venerdì 8 febbraio 2019

LA TRANSUMANZA IN ABRUZZO

 LA TRANSUMANZA IN ABRUZZO
L’Abruzzo ha un volto molto antico: quello dei suoi tratturi, bracci, tratturelli  che ne segnano il territorio, là dove sono stati conservati e tutelati. Le antiche  cartine d’Abruzzo mostrano  una sorta di sistema vascolare di una regione che attraverso l’ “erbal fiume silente”, come D’Annunzio nella sua poesia “I pastori” definiva il tratturo, si alimentava ed alimentava la propria economia, quella della transumanza.
Il termine deriva da “trans” forma avverbiale: attraverso e humum: terra: andare attraverso con il significato di trasferimento di persone e bestiame in estate ai pascoli della montagna e in autunno al piano. Questo “sentiero naturale tracciato dalle greggi”,  viene da molto lontano, perché già all’epoca dei Romani si individuavano come “semita aspera qua pecora in montes ire solent” (aspri sentieri sui quali sogliono transitare le pecore sui monti). Su questi “sentieri” si svolgevano le partenze ed i ritorni, con un fenomeno chiamato appunto  transumanza. Tratturo, che sui dizionari viene definito “largo sentiero erboso per far transitare greggi e armenti dalla Puglia ai monti degli Abruzzi e viceversa” è un termine moderno, che si incontra poco nella letteratura italiana, salvo nell’”Alcyone”, e nel libro terzo delle “Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi” del D’Annunzio.
 

LA TRANSUMANZA: STORIA
La transumanza è un sistema di allevamento antico diffuso in molte aree del bacino del Mediterraneo che prevede in estate lo sfruttamento dei pascoli dislocati a quote più elevate sui territori montani e d’inverno il trasferimento delle greggi in pianura anche a distanza di centinaia di Km. Nel caso dell’Abruzzo la transumanza orizzontale veniva praticata già in epoca italica dai Sanniti che si scontrarono con i Dauni della Puglia proprio per il controllo dei pascoli invernali.  Durante il periodo romano la transumanza ebbe un forte incremento grazie ad una efficiente organizzazione dello stato. Alcune importanti città romane sorsero proprio sui tratturi per controllare  lo  spostamento delle  greggi  tra  esse  Peltuinum e  Juvanum  in Abruzzo e Sepino in Molise.
La seconda rivoluzione economica nel campo della pastorizia si ebbe alla metà del XV secolo  per opera di Alfonso d’Aragona  re di Napoli  che prese a modello il sistema in uso da tempo nella penisola iberica dei pastori spagnoli chiamata mesta. Riorganizzò le vecchie “calles” romane che presero il nome di tratturi.  Era tutto un mondo  che si muoveva, tutta un’economia che si sviluppava intorno a queste vie  che organizzata con precise leggi fiscali, è servita a sostenere per secoli le finanze del Regno di Napoli e delle Due Sicilie. Alfonso I d’Aragona, con la Prammatica del 1 agosto 1447, istituì la Dogana per la “Mena delle pecore” in Puglia.  Le terre di pascolo, dette  locazioni,  erano del  Demanio Regio e si potevano utilizzare  solo pagando la “fida”, un canone annuo, fissato in rapporto al numero delle pecore, ogni 100 pecore davano diritto ai pastori, detti locati, di utilizzare 24 ettari di terre  non arate, chiamate poste.
Un sistema fiscale, duro per i piccoli pastori, che ha fruttato enormi entrate, fino al maggio 1806, quando Giuseppe Bonaparte, re di Napoli abolì le servitù sul Tavoliere di Puglia.
Con  l’unità  d’Italia  alcuni  dei  tratturi  principali   furono   assimilati   alle strade nazionali e protetti, altri furono riassorbiti dall’agricoltura. Questo sistema di percorsi naturali, storicamente sedimentato, era  incardinato  su pochi valichi che limitavano e canalizzavano i  collegamenti  con  il resto  della penisola.

UNA SOCIETA’ GERARCHICA
Le greggi transumanti appartenevano a grandi proprietari detti armentari, ricchi possidenti che investivano i loro capitali nell'allevamento e nella produzione della lana. Ma anche gli ordini e le congregazioni religiose e i feudatari locali e gli esponenti dell’alta borghesia possedevano numerose greggi. I piccoli proprietari locali che per necessità si recavano nei pascoli invernali  si riunivano in società  per  ridurre  le  spese  dell’attività.
Tra i pastori vigeva una ferrea organizzazione gerarchica.  A  capo  stava  il padrone che si serviva del “massaro di  pecore” che  organizzava  tutte  le attività connesse  al  pascolo. Il “casaro” era addetto alla  lavorazione  e trasformazione  del  latte,  il buttero sovrintendeva  agli  animali  da  soma e agli spostamenti logistici  durante  il  periodo  della  transumanza. I “pastori” erano addetti alla custodia delle greggi. Ad ognuno veniva affidata una  “morra”  di  pecore composta  da circa  200 animali infine venivano  i più  giovani  detti  “pastoricchi”  a  cui  erano   affidati  i compiti minuti e umili.

UNA VITA DURA
La vita dei pastori era fatta di sacrifici e rinunce. I pastori transumanti a settembre riprendevano mestamente la via delle Puglie  dove rimanevano fino a maggio quando, dopo la fiera di Foggia, iniziava il viaggio di ritorno verso la montagna natia e le famiglie lasciate per molti mesi. Quando tornavano portavano nelle loro bisacce i doni per i loro bambini e le loro spose. Drammatiche ed epiche insieme, le partenze a fine settembre  separavano i nuclei familiari, affidati alle madri coraggio delle montagne abruzzesi, che si riunivano per poche settimane da maggio a giugno  in un’atmosfera di ritrovati sentimenti e passioni e poi di nuovo in montagna nella solitudine dei pascoli in attesa di ridiscendere in paese. La vita del pastore non era facile caratterizzata da privazioni e stenti. D’estate, quando seguiva le greggi sui pascoli della montagna era costretto a vivere all'interno delle grotte  adibite sia a stazzo, ricovero degli animali durante la notte, sia a rifugio del pastore, e quando non vi erano ripari naturali costruivano rifugi in terra o in pietra o anche capanne a tholos dalla copertura a cupola a base circolare o quadrata.  Il cibo scarseggiava ed era costituito essenzialmente da ricotta siero e pancotto una semplice minestra fatta con il pane secco e condita con poco olio. Si mangiava carne solo quando qualche pecora moriva, per cause accidentali o divorata dai lupi. La giornata era lunga e scandita dagli astri.  All'alba si alzavano quando in cielo splendeva il pianeta Venere a sera riposavano quando compariva la “stella del pecoraio”.
Nel silenzio delle lunghe ore passate a guardia del gregge i pastori impiegavano il tempo intagliando il legno, leggendo i racconti cavallereschi e le gesta dei Paladini di Francia o scrivendo i loro pensieri e le loro riflessioni ma anche risentimenti e rancori incidendoli sulla roccia. Esiste infatti una letteratura di tipo pastorale scritta sulle pietre della Maiella che va dal 1600 ai nostri giorni. Molti di umili origini avevano imparato a leggere e a scrivere proprio intorno al fuoco dello stazzo. Un’altra occupazione dei pastori era suonare le zampogne o le ciaramelle strumenti musicali  tradizionali che portavano sempre con loro durante il lungo periodo della transumanza.


La cultura della Transumanza: testimonianze, usi, rituali                                           
Lungo le antiche vie  i pastori transumanti portavano con sé  diversi strumenti a dorso di muli ed asini. Per le loro necessità utilizzavano bisacce, tascapane, ciotole, posate di legno, corni di bue, inoltre sgabelli a tre piedi, secchi di legno,  attrezzi per la tosatura, collari antilupo. Alcuni di questi oggetti venivano anche realizzati artigianalmente dagli stessi pastori. Durante gli spostamenti e le soste, i pastori  raccoglievano verdure e radici commestibili che cucinavano a sera.  Erano soggetti a continui pericoli come furti di bestiame, assalti di lupi, morsi di serpenti perciò  nella tradizione orale i pastori vengono rappresentati mentre dormono “con un occhio solo”. Per questa loro condizione di vita, quindi, l’invocazione della protezione divina dava  la forza necessaria per affrontare i rischi del viaggio ed i sacrifici del mestiere, infatti,  lungo i tratturi e nei territori attigui ,sono sorte durante i secoli molte chiese caratterizzate da un’arte strettamente legata al mondo pastorale esse erano molto importanti non solo dal punto di vista spirituale che ma anche commerciale. E’ in prossimità di queste strutture, infatti, si svolgevano anche delle fiere per la commercializzazione di prodotti artigianali e gastronomici.
Diversi furono i protettori dei pastori transumanti. Tra questi, San Michele al Gargano, San Nicola di Bari e la Madonna Incoronata di Foggia. L’anno religioso per i pastori si scandiva due volte l’anno, quello estivo e quello invernale e  questi due cicli coincidevano con i festeggiamenti dei santi protettori della transumanza.





Lungo il tracciato tratturale, nel corso dei secoli sono sorte anche  taverne, fontane, riposi. Le taverne, che erano  delle osterie attrezzate con servizi ricettivi per i pastori e grosse stalle per gli animali, erano tante e frequentate sia da pastori che da viandanti occasionali. Gli abbeveratoi sono disseminati lungo tutti i percorsi, ma, per la necessità di acqua sorgiva, sono concentrati nelle zone medie e alte dei tracciati. Molte di queste architetture sono arrivate fino a noi e vengono ancora oggi utilizzate dai pastori stanziali. Questo patrimonio archeologico, seppur quasi del tutto sconosciuto, presenta notevoli caratteri di qualità ed originalità.


LA RETE TRATTURALE
La rete tratturale che arriva ad uno sviluppo massimo di circa 3000 km, era caratterizzata da connessioni e nodi. Così  i tratturi,  fiumi d’erba larghi fino a 111 metri, secondo le rigide regole  che ne stabilirono la larghezza massima per evitare conflitti con i contadini, non erano solo corridoi di scorrimento, ma strutture dotate di servizi e attrezzature per uomini e animali. Lungo il percorso i pastori e gli armenti potevano trovare ricoveri dove trascorrere le notti più fredde, recinti, abbeveratoi e isolate chiese  rupestri di cui sono rimasti stupendi esemplari. Tali punti di sosta rappresentavano momenti in cui la socializzazione dava luogo a scambi culturali tra persone provenienti da realtà geografiche diverse ancor più considerando la ridotta mobilità dei tempi.
I principali tratturi erano:
L’ Aquila – Foggia, detto Tratturo Magno. Si sceglieva tra due piste parallele: Manoppello  Guardiagrele Montenegro o Bucchianico, Chieti, Lanciano

Celano - Foggia. Aggirava Pratola Peligna e Sulmona, sosta ai riposi di Cesale e Taverna del Piano, presso Rivisondoli. Costeggiava Roccaraso, Lucito e Lucera.

Pescasseroli - Candela. Raggiungeva Castel di Sangro, poi seguiva due tracciati: i monti del Matese o il percorso sannitico Pescolanciano - Campobasso


LA VIA DEI TRATTURI
“E vanno pel tratturo antico al piano quasi per un erbal fiume silente  su le vestigia degli antichi padri…”. Così D’Annunzio  descrive la discesa dei pastori verso il mare nella sua poesia “I pastori”.
Dopo la via Francigena e ll Cammino di Santiago il percorso dei “tratturi” le lunghe vie d’erba che collegavano la l’Abruzzo montano con il Tavoliere di Puglia, è  tra le  esperienze più suggestive.  Consente infatti  di ripercorrere gli stessi tracciati usati dai Sanniti, dai Romani, e  dal 1200  in poi, da centinaia di pastori, milioni di pecore  e carovane di muli carichi di masserizie che camminavano silenziosamente in mezzo a quelle ampie distese d’erba. E’ come fare un viaggio nel passato, nelle tradizioni nella cultura e nella religiosità delle genti d’Abruzzo che da sempre hanno legato la loro vita alla pastorizia transumante. Partendo dai pascoli estivi del Tavoliere di Puglia si risale gradatamente tutto il Molise interno fino ad arrivare nei pascoli estivi delle montagne abruzzesi abitate ancora dal Lupo Appenninico, dall’Orso Bruno Marsicano antagonisti di sempre delle greggi e dei pastori.
Oggi  di  quelle  antiche vie  erbose  rimane  ben  poco, come  rimane  ben  poco  di  quella civiltà  pastorale  che le aveva  generate, l’ ultimo spostamento  a  piedi di pastori  e  pecore pare sia avvenuto nel 1972.
Eppure una sensibilità nuova verso il passato sta coinvolgendo  persone   sensibili  associazioni e  istituzioni affinché queste testimonianze, o ciò che rimane di esse, non precipitino nell'oblio, insieme all'immenso patrimonio di storia e cultura che  portano
con sé.

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli email: mancinellielisabetta@gmail.com        
   
I documenti e le immagini  sono tratti dall’Archivio  di Stato, da “Transumanza e società” di Raffaele Colapietra e da “Pastori, lanaioli e contadini” di Aurelio Manzi e Giuseppe Manzi.  



2 commenti:

  1. Complimenti all'autrice per il magnifico racconto che consiglierei di far leggere alle Elementari. Una storia che va tramandata e mai archiviata in quanto testimone del nostro passato.

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  2. Grazie un lungo studio che mi ha appassionato e da insegnante ho trasmesso ai miei allievi ed ora a scopo divulgativo , lo diffondo sul mio blog e sul Web

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