. Cetteo.
La parrocchiale dei Santi Leguziano e Domiziano detta 'plebem' ossia pieve nei documenti cioè parrocchiale posta al piede della città.
A queste vanno aggiunte le Chiese di S. Paolo e S. Lorenzo che una bolla di Alessandro III nel secolo XII riconosce appartenente a S. Giovanni in Venere. Trascorsi solo alcuni secoli di tutte queste chiese l'unica superstite fu Santa Maria di Gerusalemme che assunse la funzione di parrocchiale e nel 1600 prese ad essere detta di S. Cetteo.
Nella vecchia Pescara in via dei Bastioni: che era la via più importante della città vi sorgevano tutte e tre la chiese principali Santa Maria di Gerusalemme, San Giacomo e la chiesa del Rosario Unita all'ospedale militare, verso Piazza Unione era la chiesa di S. Giacomo (fig. di fianco in alto). La costruirono gli spagnoli devotissimi di quel santo probabilmente nel tardo '600 ed era in pratica la parrocchia dei militari della fortezza. Fu distrutta dai bombardamenti del 1943. Questi distrussero anche un'altra vecchia chiesa quella del Rosario anch'essa del tardo 1600) (fig. di fianco in basso) della omonima confraternita ricordata come vicina a quella dei francescani, anch'essa del tardo '600.
La relazione della visita pastorale dell'arcivescovo di Chieti ci informa che era di forma rettangolare di quasi 16 metri per tre divisa in tre navate ovali; aveva tre porte ognuna corrispondente a una navata, non aveva cupola né vere colonne ma la divisione in navate derivava da quattro pilastri. La minuziosa descrizione precisa che l'organo era in pessimo stato che il pavimento era di mattoni che tre erano i suoi altari e due le campane, l'una di 180 Kg, l'altra di circa 125 ed era ricca di 86 candelabri di legno dorato. Sempre le visite pastorali degli arcivescovi di Chieti, a partire dal XVI secolo, accanto a Santa Maria di Gerusalemme, menzionano la chiesa di S. Agostino e quella di S. Francesco annesse rispettivamente al convento degli agostiniani e dei francescani e quella della S.S. Annunziata annessa al convento benedettino femminile. Il convento e la chiesa di S. Agostino furono l'uno soppresso e l'altra sconsacrata e trasformati in deposito di sale: il convento aveva allora due soli ospiti quanti ne aveva nel 1500. La chiesa e il convento di S. Francesco furono inizialmente intitolati a S. Lorenzo Martire: la loro fondazione sembra risalire al 1200 infatti il convento pescarese è compreso nel primo elenco delle case dell'ordine compilato all'inizio del 1300.
Anche questo convento, quando fu soppresso, all'inizio del 1800, ospitava due soli frati come due soli ne ospitava anche nel 1500. I locali furono trasformati in caserma nel 1819 poi ospitarono l'ufficio telegrafico e furono demoliti alla fine del secolo. Al momento della soppressione la comunità , che in passato doveva essere stata abbastanza numerosa, a giudicare dai locali, risultava composta da sette stanze disposte attorno al cortile nel piano terra, di cui una adibita a cantina e da ventuno nel primo piano. Per quanto riguarda la S.S. Annunziata ospitava le monache della regola celestiniana che occupavano il cosiddetto 'padiglione delle monache' poi sostituito dal mercato coperto di porta Nuova.Anche questo complesso fu soppresso nel 1800.
Non fu soppresso all'inizio del 1800 il convento dei Cappuccini, alla sinistra del fiume, in territorio di Castellammare. Era stato fondato col titolo di San Giuseppe nel 1631, nella zona attuale del vecchio ospedale, allora quasi disabitata e perciò rispondente alle esigenze dell'ordine che prediligeva aprire le sue case in zone isolate. Proprio nel chiostro di questo convento fu redatto, secondo documenti dell'epoca, l'atto notarile col quale nel dicembre del 1665 i capifamiglia della villa di Castellammare si impegnarono a corrispondere il noto quantitativo di grano per il mantenimento del parroco nella nuova chiesa parrocchiale della Madonna dei Sette Dolori.
Nei primi decenni del 1700 la comunità era costituita da una dozzina di frati ridotti anch'essi a due soli nel 1808 ai quali l'amministrazione comunale di Pescara elargiva un'elemosina annua di dodici ducati. Il convento fu soppresso nel 1866 ma i frati vi restarono fino al 1880.
I cappuccini tornarono a Pescara nel 1941, inizialmente come coadiutori nella parrocchia della Madonna dei Sette Dolori, poi nel loro convento in seguito edificato presso la basilica. Al momento della riunificazione di Pescara e Castellammare in un'unica città le chiese parrocchiali erano tre: quella del Sacramento, detta San Cetteo nella vecchia Pescara, la Madonna dei Sette Dolori (fig. in basso)
e il Sacro Cuore (fig. in basso) nella ex Castellammare;non molte per una popolazione che nel censimento del 1921 era risultata di 26 mila abitanti e che nel 1927 fu ufficiosamente valutata in 40 mila.
Si era avviata lentamente la costruzione della chiesa dedicata a Maria Stella del Mare in cui nel 1936, pur incompleta si officiavano i culti. Nel 1948 la chiesa, appena terminata accolse un sarcofago con le spoglie dell'umile e fattivo Padre Domenico, che l'aveva voluta. Nel 1930 Raffaele Verrocchio, ricco proprietario di Castellammare di cui era stato a lungo anche amministratore, donò ai suoi colli 4 mila metri quadrati di terreno ai Padri Gesuiti i quali subito posero la prima pietra della loro casa e della loro cappella, divenuta in seguito la chiesa parrocchiale di Cristo Re.
Nel luglio del 1935 fu posta la prima pietra della chiesa di S. Antonio su un terreno ceduto qualche anno prima al vescovo di Penne dalla società ferrovieri "Casa nostra" Questo terreno era adiacente a una piccola chiesa dedicata a S. Teresa del Bambino Gesù, per cui il titolo completo, unito alla quale fu costruito nell'immediato dopoguerra l'attuale convento francescano, è S. Antonio e S. Teresa del bambino Gesù. Essa fu completata nel 1949 e divenne parrocchiale. Meritano attenzione due circostanze particolari riguardo la nomenclatura dei luoghi di culto della nostra città.
La prima è che diverse chiese di Pescara hanno oggi il titolo che, nella vecchia chiesa parrocchiale, era stato solo di un altare : nel 1600 in Santa Maria di Gerusalemme vi erano infatti, tra gli altri, gli altari dello Spirito Santo, di S. Andrea, di S. Caterina. La seconda circostanza è che il titolo di alcune chiese scomparse è oggi rinnovato in chiese moderne, come la Madonna del Rosario in via Cavour e il S.S. Sacramento in via dei Bastioni.
SANTA MARIA DI GERUSALEMME
La struttura originaria della chiesa si fa risalire ad un edificio tardoantico a pianta centrale degli inizi del IV sec. d.c. PESCARA Intorno al XII-XIII sec. quando probabilmente la struttura era una sinagoga, fu trasformata in chiesa (a sinistra colonna in cotto e pianta) in espiazione dell'oltraggio arrecato tre anni prima da alcuni ebrei, proprio nella sinagoga, all'immagine di Cristo, dalla quale, secondo la leggenda, miracolosamente sgorgarono gocce di sangue. La chiesa prese il nome di S. Maria di Gerusalemme di essa oggi sono visibili, di fronte alla cattedrale di S.Cetteo, due delle colonne trilobate (fig. in basso).
La chiesa, contigua ad un'altra quella del S.S. Sacramento, occupava quello che oggi è un improprio sagrato dell'attuale Duomo, il tratto di viale D'Annunzio che lo fronteggia.Il Duomo occupa a sua volta il sito che fu del S.S. Sacramento, la cui facciata però era rivolta su Piazza Garibaldi. Dalle carte di archivio del 1800 risulta che la ricostruzione della chiesa cadente (fig. in basso) fu affidata nel 1783 all'ingegnere militare del Genio di Pescara Giovanni Fontana. Dopo un sopralluogo egli attribuì, in un suo resoconto, la rovina dell'edificio, che minacciava di estendersi anche al S.S. Sacramento, mai disposto alcun restauro, per cui le volte esposte alla caduta delle acque, avevano causato il crollo dei sei pilastri che sostenevano la cupola.
La straordinaria importanza di questa relazione, rileva lo storico Luigi Lopez (in "Pescara" da cui sono stati tratti alcuni di questi documenti) nasce dal fatto che essa ci informa che già la vecchia chiesa aveva la forma nella quale prese ad essere ricostruita nel 1783 e in particolare la cupola.
Approvato il suo progetto l'11 giugno del 1783 il Fontana pose mano ai lavori, e riportò in un mese l'altezza delle mura della rotonda a 3,7 metri. La spesa fu di 2700 ducati che il sovrano attinse dalle rendite della badia di Corropoli fino al 1798 quando i lavori furono sospesi a causa della guerra tra il governo borbonico e la Repubblica Partenopea terminata nel 1799 col martirio di Gabriele Manthonè ed Ettore Carafa.
Poi secondo l'inventariato esistente, il tetto della cappella dell'altare maggiore e quello della cappella di destra erano crollati e il muro circolare, destinato a mantenere la cupola, mostrava i danni causati dalle intemperie e dalla vegetazione spontanea, quindi l'edificio era rimasto privo di copertura in molte sue parti. Un progetto per la sua ristrutturazione e il suo completamento fu redatto nel 1837 da Albino Mayo, ma non fu mai realizzato perché i prezzi della stima furono giudicati bassi e nessun imprenditore era disposto ad eseguire l'opera a quelle condizioni.
In seguito il sacerdote Settimio de Marinis, appassionato sostenitore del completamento della costruzione della chiesa e animato da grande entusiasmo, non ancora trentenne, se ne era fatto promotore, impegnandosi personalmente. Con una offerta accolta con Sovrano Rescritto del 1845, incaricò del nuovo progetto l'ingegnere Giovanni Gazzella e assicurò l'intendente della provincia di Chieti che avrebbe affrontato con le offerte dei fedeli le spese eccedenti, la somma di 7700 ducati ,concessi dal re Ferdinando II già nel 1839 sulla base del precedente disegno del Mayo, giudicato dal De Marinis troppo modesto per un edificio che meritava maggior fasto.
Ma altre difficoltà si frapposero al proseguimento dell'opera per cui la sede parrocchiale fu trasferita nel 1857 presso la chiesa del S.S. Sacramento che già da decenni veniva utilizzata per le celebrazioni a causa dell'inagibilità di San Cetteo e, benché il provvedimento fosse ritenuto provvisorio, esso sarebbe presto diventato definitivo. Un nuovo progetto fu redatto nel 1860 da Raffaele Pepe per interessamento dell'abate Giuseppe Corazzini quando sedeva sul trono di Napoli Francesco n. Ma, dopo pochi mesi, il re fuggì a Gaeta per l'avanzata delle truppe garibaldine provenienti dalla Calabria che avrebbe poi provocato la caduta del Regno delle Due Sicilie.
Nel 1867 infine, in seguito ad un decreto governativo che disponeva l'abolizione delle opere fortificate nel soppresso Regno di Napoli, il Consiglio comunale di Pescara deliberò l'acquisizione dell'area della fortezza. Le nuove esigenze di espansione urbana e di inserimento dell'antico borgo in una rete nazionale di scambi commerciali e di iniziative imprenditoriali contribuirono a far tramontare definitivamente ogni proposito di ricostruzione della chiesa a pianta centrale.
CHIESA DEL SANTISSIMO SACRAMENTO
La chiesa di San Cetteo, colpita dall'artiglieria il 20 maggio 1799, ospitava la parrocchia intitolata al santo protettore Cetteo, ma in realtà era la chiesa del S. S. Sacramento ad essa contigua. Pescara non ebbe mai infatti, fino agli anni Trenta del nostro secolo, una chiesa espressamente costruita in onore del santo. Occupava quello che oggi è un improprio sagrato dell'attuale Duomo, il tratto di Viale D'Annunzio che lo fronteggia, ma la facciata era rivolta su Piazza Garibaldi.
La relazione della visita pastorale dell'arcivescovo di Chieti del 1841 l'aveva definita di forma irregolare non conforme ad alcun ordine architettonico e priva di qualsiasi abbellimento; l'abate Giuseppe Corazzini, in una lettera all'intendente, la disse "deforme" e l'abate don Settimio de Marinis definiva rozze le due navate che la costituivano. Il pavimento si trovava in cattivo stato ma buono era il soffitto ed era fornita di otto luci con vetrate, una sola porta corrispondente alla navata destra, un piccolo organo, un pulpito di gesso, otto altari, due campane su un campanile in non buone condizioni.
Disprezzata forse più di quanto meritava, era costituita da due navate ineguali, divise da cinque archi: più corta quella di destra detta di S. Giovanni e più lunga quella di sinistra, in fondo alla quale, più alto di due gradini , era l'altare maggiore detto del Sacramento. Di questa chiesa trasfigurando i ricordi dell'infanzia, Gabriele D'Annunzio ne parlò nella novella "La vergine Orsola", accennando ai pilastri enormi sostenenti la navate, coperti di barbare sculture cristiane, ad avanzi di mosaici rilucenti nella penombra delle candele alle pareti, agli ex voto degli scampati a naufragi e alle rosee colonne a spirale sorreggenti il pulpito di marmo, all'ambone fiorito di acanti e animato di bassorilievi.
LA CATTEDRALE DI SAN CETTEO
Con l'istituzione, nel 1927, della nuova provincia di Pescara, si ebbe un notevole incremento di iniziative rivolte alla creazione di strutture adeguate alla nuova realtà della città; ed è in quest'ambito che si inserisce la storia della edificazione della Cattedrale di S. Cetteo, legata alla figura e alla volontà di Don Brandano.
Questi, chiamato a reggerla nel 1929, si assunse l'impegno di dotare Pescara di una nuova chiesa, in sostituzione della vecchia S. Cetteo. Questa sua decisione fu approvata caldamente da Gabriele D'Annunzio, in una lettera del 15 dicembre del 1929 anche perché l'edificio era destinato ad accogliere le spoglie della madre. La chiesa, infatti, si presentava in stato di estremo degrado :i dati fomiti all'epoca dal Genio Civile di Pescara, rilevavano il deterioramento delle strutture murarie, dei pavimenti e, in particolare gravi alterazioni statiche del campanile e delle volte. Ne seguì nel luglio del 1930 una ordinanza del Commissario Prefettizio di Pescara che ingiunse di abbattere il Campanile di sospendere le funzioni nella Cappella di San Cetteo e di chiudere la Chiesa.
L'intervento si rese necessario perché la chiesa era inserita nell'elenco degli edifici monumentali: presentava infatti, pur nella semplice struttura muraria, un portale di pietra rinascimentale di particolare interesse storico. Con la chiusura della chiesa al pubblico, si fece più pressante l'esigenza di ricostruire integralmente il nuovo tempio. Nel febbraio del 1932, con decreto prefettizio, il Comune di Pescara fu autorizzato ad occupare il suolo occorrente per la costruzione del tempio, adiacente alla vecchia chiesa di San Cetteo e il 27 dello stesso mese Don Brandano, alla presenza delle autorità e di tutta la cittadinanza, prese ufficialmente possesso del suolo dandone immediata comunicazione a D'Annunzio.
Nel maggio successivo il Comune di Pescara deliberava di acquistare dalla sig.ra Filomena Ricci Bucco alcuni immobili e di cederli gratuitamente all'Amministrazione della Parrocchia, dopo la formalizzazione della compravendita, a condizione che essi fossero destinati alla ricostruzione della chiesa di San Cetteo.
A luglio il Ministero dell'Educazione Nazionale autorizzava la demolizione della Chiesa e del moncone del Campanile ad essa addossato per far posto alla costruzione della nuova Cattedrale. 112 aprile 1933 fu posta la prima pietra e in questa occasione Don Brandano pubblicò un manifesto in cui ricordava "... il nuovo tempio di San Cetteo... sorgerà... dove una decrepita casa che pure ora abbiamo rasa al suolo ci ricordava il luogo dove Gioacchino Murat scrisse il "Proclama di Rimini" In questa occasione Gabriele D'Annunzio, a mezzo della sign. Luisa Baccara e del Senatore Alfredo Felici venuto a rappresentarlo, mandò all'onorevole Giacomo Acerbo, ministro allora dell'Agricoltura e Presidente del Comitato d'onore la seguente lettera del 31 maggio del 1933:
"Mio caro Giacomo, non sono ancora interamente guarito.Per ciò ti scrivo breve, chè il duro sgabello risveglia a quando a quando lo spasimo. Nella scorsa notte quanti sogni, quanti rimpianti; che avean tutti il sapore dolciastro o salmastro della Pescara alla sua foce. Nella mia infanzia io fui un vero" mortaretto" d'agosto per San Cetteo. Come mio padre mi ha trasmesso gli ingegni e le arti del decoratore, io tuttavia lo vedo nell'atto di fabbricare le lanterne (li palluncine) e di sospenderle in ghirlande alle nostre finestre e ai nostri balconi. Anche l'odo recitare, non senza ilarità sottile, alcune strof di un inno composto da un de' miei maestri rimatore corale: "Viva la Santo Cetteo Viva viva lo gran Protettore! Or noi tutti facciamogli onore In Pescara che è rocca di fe.Questo nostro è un fiume letèo? Obliammo dei tempi l'ingiuria? Ecco, il tetto di Dio nell'incuria Gia si crolla. Un sol gemito: Ohimè Siam noi dunque un popolo reo S'Bi ci chiede la Chiesa novella? Con la pietra di Nostra Maiella Sia rifatto l'Altar, Dio mercè" Mio padre mi chiese "mbè, Gabbriè, che ne dice di schti vierse?" Ero lontanissimo dal sentire" Il nuovo Tempio Nazionale della Conciliazione dedicato, oltre che a san Cetteo a tutti i Santi Sommi Pontefici, fu il primo sorto in Italia a ricordo del Concordato tra la Chiesa e lo Stato, avvenimento che il papa Pio XI volle celebrare con il Giubileo speciale di "umana Redenzione".
Il progetto del nuovo Tempio (fig. in alto) fu affidato da Don Brandano all'ingegnere Cesare Bazzani, scelta approvata pienamente da D'Annunzio, il quale suggerì di adottare lo stile romanico abruzzese nelle linee architettoniche della nuova chiesa: in particolare quello della chiesa di S. Maria di Collemaggio. La facciata monumentale a coronamento rettilineo, tutta costruita in pietra, fiancheggiata dal corpo del Campanile da un lato e dal battistero dall'altro, è scandita da lesene in tre parti, ognuna delle quali presenta un portale sormontato da una finestra circolare, corrispondenti alla suddivisione interna in tre navate.
La costruzione" a rustico" con il campanile fu terminata i129 giugno 1934; qualche giorno più tardi, il 2 luglio, il Tempio fu aperto al pubblico. I lavori poterono essere ultimati grazie al contributo degli enti locali e della cittadinanza, ma soprattutto grazie ali'apporto di due milioni erogati dal Governo con Regio Decreto del 17 dicembre 1936. La costruzione del Tempio e dell'adiacente palazzo vescovile fu portata a termine tra il 1938 e il 1939, non completa ancora di rivestimenti in marmo e con l'apporto di alcune modifiche al progetto originario del Bazzani. Successivamente nel 1949, venne istituita la nuova Diocesi che prese il nome di Penne-Pescara e solo nel 1977 la chiesa fu consacrata Cattedrale. Don Pasquale Brandano deceduto nel giugno del 1987, a più di novant'anni, fu abate di San Cetteo per circa 60 anni. Gli è succeduto Don Giuseppe Natoli.
CHIESA DELLA MADONNA DEL CARMINE
Una nota a parte merita la Chiesa della Madonna del Carmine che si trovava all'interno dell'attuale area demaniale della Caserma Manfredo Fanti a Pescara, adibita ora a Questura. Don Rinaldo, parroco dell'attuale chiesa, ha compiuto degli studi e delle ricerche e ha redatto una relazione sul percorso storico e ricostruttivo della stessa da cui vengono questi documenti tratti da: 'Notizie storiche di G.Muzi' ; 'Pescara' di L. Lopez ; ' Relazioni sull'altorilievo della Madonna del Carmine' di R. Molisani e M.C. Semproni.
La sua odierna collocazione in un contesto militare rievoca curiosamente le sue origini, che la vedevano affiancata ad abitazioni di soldati: "... per la difesa di detto fianco, sinistro, (del fiume Pescara) vi è un fosso murato e fortificato con due baluardi e fosso attorno che lo dicono Villa Rampina nel quale non sono altro che due case per quartiere dei soldati e una cappella definita 'Eclesiae villae Rampinae intus Fortellicium Piscariae'.
Dedicata alla Madonna del Carmine, era .."l'unica chiesa parrocchiale che esisteva a Castellammare e tale rimase fino al novembre del 1665, quando venne aperta al culto la chiesa sulla collina di Castellammare col nome di "Madonna dei sette Dolori". Sfortunatamente la scarsezza delle fonti rinvenute impedisce una più ampia ed approfondita ricostruzione delle sue origini storiche. Al suo interno, nella parete di fondo era situato un altorilievo in gesso del 1600 di modesta fattura, raffigurante la Madonna del Carmine che sorregge il Bambino e testine di angeli che completano l'insieme della raffigurazione, il tutto racchiuso in una duplice cornice centinata ad arco a tutto sesto, arricchita da un cordone di motivi naturalistici.
La facciata principale era a sua volta circoscritta da una cornice fortemente aggettante, che proseguiva in basso con andamento spezzato ed angolare, lungo tutto il perimetro della parete della chiesa. La volta rilevava un ordito sottile di riquadri in stucco arricchiti da motivi fitomorfi in stile compendiarlo. Nel tempo venne denominata chiesa militare fino a perdere la sua destinazione originaria. Per ciò che concerne la storia recente sappiamo che, quando la Caserma M. Fanti veniva utilizzata come Scuola di Polizia Giudiziaria Amministrativa ed Investigativa, (POL.G.A.I). la Chiesa era adibita a deposito e magazzino. Nel 1997 il Provveditorato alle Opere Pubbliche per l'Abruzzo ha iniziato la ristrutturazione dell'intero complesso al fine di ridare al manufatto la sua destinazione originaria.
I lavori realizzati sono stati quelli necessari per rendere riutilizzabile la chiesa e salvaguardare le strutture portanti da una notevole umidità ascendente, che le aveva fortemente degradate. E' stata per prima cosa isolata la pavimentazione interna dal sottostante terreno con l'applicazione di un vespaio aerato, realizzato utilizzando elementi plastici, che, incastrati tra loro, formano una struttura portante, al di sopra della quale è stata predisposta una soletta in cemento armato per la creazione della pavimentazione. Analogo intervento è stato effettuato sul perimetro esterno, dove, grazie ad un sistema di tubazioni di collegamento interno-esterno, si crea una ventilazione continua e naturale della muratura portante. Poi questa è stata isolata alla base per evitare la salita dell'umidità eseguendo dei fori nella muratura.
Le pareti esterne, precedentemente scalcinate, sono state trattate, con intonaco macroscopico di risanamento a base di leganti speciali. Le tinteggiature interne sono state eseguite in tricromia con pittura a base di latte di calce su pareti, cornicioni, lesene, festoni, lo stesso tipo di pittura è stata utilizzata per le pareti esterne. Per il rifacimento della pavimentazione sono stati utilizzati marmi e pietra locale bianca. E' stato infine eretto un altare in pietra locale all'uopo progettato e realizzato. I lavori , dopo una gara mediante pubblico incanto per l'appalto degli stessi, sono stati aggiudicati all'impresa Costruzioni d'Auditorio di Montorio al Vornano per l'importo di L. 112.767.188. La ristrutturazione iniziata nel 2001 è stata ultimata nell'agosto dello stesso anno con i risultati che si possono vedere dalle immagini sottostanti.
LA MADONNA DEI SETTE DOLORI
La leggenda devozionale dell'apparizione della Madonna dei Sette Dolori risale alla fine del XVI secolo o agli inizi del XVII secolo. (fig. in basso) Nel luogo ove sorge l'attuale santuario, oggi Largo Madonna, vi era una folta foresta di querce dove spesso i contadini conducevano al pascolo il loro gregge. In un giorno imprecisato, in mezzo ai cespugli, sarebbe "apparsa", dipinta su una pietra, la scena della Deposizione dalla Croce raffigurante la Madonna con sette spade conficcate nel cuore e sulle ginocchia il corpo esanime di Gesù.
Dopo lo smarrimento iniziale, i credenti si convinsero che si trattasse di un evento straordinario, per cui fu deciso di portare l'immagine in una modesta cappella (luogo abituale di culto) sita in Colle Ruscitelli (odierna contrada De Jacobis), ove, dietro consultazioni, era stato stabilito di erigere una chiesa.
Ma il mattino successivo si verificò un episodio che fu giudicato dai credenti "strabiliante": ai molti curiosi recatisi sul luogo dell'apparizione" per rendersi conto dell'accaduto, l'immagine sembrò essere nel suo posto primitivo, nell'identica posizione del giorno avanti. Si credette ad uno scherzo e pertanto, a sera, il dipinto fu ricollocato al suo posto nella cappella. L'indomani, però, l'episodio si ripropose.
L'immagine fu ricondotta di nuovo nella cappella e furono prese più sicure precauzioni, ispezionando ogni angolo, assicurando per bene porte e finestre e ponendovi una guardia notturna. I guardiani, al mattino, insieme ai devoti accorsi, riferirono del misterioso ritorno dell'immagine nel luogo primitivo, interpretando l'accaduto come il segno della predilezione della Madonna verso quel luogo. Una nuova e singolare leggenda contribuì a sviluppare la devozione verso la Madonna dei Sette Dolori. Contro la siccità che imperversava sulle campagne della zona, i fedeli invocarono l'intercessione di Maria, la cui immagine fu portata in processione per alcuni giorni.
Il 12 maggio, mentre la processione si dirigeva verso il mare, piovve abbondantemente, i raccolti furono salvi e i devoti videro nell'evento meteorologico un segno dell'intervento divino. Ogni anno, a ricordo dell'accaduto, il 12 maggio ricorre la celebrazione religiosa della "giornata del ringraziamento". Poco tempo dopo tempo l'apparizione mariana, fu eretta una cappella con un altare su cui posero l'immagine. Vi eressero una cupola dove sistemarono una campana che fu successivamente (1888) collocata sulla odierna torre campanaria e precisamente nel finestrone rivolto verso il mare. Il 26 novembre 1665 (giorno in cui si tenne il primo battesimo) fu istituita dal vescovo Raffaele Esuberanzio la parrocchia con il titolo "Santa Maria dei Sette Dolori".
In seguito fu progettato e realizzato un nuovo e più grande santuario che, probabilmente, ha inglobato la primitiva e piccola cappella. L'attuale santuario venne consacrato ufficialmente il 30 maggio 1757 dal vescovo di Penne e Atri Monsignor Gennaro Fezzelli.
L'8 dicembre 1948 il santuario veniva affidato dalla Santa Sede all'Ordine dei Frati Minori Cappuccini ed il 6 marzo 1949 Alberto da Vasto fu nominato parroco della parrocchia della Madonna dei Sette Dolori, anno in cui Benedetto Falcucci divenne primo vescovo della nuova Diocesi di Penne-Pescara. 113 dicembre 1952 il papa Pio XII proclamava in perpetuo la Madonna dei Sette Dolori celeste patrona della Diocesi di Penne-Pescara.
Desiderando che il santuario mariano accrescesse la sua importanza, per poterne propagare di più il culto, dietro istanza del vescovo Benedetto Falcucci prima, e per interessamento dell'arcivescovo Antonio Jannucci poi, con decreto del 16 gennaio 1959 del papa Giovanni XXIII, si eleva la chiesa, consacrata a Dio in onore della Beata Vergine Maria dei Sette Dolori, alla dignità di Basilica Minore.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli
I documenti e le immagini sono tratti dall’Archivio di Stato di Pescara.
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