Marco Tabellione
nasce a
Musellaro (Pe) e si laurea nel '91
in lettere moderne all'università "G.
D'Annunzio" di Chieti, con una tesi sulle avanguardie poetiche degli anni
Sessanta poi si specializza alla LUISS
di Roma in giornalismo.
Poeta , scrittore, giornalista e docente di
materie letterarie vanta svariati premi nazionali per
editi e inediti e collaborazioni con il quotidiano il Centro e riviste
letterarie nazionali.
Opere e riconoscimenti
Nel
1990
a Perugia ottiene il primo riconoscimento per la poesia intitolato a Sandro Penna, nel 1998
vince il premio “Giovani autori” curato
dalla Fondazione Caripe di Pescara.
Per le edizioni Tracce di Pescara nel 1995 pubblica la raccolta di poesie Gli
uni e gli altri bui e il saggio sul giornalismo televisivo L’immagine
che uccide. Nel 1999 a “Palazzo
Grosso” viene premiato per la raccolta di poesie InCanti, mentre nel 2000 le edizioni Samizdat di
Pescara curano la raccolta di versi, L’alba
e l’ala.
Nel 2001 esce il suo primo romanzo Il riso
dell’angelo ( Tracce) , nel 2002 il saggio di letteratura La
cura dell’attimo edito da Samizdat di Pescara e nel 2003 la raccolta di poesie intitolata:
Tra cielo e mare (Tracce). Nel 2009
pubblica il suo secondo romanzo L’isola
delle crisalidi per le edizioni Runde Taarn, che nel 2010 vince il premio Zenone riservato alla narrativa.
Lo stesso
romanzo nel 2010 è risulta finalista al premio Lamerica e vince il premio speciale della giuria al premio
De Lollis. Nel 2012 risulta secondo al premio “Liliana Bragaglia” con il
racconto inedito La bottega del libraio
e nel 2013 vince il premio di giornalismo sezione ambiente“Vivi l’Abruzzo”.
Nel 2015 esce il suo ultimo libro, il saggio Il canto silenzioso, viaggio nei segreti
della poesia (Solfanelli) premiato nello stesso anno al premio di
saggistica Città delle Rose di Roseto e finalista al premio Roccamorice. Nel 2016 il racconto L’uomo che decise di morire sulla Maiella ottiene il premio speciale della giuria sulla Letteratura paesaggistica.
Nel 2017
risulta terzo al premio nazionale di
poesia di Civitaquana e la raccolta inedita:
Ogni
voce si classifica seconda al premio
Pablo Neruda.
Nel 2018 il volume di versi: L’eternità
dell’acqua (2017) vince il primo
premio per la poesia alla rassegna dell’editoria abruzzese.
Così
il poeta scrittore si racconta:
“Vorrei
partire dalla mia ultima raccolta
poetica , “L’eternità dell’acqua” che
giunge dopo 14 anni dall’ultimo che era stato Tra cielo e mare del 2003.
Sono anni in cui ho scritto molto e non solo di poesia. Nel frattempo ho
elaborato un nuovo percorso, o meglio una nuova meta al percorso poetico già
tracciato dalle precedenti raccolte; ma anche dai miei studi universitari, in
cui ho potuto collaborare con Alfredo Giuliani, tra i maggiori poeti italiani
del dopoguerra, teorico dei novissimi (sui quali ho svolto la tesi) e docente a
Chieti dove ho conosciuto, oltre a Francesco Iengo professore di estetica,
anche un altro docente fondamentale per me, Gian Pietro Calasso, regista e
scrittore, fratello di Roberto Calasso dell’Adelphi. Questi tre grandi sono i
miei fari, oltre ai massimi autori della
letteratura mondiale di cui cito solo
alcuni: Baudelaire, Proust, Kafka, Ungaretti.
“L’eternità dell’acqua” è un libro sul
fluire continuo della vita, un tema che mi ha sempre affascinato e in un certo
senso oppresso. Cos’è il tempo? Come la vita si dipana nel tempo? E poi perché
la vita? Perché ha assunto le forme che ha? Perché le ha assunte? E l’uomo?
Cos’è l’individuo di fronte allo scorrere del tempo, di fronte all’universo? La
metafora dell’acqua mi ha in un certo senso offerto un simbolo che potesse
ergersi a risposta. L’acqua scorre. Dunque non sta, ma è nel moto; tuttavia dà
vita a entità stabili, come un fiume, la pioggia, il mare, stabili nel senso
che hanno una loro unità, una loro maniera in qualche modo afferrabile. Ma
l’acqua - e qui mi sembra di trovare anche degli appigli etici e morali all'esistenza umana e alle mie domande metafisiche - l’acqua non è solo simbolo
dello scorrere continuo, è simbolo anche dell’unità perfetta, dell’armonia.
L’acqua è liquida, e ogni sua unità, ogni goccia è se stessa e nello stesso
tempo la liquidità totale. L’acqua diventa così per me la metafora perfetta
dell’armonia.
Queste inquietudini metafisiche, le
domande, le risposte, le suggestioni sono ben espresse da alcune poesie della
raccolta come “Seme d’anime”, “L’ago dell’universo”, “La musica eterna”. In esse e da esse sorge una scoperta
sconvolgente, determinante, e cioè che noi non siamo solo noi stessi, noi siamo
anche gli altri, o meglio in noi coesistono le tracce di tutti coloro che sono
stati e di coloro che saranno, e in fondo le tracce dell’intero universo, per
cui noi siamo noi, ma nello stesso tempo l’universo. Questa rivelazione nella
raccolta ha risvolti morali importantissimi, perché costatare che gli altri non
sono alterità rispetto a noi, e vedere noi stessi nell'altro, o meglio
considerare gli altri come nuovi me, vuol dire anche dare vita a comportamenti
etici e in linea con la necessità dell’armonia sociale, dal momento che si
giunge alla consapevolezza che fare del male a qualcuno vuol dire farlo a noi
stessi.
Ecco
allora la proposta della raccolta, vi è in essa l’invito a rendersi eterni
riscoprendo se stessi negli altri e nel mondo, e accorgersi che sempre si è
vissuti e sempre si vivrà. Nello scorrere eterno sta infatti la nostra
possibilità di eternità, in questa scoperta della molteplicità della nostra
identità (noi siamo altro e l’altro è un altro me) noi non solo assumiamo
l’umiltà come atteggiamento nei confronti del mondo, ma giungiamo anche a
riscattare i nostri limiti e a farci illimitati. L’istante,
dunque, per noi non è caducità, non è l’effimero, è piuttosto l’eterno, come
recita la lirica cruciale nella raccolta intitolata “L’istante perpetuo”. Nello
scorrere frenetico è chiaro che ogni momento è destinato a perdersi, è istante
effimero. Tuttavia se lo viviamo a fondo, se lo viviamo dentro, se vivendolo
cogliamo l’universo e noi stessi nell'universo, quel momento diventa eterno,
eterno perché lo abbiamo vissuto a fondo e questo resterà per l’eternità,
niente potrà più cancellarlo.
Da
questi appunti si può anche desumere l’idea che ho io della poesia, e in
generale della letteratura e della cultura e dell’arte. Essi sono strumento
della spiritualità, e la spiritualità è ciò che ci rende eterni, è il nostro
riscatto dalla materia e dal fatto di essere innanzitutto materia. Tuttavia la
materia attraverso noi è giunta a pensare e, ciò che è più sorprendente, è
giunta a pensare se stessa. La poesia, soprattutto, è il frutto di questo
pensare. Ed è forse l’arte che più di ogni altra si avvicina alla nostra
coscienza, cioè alla nostra consapevolezza di non essere solo corpo e materia,
e di non essere solo contingenti ed effimeri. Forse in questo la poesia è
superiore alle altre arti. In effetti il nostro pensiero funziona
linguisticamente, è attraverso il linguaggio che noi riusciamo a formulare le
idee, tant'è che nella nostra mente le idee hanno una forma linguistica, e le
idee sono l’espressione della nostra coscienza. Dunque il linguaggio ci aiuta a
formulare idee, ad esprimerle, e, poiché le idee influenzano la consapevolezza
che abbiamo del mondo e di noi stessi, ciò vuol dire che il nostro essere è
influenzato dal linguaggio. Migliore è il linguaggio, più ricco è, più ricchi
siamo noi, migliori nella nostra consapevolezza. Ora la poesia è l’espressione
più pura del linguaggio, l’espressione per dir così più mentale, perché è
epurata completamente da finalità come la comunicazione, la narrazione e via
dicendo; la poesia è pura espressione, e dunque nella forma più pura ci aiuta
ad essere migliori, ad avere più consapevolezza.
Tutto
ciò per parlare della poesia, che è l’apice delle mie passioni e, dopo i miei
figli, è lo scopo primario della mia vita. Poi viene il mio lavoro di insegnante, che per me non è
altro che un prolungamento della poesia e della scrittura, o meglio poesia e
scrittura e insegnamento fanno parte di una specie di compito che per me coincide con il compito della vita
e nel quale va inserito anche il mio amore per la natura e la montagna, per le
escursioni estive e invernali, in cui vado a cercare Dio e me stesso tra i
monti e i boschi infiniti del nostro Abruzzo. Per quanto riguarda la scuola,
essa mi dà l’opportunità di cercare di permettere ai ragazzi con cui lavoro, di
esprimere se stessi, di trovare se stessi e di farsi crescere, in un’idea di
cultura come , educazione anche in un senso etimologico: e-duco, cioè conduco
fuori. E’ questo in fondo il senso di tutto e di tutti, crescere, vivere al
meglio quello che si è, lasciare un’impronta che solo noi possiamo lasciare; a
noi è dato in affidamento per un periodo il testimone della vita che è
appartenuto ad altri prima di noi e ad altri apparterrà dopo di noi, si tratta
solo di essere degni di quel testimone, innanzitutto per la nostra felicità e
poi per quella degli altri. In questo senso qui la vita diventa poesia e la
poesia vita.”
Seme
d’anime
Passano i fiumi le terre
Persino le stelle si muovono con i cieli
Le acque tornano ma non sono mai le stesse
Ogni istante muore nascendo
E i petali hanno la morbidezza dell’effimero
Eppure sento dentro un sempre
Un’eco continua e identica
Una musica senza tempo
Come una luna perenne e immobile
Un seme d’altre anime
Il sapore infinito del mio essere
Il silenzio che mi parla
Marco Tabellione
Recensione a cura di Elisabetta
Mancinelli email
mancinellielisabetta@gmail. com
Le immagini sono di proprietà dall'autore, gentilmente concesse per la realizzazione dell'articolo.
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