Andrea Astolfi, nato ad Atri nel 1990, è un poeta visivo di “monoversi”, frames lirici, fotografa parole e si ispira agli haiku giapponesi ma ne elimina la metrica. La nuda pagina bianca sovrasta e restituisce peso al pochissimo testo steso. Con fotogrammi di senso, l’autore cerca di catturare il qui e adesso, lasciando libero il lettore di vagare con la fantasia.
Autore di poesie inserite nella Raccolta Pubblica di Poesia (Tempi Diversi 2015; 2017), in Charlas (Tapirulan, 2017) e in Arcipelago Itaca blo-mag (Arcipelago Itaca, 2018). Voce e cofondatore del progetto musicale Personne, e con all’attivo l’album Inverso Autoprodotto, 2016).
Il suo ultimo libro “Abbiamo fatto un film” è un libro / oggetto d’arte, capace di infinite narrazioni estetiche e contenutistiche.
Della serie, quando il vuoto può dire molto, se non tutto.
Una sorta di risposta, la sua, al diluvio di chiacchiericcio senza senso che riveste la nostra epoca. Alla letteratura in streaming.
"Più della risposta, complichi la domanda. «È un libro costruito per sottrazione piuttosto che per implementazione, dal momento che sono arrivato alla forma attuale del libro attraverso la decostruzione di un libro omonimo di poesia lirica che non vedrà mai la luce. È quindi un libro sulla decostruzione della materia poetica e sulla possibilità creativa che ne deriva – spiega Astolfi - Abbiamo visto un film difatti inizia come un libro di poesia tradizionale, ma presto il meccanismo si inceppa e la scrittura inizia ad asciugarsi progressivamente. Si arriva così a una scrittura che guarda all'haiku (ma non si tratta di haiku) e all'estetica del vuoto sino/giapponese, che inizia a trapelare mano a mano sulla pagina. Questo libro difatti segna una svolta nella mia ricerca, ovvero un passaggio da una scrittura in forma di poesia lirica a un primo livello di non-scrittura, di grado zero della scrittura. Credo sia un libro che tenda più verso il mondo dell’arte propriamente detta. Il bianco della pagina è centrale in tutto il discorso che si dipana, poiché permette al lettore una libertà e una possibilità immaginativa molto forte che in un discorso articolato verrebbe necessariamente meno”.
Alle primissime battute “Abbiamo visto un film” potrebbe apparire l’ennesimo libro di poesia contemporanea; tuttavia basta procedere poco oltre per accorgersi che le cose non stanno esattamente così. Il meccanismo difatti si inceppa presto e la scrittura inizia ad asciugarsi progressivamente, fin quasi a ridursi al silenzio. Si arriva così ad una versificazione che guarda all'haiku – ma non si tratta propriamente di haiku – e all'estetica del vuoto sino/giapponese, che a mano a mano sulla pagina inizia a trapelare. Questo libro difatti segna una svolta fondamentale nella mia ricerca artistica, segnalando un passaggio da una scrittura poetica ad un primo livello di non-scrittura, di grado zero della scrittura. Abbiamo visto un film non è esattamente un libro di poesia; è un libro sulla decostruzione della materia poetica e sulla possibilità creativa che ne deriva. Esso è stato stampato su carta scelta in sole 150 copie numerate e firmate, è in doppia lingua italiano/inglese, è un'autoproduzione ed è sprovvisto di isbn, scelte quest’ultime, oltre che politiche, stilistiche (anche l’album Inverso del mio duo musicale Personne - vedi www.personnemusic.it - è stato autoprodotto come anche il mio primo libro ὁράω, sprovvisto anch'esso di isbn e stampato in poche copie). Personalmente ho curato ogni aspetto del manufatto artistico (ad eccezione della traduzione dall'italiano all'inglese che è stata fatta da Alberto Assouad), dalla scelta del formato, al tipo di carta, copertina – e via dicendo –, perché credo che l’autore abbia la responsabilità assoluta dell’intero manufatto. Abbiamo visto un film è stato inoltre finalista al Premio Letterario Beppe Salvia 2018.
Poesie dalla raccolta “Abbiamo visto un film”.
Ti ho tenuto la mano stretta
ti ho passato la bocca sulla faccia
come i cani col gelato del padrone.
Ti ho scattato una foto quella sera.
Sorridi piano, ti copri la bocca
con la mano bianca
come quando
con la mano prossima venivi alle labbra
belle.
Ti ho baciato
nel vento ti ho preso
in un abbraccio siamo stati, un bacio
senza nome. Ci attendeva
una mattina in un bar
la lunghezza di un’autostrada – che porta
lontano
il cuore
di una città vuota e sola,
le porte di una stazione
nel sole di agosto.
La stanza bianca, la finestra
sul mare, i versi dei gabbiani.
Recensione a cura di Elisabetta Mancinelli
email mancinellielisabetta@gmail.com
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