L’Abruzzo ha un volto molto antico: quello
dei suoi tratturi, bracci, tratturelli che ne segnano il territorio, là dove sono
stati conservati e tutelati. Le antiche cartine d’Abruzzo mostrano una sorta di sistema vascolare di una regione
che attraverso l’ “erbal fiume silente”,
come D’Annunzio nella sua poesia “I pastori” definiva il tratturo, si
alimentava ed alimentava la propria economia, quella della transumanza.
Il termine deriva da “trans” forma avverbiale: attraverso e humum: terra: andare attraverso con il significato di trasferimento di persone e bestiame in estate ai pascoli della
montagna e in autunno al piano. Questo “sentiero naturale tracciato dalle
greggi”, viene da molto lontano, perché
già all’epoca dei Romani si individuavano come “semita aspera qua pecora in
montes ire solent” (aspri sentieri sui quali sogliono transitare le pecore sui
monti). Su questi “sentieri” si svolgevano le partenze ed i ritorni, con un
fenomeno chiamato appunto
transumanza. Tratturo, che sui
dizionari viene definito “largo sentiero erboso per far transitare greggi e
armenti dalla Puglia ai monti degli Abruzzi e viceversa” è un termine moderno,
che si incontra poco nella letteratura italiana, salvo nell’”Alcyone”, e nel
libro terzo delle “Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi” del
D’Annunzio.
LA TRANSUMANZA:
STORIA
La transumanza
è un sistema di allevamento antico diffuso in molte aree del bacino del
Mediterraneo che prevede in estate lo sfruttamento dei pascoli dislocati a
quote più elevate sui territori montani e d’inverno il trasferimento delle
greggi in pianura anche a distanza di centinaia di Km. Nel caso dell’Abruzzo la transumanza orizzontale
veniva praticata già in epoca italica dai Sanniti che si scontrarono con i
Dauni della Puglia proprio per il controllo dei pascoli invernali. Durante il periodo romano la transumanza ebbe
un forte incremento grazie ad una efficiente organizzazione dello stato. Alcune
importanti città romane sorsero proprio sui tratturi per controllare lo spostamento delle greggi tra esse Peltuinum e Juvanum in Abruzzo e Sepino in Molise.
La seconda rivoluzione economica nel campo
della pastorizia si ebbe alla metà del XV secolo per opera di Alfonso d’Aragona re di Napoli
che prese a modello il sistema in uso da tempo nella penisola iberica
dei pastori spagnoli chiamata mesta.
Riorganizzò le vecchie “calles” romane che presero il nome di tratturi. Era tutto un mondo che si muoveva, tutta un’economia che si sviluppava intorno a queste vie che organizzata con precise leggi fiscali, è
servita a sostenere per secoli le finanze del Regno di Napoli e delle Due Sicilie. Alfonso I d’Aragona, con la Prammatica del 1 agosto 1447, istituì la Dogana per la “Mena delle pecore”
in Puglia. Le terre di pascolo, dette locazioni, erano del Demanio Regio e si potevano utilizzare solo pagando la “fida”, un canone annuo, fissato
in rapporto al numero delle pecore, ogni 100 pecore davano diritto ai pastori,
detti locati, di utilizzare 24 ettari di terre non arate, chiamate poste.
Un sistema fiscale, duro per i piccoli
pastori, che ha fruttato enormi entrate, fino al maggio 1806, quando Giuseppe
Bonaparte, re di Napoli abolì le servitù sul Tavoliere di Puglia.
Con l’unità d’Italia alcuni dei tratturi
principali furono assimilati alle strade nazionali e protetti, altri furono riassorbiti
dall’agricoltura. Questo sistema di percorsi naturali, storicamente
sedimentato, era incardinato su pochi valichi che limitavano e
canalizzavano i collegamenti con il
resto della penisola.
UNA SOCIETA’ GERARCHICA
Le greggi transumanti appartenevano a
grandi proprietari detti armentari,
ricchi possidenti che investivano i loro capitali nell'allevamento e nella
produzione della lana. Ma anche gli
ordini e le congregazioni religiose e i feudatari locali e gli esponenti
dell’alta borghesia possedevano numerose greggi. I piccoli proprietari locali
che per necessità si recavano nei pascoli invernali si riunivano in società per ridurre
le spese dell’attività.
Tra
i pastori vigeva una ferrea organizzazione gerarchica. A capo stava il padrone che si serviva del “massaro di pecore” che organizzava tutte le attività connesse al pascolo. Il “casaro” era addetto alla lavorazione e trasformazione
del latte, il buttero sovrintendeva agli animali da soma
e agli spostamenti logistici durante il periodo
della transumanza. I “pastori” erano addetti alla custodia
delle greggi. Ad ognuno veniva affidata una “morra” di pecore composta
da circa 200 animali infine venivano i più giovani detti “pastoricchi” a cui erano affidati i compiti minuti e umili.
UNA VITA DURA
La vita dei
pastori era fatta di sacrifici e rinunce. I pastori transumanti a settembre riprendevano mestamente la via
delle Puglie dove rimanevano fino a
maggio quando, dopo la fiera di Foggia, iniziava il viaggio di ritorno verso la
montagna natia e le famiglie lasciate per molti mesi. Quando tornavano
portavano nelle loro bisacce i doni per i loro bambini e le loro spose. Drammatiche ed epiche insieme, le partenze a fine settembre separavano i nuclei familiari, affidati alle
madri coraggio delle montagne abruzzesi, che si riunivano per poche settimane da maggio a giugno in un’atmosfera di ritrovati sentimenti e
passioni e poi di nuovo in montagna nella solitudine dei pascoli in attesa di
ridiscendere in paese. La vita del pastore non era facile
caratterizzata da privazioni e stenti. D’estate, quando seguiva le greggi sui
pascoli della montagna era costretto a vivere all'interno delle grotte adibite sia a stazzo, ricovero degli animali
durante la notte, sia a rifugio del pastore, e quando non vi erano ripari
naturali costruivano rifugi in terra o in pietra o
anche capanne a tholos dalla copertura a cupola a base circolare o
quadrata. Il cibo scarseggiava ed era costituito
essenzialmente da ricotta siero e pancotto una semplice minestra fatta con il
pane secco e condita con poco olio. Si mangiava carne solo quando qualche pecora moriva, per cause
accidentali o divorata dai lupi. La
giornata era lunga e scandita dagli astri. All'alba si alzavano quando in cielo splendeva
il pianeta Venere a sera riposavano quando compariva la “stella del pecoraio”.
Nel silenzio delle lunghe ore passate a
guardia del gregge i pastori impiegavano il tempo intagliando il legno, leggendo i racconti cavallereschi e le gesta dei Paladini di Francia o
scrivendo i loro pensieri e le loro riflessioni ma anche risentimenti e rancori
incidendoli sulla roccia. Esiste infatti una letteratura di tipo pastorale
scritta sulle pietre della Maiella che va dal 1600 ai nostri giorni. Molti di
umili origini avevano imparato a leggere e a scrivere proprio intorno al fuoco
dello stazzo. Un’altra occupazione dei
pastori era suonare le zampogne o le ciaramelle strumenti musicali tradizionali che portavano sempre con loro
durante il lungo periodo della transumanza.
La cultura della Transumanza:
testimonianze, usi, rituali
Lungo le antiche
vie i pastori transumanti portavano con
sé diversi strumenti a dorso di muli ed
asini. Per le loro necessità utilizzavano bisacce, tascapane, ciotole, posate di legno,
corni di bue, inoltre sgabelli a tre piedi, secchi di legno, attrezzi per la tosatura, collari antilupo.
Alcuni di questi oggetti venivano anche realizzati artigianalmente dagli stessi
pastori. Durante gli spostamenti e le soste, i pastori raccoglievano verdure e radici commestibili
che cucinavano a sera. Erano soggetti a
continui pericoli come furti di bestiame, assalti di lupi, morsi di serpenti
perciò nella tradizione orale i pastori
vengono rappresentati mentre dormono “con un occhio solo”. Per questa loro condizione di vita, quindi,
l’invocazione della protezione divina dava la forza necessaria per affrontare i rischi
del viaggio ed i sacrifici del mestiere, infatti, lungo i tratturi e nei territori attigui ,sono
sorte durante i secoli molte chiese caratterizzate da un’arte strettamente
legata al mondo pastorale esse erano
molto importanti non solo dal punto di vista spirituale che ma anche commerciale.
E’ in prossimità di queste strutture, infatti, si svolgevano anche delle fiere
per la commercializzazione di prodotti artigianali e gastronomici.
Diversi furono i protettori dei pastori transumanti. Tra questi, San Michele al
Gargano, San Nicola di Bari e la Madonna Incoronata di Foggia. L’anno religioso
per i pastori si scandiva due volte l’anno, quello estivo e quello invernale e questi due cicli coincidevano con i
festeggiamenti dei santi protettori della transumanza.
Lungo il tracciato tratturale, nel corso dei secoli sono sorte anche taverne, fontane, riposi. Le taverne, che
erano delle osterie attrezzate con servizi ricettivi per
i pastori e grosse stalle per gli animali, erano tante e frequentate sia da
pastori che da viandanti occasionali. Gli abbeveratoi sono disseminati lungo
tutti i percorsi, ma, per la necessità di acqua sorgiva, sono concentrati
nelle zone medie e alte dei tracciati. Molte di queste architetture sono
arrivate fino a noi e vengono ancora oggi utilizzate dai pastori stanziali.
Questo patrimonio archeologico, seppur quasi del tutto sconosciuto, presenta
notevoli caratteri di qualità ed originalità.
LA RETE TRATTURALE
La rete tratturale che arriva ad uno sviluppo massimo di circa
3000 km, era caratterizzata da
connessioni e nodi. Così i tratturi, fiumi d’erba larghi fino a 111 metri, secondo
le rigide regole che ne stabilirono la
larghezza massima per evitare conflitti con i contadini, non erano solo corridoi
di scorrimento, ma strutture dotate di servizi e attrezzature per uomini e
animali. Lungo il percorso i pastori e gli armenti potevano trovare ricoveri
dove trascorrere le notti più fredde, recinti, abbeveratoi e isolate chiese rupestri di cui sono rimasti stupendi
esemplari. Tali punti di sosta rappresentavano momenti in cui la socializzazione dava luogo a
scambi culturali tra persone provenienti da realtà geografiche diverse ancor
più considerando la ridotta mobilità dei tempi.
I principali tratturi erano:
L’ Aquila – Foggia,
detto Tratturo Magno. Si sceglieva tra due piste parallele: Manoppello Guardiagrele Montenegro o Bucchianico,
Chieti, Lanciano
Celano - Foggia. Aggirava Pratola Peligna e Sulmona, sosta ai riposi di Cesale e Taverna del Piano, presso Rivisondoli. Costeggiava Roccaraso, Lucito e Lucera.
Pescasseroli - Candela. Raggiungeva Castel di Sangro, poi seguiva due tracciati: i monti del Matese o il percorso sannitico Pescolanciano - Campobasso
Celano - Foggia. Aggirava Pratola Peligna e Sulmona, sosta ai riposi di Cesale e Taverna del Piano, presso Rivisondoli. Costeggiava Roccaraso, Lucito e Lucera.
Pescasseroli - Candela. Raggiungeva Castel di Sangro, poi seguiva due tracciati: i monti del Matese o il percorso sannitico Pescolanciano - Campobasso
LA VIA DEI TRATTURI
“E vanno pel tratturo antico al piano quasi per un erbal fiume silente su le vestigia degli antichi padri…”. Così
D’Annunzio descrive la discesa dei
pastori verso il mare nella sua poesia “I pastori”.
Dopo la via Francigena e ll Cammino di
Santiago il percorso dei “tratturi”
le lunghe vie d’erba che collegavano la l’Abruzzo montano con il Tavoliere di
Puglia, è tra le esperienze più suggestive. Consente infatti di ripercorrere gli stessi tracciati usati
dai Sanniti, dai Romani, e dal 1200 in poi, da centinaia di pastori, milioni di
pecore e carovane di muli carichi di
masserizie che camminavano silenziosamente in mezzo a quelle ampie distese d’erba. E’ come fare
un viaggio nel passato, nelle tradizioni nella cultura e nella religiosità
delle genti d’Abruzzo che da sempre hanno legato la loro vita alla pastorizia
transumante. Partendo dai pascoli estivi
del Tavoliere di Puglia si risale gradatamente tutto il Molise interno fino ad
arrivare nei pascoli estivi delle montagne abruzzesi abitate ancora dal Lupo Appenninico,
dall’Orso Bruno Marsicano antagonisti di sempre delle greggi e dei pastori.
Oggi di quelle antiche vie erbose rimane ben poco,
come rimane ben poco di
quella civiltà pastorale che le aveva generate, l’ ultimo spostamento a piedi di pastori e pecore
pare sia avvenuto nel 1972.
Eppure una sensibilità nuova verso il passato sta coinvolgendo persone sensibili associazioni e istituzioni affinché queste testimonianze, o ciò che rimane di esse, non precipitino nell'oblio, insieme all'immenso patrimonio di storia e cultura che portano con sé.
Eppure una sensibilità nuova verso il passato sta coinvolgendo persone sensibili associazioni e istituzioni affinché queste testimonianze, o ciò che rimane di esse, non precipitino nell'oblio, insieme all'immenso patrimonio di storia e cultura che portano con sé.
Ricostruzione
storiografica di Elisabetta Mancinelli email: mancinellielisabetta@gmail.com
I
documenti e le immagini sono tratti
dall’Archivio di Stato, da “Transumanza e società” di Raffaele
Colapietra e da “Pastori, lanaioli e contadini” di Aurelio Manzi e Giuseppe
Manzi.
Complimenti all'autrice per il magnifico racconto che consiglierei di far leggere alle Elementari. Una storia che va tramandata e mai archiviata in quanto testimone del nostro passato.
RispondiEliminaGrazie un lungo studio che mi ha appassionato e da insegnante ho trasmesso ai miei allievi ed ora a scopo divulgativo , lo diffondo sul mio blog e sul Web
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