SAN BIAGIO
la storia e
le tradizioni
San Biagio, la cui ricorrenza cade il 3 febbraio, viene
venerato in moltissime città e località italiane, delle quali, di molte,
è anche il santo patrono e festeggiato anche in tanti centri della nostra regione, in
cui il culto del santo armeno, dal significato
taumaturgico e socio-identitario, viene
rivissuto profondamente.
LA VITA
Poco si conosce della vita
di San Biagio. Notizie biografiche sul Santo si possono riscontrare
nell'agiografia di Camillo Tutini, che
raccolse numerose testimonianze tramandate oralmente. Si sa
che fu medico e vescovo di Sebaste in Armenia e che il suo martirio è avvenuto durante le persecuzioni dei cristiani, intorno al 316, nel corso dei
contrasti tra gli imperatori
Costantino (Occidente) e Licino (Oriente).
Catturato dai Romani fu picchiato e scorticato vivo con dei pettini di ferro, quelli che venivano usati per cardare la lana, ed infine decapitato per aver rifiutato di abiurare la propria fede in Cristo. Il Santo è conosciuto e venerato tanto in Occidente, quanto in Oriente e il suo culto è molto diffuso sia nella Chiesa Cattolica che in quella Ortodossa.
Nella sua città natale, dove svolse il suo ministero vescovile, si narra che operò numerosi miracoli, tra gli altri si ricorda quello per cui è conosciuto, ossia, la guarigione, avvenuta durante il periodo della sua prigioni di un ragazzo da una lisca di pesce conficcata nella trachea. Tutt’oggi, infatti, il Santo lo si invoca per i “mali alla gola”. Biagio fa parte dei quattordici cosiddetti santi ausiliatori, ossia, quei santi invocati per la guarigione di mali particolari. Le reliquie di San Biagio sono custodite nella Basilica di Maratea, città di cui è santo protettore: vi arrivarono nel 723 all’interno di un’urna marmorea con un carico che da Sebaste doveva giungere a Roma, viaggio poi interrotto a Maratea, unica città della Basilicata che si affaccia sul Mar Tirreno, a causa di una bufera.
Catturato dai Romani fu picchiato e scorticato vivo con dei pettini di ferro, quelli che venivano usati per cardare la lana, ed infine decapitato per aver rifiutato di abiurare la propria fede in Cristo. Il Santo è conosciuto e venerato tanto in Occidente, quanto in Oriente e il suo culto è molto diffuso sia nella Chiesa Cattolica che in quella Ortodossa.
Nella sua città natale, dove svolse il suo ministero vescovile, si narra che operò numerosi miracoli, tra gli altri si ricorda quello per cui è conosciuto, ossia, la guarigione, avvenuta durante il periodo della sua prigioni di un ragazzo da una lisca di pesce conficcata nella trachea. Tutt’oggi, infatti, il Santo lo si invoca per i “mali alla gola”. Biagio fa parte dei quattordici cosiddetti santi ausiliatori, ossia, quei santi invocati per la guarigione di mali particolari. Le reliquie di San Biagio sono custodite nella Basilica di Maratea, città di cui è santo protettore: vi arrivarono nel 723 all’interno di un’urna marmorea con un carico che da Sebaste doveva giungere a Roma, viaggio poi interrotto a Maratea, unica città della Basilicata che si affaccia sul Mar Tirreno, a causa di una bufera.
Si racconta che la le pareti della Basilica, e
più avanti anche la statua a lui eretta in cima alla Basilica, stillarono una
specie di liquido giallastro che i fedeli raccolsero e usarono per curare i
malati che viene chiamata “manna celeste”.
Per Maratea il Santo ha una valenza particolare e viene festeggiato per 2 volte l’anno; il 3 febbraio e il giorno dell’anniversario della traslazione delle reliquie, dove i festeggiamenti durano 8 giorni, dal primo sabato di maggio fino alla seconda domenica del mese. A Milano vige l’usanza di festeggiarlo in famiglia mangiando i resti dei panettoni avanzati a Natale.
Per Maratea il Santo ha una valenza particolare e viene festeggiato per 2 volte l’anno; il 3 febbraio e il giorno dell’anniversario della traslazione delle reliquie, dove i festeggiamenti durano 8 giorni, dal primo sabato di maggio fino alla seconda domenica del mese. A Milano vige l’usanza di festeggiarlo in famiglia mangiando i resti dei panettoni avanzati a Natale.
A Lanzara,
una frazione della provincia di Salerno, è tradizione mangiare la famosa “polpetta di San Biagio”.
Nella città di Salemi, invece, si narra che nel 1542 il Santo salvò la popolazione da una grave carestia, causata da un’invasione di cavallette che distrusse i raccolti nelle campagne, intercedendo ed esaudendo le preghiere del popolo che invocava il suo aiuto (san Biagio, infatti,” è anche protettore delle messi); da quel giorno a Salemi, ogni anno il 3 di febbraio, si festeggia il Santo preparando i cosiddetti “cavadduzzi”, letteralmente “cavallette”, per ricordare il miracolo, e i “caddureddi” (la cui forma rappresenta la “gola”), che sono dei piccoli pani preparati con acqua e farina, benedetti dal parroco e distribuiti poi ai fedeli.
A Cannara,
invece, un comune della provincia di Perugia, i festeggiamenti del Santo sono
occasione per sfidarsi in antichi giochi di abilità popolani tra cui il gioco, attestato già nel XVI
secolo, del “Ruzzolone”, che
consiste nel far rotolare il più a lungo possibile delle
forme di formaggio per le vie del centro storico. A Fiuggi, invece, la sera prima, si bruciano nella piazza del paese
davanti al municipio le “stuzze”, delle grandi cataste di legna a forma
piramidale, in ricordo del miracolo avvenuto nel 1298 che vide San Biagio far
apparire delle finte fiamme nella città, tanto da indurre le truppe nemiche,
che attendevano fuori le mura pronte ad attaccare, a ripiegare pensando d’esser
state precedute dagli alleati.
Lu sande
cannarate . La festa di San Biagio in Abruzzo
"Per San Biagio, il Mitrato, il freddo è
andato", è un antico proverbio diffuso particolarmente nelle zone rurali e
delle montagne abruzzesi che si recita in occasione della festa del Santo come
auspicio del passaggio dall'inverno alla primavera. Il culto per San Biagio è
tra i più diffusi d'Abruzzo, chiese, santuari, cappelle, altari in suo onore si
trovano in molti luoghi della regione. Tanti sono i riti devozionali in gran
parte legati ad episodi della sua vita. I rituali più diffusi nel giorno della
festa sono l'imposizione sulla gola di due candele incrociate e legate con un nastro rosso intorno al collo del fedele (anticamente si
usava olio benedetto) e la distribuzione e il consumo delle ciambelle taralli e pani benedetti. San Biagio è il
protettore degli agricoltori dei suonatori di strumenti a fiato degli avvocati e dei cardatori della lana in riferimento al suo
martirio, fu torturato con pettini di ferro.
A Lecce nei Marsi, in località Vallemora, dove è ubicata una chiesetta dedicata al Santo, viene acceso un
grande falò, vengono benedette le “sciambelle” di San Biagio e vige anche l’uso
di benedire bottigliette di olio da distribuire ai fedeli che le portano nelle
case e le custodiscono gelosamente, attribuendo all’olio virtù taumaturgiche. A Penne
nella Chiesa di San Domenico è invece custodito il cranio del santo che Carlo II d’Angiò donò
alla comunità. Nel duomo di San Flaviano a Giulianova, è conservato il braccio di
san Biagio in un raffinato
reliquiario in argento dalla foggia di braccio con mano benedicente e recante
una palma, datato 1394 e firmato da Bartolomeo di sir Paolo da Teramo.
TARALLI DI SAN BIAGIO
Particolare devozione si pone nella benedizione dei
caratteristici Taralli di San Biagio,
impastati seguendo le antiche ricette e sacralizzati durante la Messa solenne
in occasione della festività del 3 febbraio. Si preparano in gran quantità in alcuni paesi abruzzesi, si mangiano poi il
giorno stesso e quelli a venire , li si regalano agli amici e parenti e vengono
consumati da adulti e bambini perché si ritiene proteggano da tutte le
infermità legate alla gola: in passato erano consumati per prevenire una
malattia abbastanza diffusa nelle zone interne della nostra Regione, il gozzo.
RICETTA
Ingredienti:
2,5 kg di farina 00
1 kg di lievito madre
lavorato (avrete bisogno di circa 800 g di farina 00, oltre i 2,5 kg)
25g di lievito di birra
(per il lievito madre) + 75 gr di lievito di birra
600 gr di zucchero
750 ml di vino bianco
fermo
380 ml di olio evo
acqua
100 g di semi d'anice
acqua
100 g di semi d'anice
Preparare
il lievito madre impastando 25 g di lievito di birra sciolto in un po' d'acqua
tiepida e 200 g di farina. Una volta lievitato (dopo un'ora circa), aggiungere
altri 300 g di farina e l'acqua che basta e impastare di nuovo. Lasciare
lievitare ancora e nel terzo passaggio aggiungere gli ultimi 300 g di farina e
l'acqua che serve per impastare. Far lievitare ancora per circa un paio d'ore.
Disporre i 2,5 kg di farina in una fontana molto larga e al centro mettere l'impasto lievitato, il vino, l'olio, lo zucchero e i semi di anice. Unire il tutto e far lievitare l'impasto per circa 12 ore. Usare poi l'impasto ottenuto per stendere delle forme di taralli non troppo piccoli (circa 15 cm di diametro), cioè facendo dei serpentelli e torcendoli (impugnare i due capi e girarli in direzione opposta) e poi legandone i due capi curandosi di farli attaccare perché non si aprano. Immergerli in un tegame grande dove si sta facendo bollire dell'acqua e attendere che tornino a galla. Una volta tolti dall'acqua, stenderli su un canovaccio per farli asciugare. Infornare poi a 180/200°C.
Disporre i 2,5 kg di farina in una fontana molto larga e al centro mettere l'impasto lievitato, il vino, l'olio, lo zucchero e i semi di anice. Unire il tutto e far lievitare l'impasto per circa 12 ore. Usare poi l'impasto ottenuto per stendere delle forme di taralli non troppo piccoli (circa 15 cm di diametro), cioè facendo dei serpentelli e torcendoli (impugnare i due capi e girarli in direzione opposta) e poi legandone i due capi curandosi di farli attaccare perché non si aprano. Immergerli in un tegame grande dove si sta facendo bollire dell'acqua e attendere che tornino a galla. Una volta tolti dall'acqua, stenderli su un canovaccio per farli asciugare. Infornare poi a 180/200°C.
Ricostruzione
storiografica di Elisabetta Mancinelli
email : mancinellielisabetta@gmail.com
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